Riflessioni attorno all'ondata repressiva in periodo elettorale

Le Anomalie al tempo delle elezioni

di Francesco Paone, Umberto Finotello, Silvia Poli

29 / 1 / 2013

È evidente la singolarità, ogni volta che si esce dal quadrato “democratico” pro forma, dell'atteggiamento della governance nei confronti dei movimenti, a seconda di un più o meno evidente stato di salute delle strutture e delle gerarchie di comando.
Leggendo delle misure restrittive adottate a seguito della mobilitazione del #14Novembre, degli sgomberi di alcuni spazi sociali in vari territori, da Roma a Treviso, passando per Empoli e Bologna, sembra quasi di rivedere i tracciati di uno sciame sismico apparentemente privo di epicentri sensibili, che investe “intelligentemente” ogni esperienza di indipendenza e anomalia presente nei nostri territori.


Una tempesta che si scatena contro ogni forma di dissenso e progettualità alternativa, esperienze che, scientemente, si confermano indipendenti e autonome rispetto ai rimbalzi e agli interessi delle parti coinvolte in una campagna elettorale povera di spunti trasformativi. 


Sotto una cornice in cui rimbalzano le retoriche di una parte politica piuttosto che un altra, si combatte nei territori una battaglia diversa, contro la recessione culturale e i sismi economici che sconvolgono le diverse componenti sociali.

La responsabilità politica, impegnata dal dibattito elettorale, viene sostituita da processi e corsi procedurali propri di apparati amministrativi e burocratici, che segnalano la delega e la responsabilità, a procure e questure di arginare preventivamente eventuali elementi di anomalia rispetto all'ordine costituito.

Dove mancano argomenti utili alla guerra delle rappresentanze, si ricorre in appello alla morale comune, che agendo sulla sensibilità culturale, attraverso casi politici creati ad hoc, giunge all'annichilimento di qualsiasi spazio di confronto, declinandosi, contestualmente alle componenti di partito dei diversi luoghi in cui si riversa tale intervento, tramite due nodi di relazione fondamentali.

Il primo nodo di relazione va ricercato all'interno delle strutture di governance, che si ergono come un solido muro a “fare quadrato” attorno alle teste di punta del comando, che nel silenzio o tramite spauracchi e tabù storici, rimettono ordine tra le fila del proprio apparato politico e culturale, scongiurando preventivamente contraddizioni interne alla struttura e alla gerarchia.

Il secondo nodo di relazione va ricercato nell'utilizzo dei mezzi stampa locali che, sempre più costretta a fare sintesi e sopperire a necessità aziendali, fagocita (nella sua accezione figurata) l'interesse pubblico in pacchetti preconfezionati d'opinione, un elementare scambio take away.
Il mezzo stampa dove non esiste un caso politico lo crea, dove esiste lo stigmatizza in battute di cronaca ordinaria. A queste condizioni produce il sentire comune sostituendo la narrazione del vero a quella del vendibile.


Entrambi i nodi riportano ad una risoluzione materiale, di tipo repressivo, tesa a privare i movimenti di autonomia e indipendenza agendo nel campo delle relazioni individuali e collettive.

Una struttura a catena che, nel giro di un attimo, coinvolge tutto l'establishment. Dichiarazioni, accuse, negazioni, silenzi, che si susseguono uno dietro l'altro oscurando il piano di realtà in cui intervengono spazi sociali ed esperienze di movimento.

La “vicenda Gallinari”, il caso politico evocato a Reggio Emilia in queste settimane, va letto sotto questa luce, nella sua propria singolarità territoriale.
Da una testata giornalistica all'altra si inseguono gli echi che annunciano l'eredità del “terrorismo rosso nella città in cui è nato”, riempiendo le retoriche di ogni parte politica, da destra a sinistra, ed in particolare della destra locale che ne approfitta per imbastire una campagna mediatica contro il Laboratorio Aq16, richiedendone lo sgombero.

Dopo qualche giorno dal funerale di Prospero, il presidente della Provincia Sonia Masini e il sindaco – nonché presidente dell'ANCI, Associazione Nazionale Comuni Italiani – Graziano Delrio pubblicano un comunicato dal titolo “Reggio offesa”: un testo nel quale, dopo aver individuato il funerale come “un pericoloso quanto sciagurato tentativo di passaggio di testimone politico dai vecchi brigatisti ai giovani no Tav e dei centri sociali”, escono chiare due richieste. La prima che tutti i candidati alle elezioni condannino ed isolino “i vecchi e i nuovi terroristi”; la seconda un appello “agli organi di informazione di aiutarci in questa battaglia”.

Un metodo tutt'altro che celato per mettere in moto la paradigmatica macchina di terrore e repressione.

Già dalle prime battute si capisce che le “richieste” a tutto campo sono in realtà una chiamata alle armi dell'establishment del Pd e al mezzo stampa ad esso collegato. Detto, fatto. La mattina seguente i candidati alle elezioni 2013 del Partito Democratico aderiscono al comunicato Masini-Delrio, nel frattempo divulgato in ogni modo dai giornali cartacei più letti di Reggio Emilia. Insomma, un bel quadretto di famiglia in cui a dar manforte c'è anche Federico Amico, presidente dell'Arci reggiano, le cui uscite politiche si possono contare sulle dita di una mano. Un quadro già visto in cui stavolta però ha provato a trovare posto anche il Movimento 5 Stelle, non cogliendo il palese intento di strumentalizzazione elettorale interno al Pd; in ogni caso un buon esempio di quel che viene venduto come il nuovo che avanza a livello istituzionale.

La governance prova ad utilizzare ogni mezzo a sua disposizione, alimentato dalla più palese faziosità, per interdire il dissenso, per sedare sul nascere il conflitto. Ancor più voracemente con temi scottanti come questi in questa città. Non a caso nel comunicato vengono accomunati alle Br e al terrorismo i centri sociali e la lotta no tav: a parte l'odio viscerale provato dalla presidente della Provincia, l'unica cosa che accomuna la lotta armata delle Br e i movimenti è l'atteggiamento delle Procure; emblematica la scelta della Procura di Torino di utilizzare l'aula bunker del carcere delle Vallette per processare i no tav arrestati.

Il tacito accordo tra i nodi di potere in nome dell'autoconservazione ha un'unica parola d'ordine: reprimere l'alternativa.