Leggi memoriali e paradigma vittimario pt. 2 - Il giorno del ricordo selettivo

10 / 2 / 2017

La declinazione italiana del «paradigma vittimario» presenta caratteri particolarmente inquietanti (analizzati da Wu Ming 1 qui), dovuti ad un vittimismo nazionalista preesistente rispetto al mercato delle emozioni-merci. In nessuno dei testi delle due leggi che istituiscono le ricorrenze del 27 gennaio e del 10 febbraio possiamo trovare la parola «fascismo» o il benché minimo riferimento ai crimini di guerra dell'esercito italiano in Africa o nei Balcani, oppure al ruolo dei collaborazionisti italiani nella denuncia e nell'arresto degli ebrei. Insomma nel paese in cui si è inventato il concetto di «totalitarismo» si commemorano gli stermini e i genocidi messi in atto da altri. Spesso infatti durante il «Giorno della memoria» si allarga (giustamente!) lo sguardo ad episodi quali il genocidio degli Armeni o quello dei Tutsi, ma ben raramente accade che si parli dei crimini italiani in Africa o nei Balcani. Semplicemente ci si rifiuta di fare i conti con le colpe degli italiani, «brava gente» sempre e comunque, al punto che l'immagine della fucilazione di cinque contadini sloveni ad opera del Regio esercito italiano viene da anni presentata come esempio dei «crimini delle foibe» ad un pubblico che semplicemente non è mai stato messo a contatto con narrazioni che non mettessero «noi italiani» sempre e comunque dalla parte delle vittime, o comunque dei «buoni» (vedi il proposito il post di Piero Purini). Questa visione distorta del passato ha trovato la sua sanzione legale, anzi quasi la sua imposizione a ideologia di stato, con l’istituzione del «Giorno del Ricordo».

 La legge n.30 del 2004, infatti istituisce il  «Giorno del Ricordo» con il fine di

«conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale».

Ergo la morte dei propri connazionali o la loro partenza come profughi sono raccontati come «tragedia» mentre i massacri e gli esodi subiti dagli «altri», cioè dai vicini di casa appartenenti ad un altro popolo (o fedeli ad un altro stato) sono derubricati a «più complessa vicenda». Si vogliono insomma ricordare le esecuzioni sommarie commesse dai partigiani Jugoslavi e l’esodo della popolazione italofona dall’Istria, Fiume e dalla Dalmazia, ma non le violenze dello squadrismo fascista che sin dal 1920 insanguinò Trieste e l'Istria; non le politiche di denazionalizzazione subite dalla popolazione slovena e croata durante il ventennio fascista; non l'aggressione contro la Jugoslavia del 1941 che diede avvio ai massacri nei quali morirono un milione di Jugoslavi su una popolazione di  15 milioni; non i civili morti nel lager italiano di Arbe; non la sanguinosa conquista tedesca dell'Istria nel settembre-ottobre 1943 (che uccise 5.000 persone a fronte dei circa 500 infoibati in seguito all'insurrezione istriana dell'8 settembre); non le migliaia di resistenti assassinati nella Risiera di Trieste e neppure i 269 abitanti di Lipa bruciati vivi dai nazifascisti nella scuola del villaggio. Tutto questo è solo «più complessa vicenda», il termine «tragedia» ed il diritto di far conoscere la propria storia è riservato solo agli «italiani».

La natura ideologica della legge del 2004 è ammessa candidamente anche da chi, come Raol Pupo, lo storico più presente sui mass media nell'ambito della narrazione mainstream della storia del confine orientale, di certo non si sogna di contestarla. Egli ha infatti scritto (Nell'articolo «Due vie per riconciliare il passato delle nazioni? Dalle commissioni storico culturali italo-slovena e italo-croata alle giornate memoriali» pubblicato nel dicembre 2016 sul numero 282 della rivista Italia contemporanea) che  uno degli obiettivi del «Giorno del Ricordo» è stato quello di recuperare la memoria degli esuli istriani, fiumani e dalmati con il fine di «attribuirle un ruolo significativo all’interno del processo di ricostruzione di un’identità nazionale italiana da più parti considerata eccessivamente “debole”».

Viene però da domandarsi di che tipo di «identità nazionale» stiamo parlando? non certo di quella basata sulla fedeltà ai valori costituzionali della «Repubblica nata dalla resistenza», bensì su un'appartenenza etnica o etnico-linguistica etnicizzata e razzializzata. Questo tipo di identità può affermarsi solo attraverso una lettura del passato che rimuova le divisioni ideologiche e di classe e reinterpreti i fatti unicamente come frutto di conflitti nazionali. In questo caso «italiani» contro «slavi», ma si tratta di un approccio al passato e al tema dell'identità oggi purtroppo dominante in molti paesi europei (come spiega lo storico Federico Tenca Montini qui)

Questo approccio al passato comporta la rivalutazione, sotto la patina «buonista» della «memoria condivisa», del nazifascismo. Il «Giorno del Ricordo» è stato infatti l'occasione per decorare come presunti «Martiri delle foibe» non solo emeriti fascisti e collaborazionisti, ma anche veri e propri criminali di guerra, ovvero torturatori e assassini. A dare notizia della cosa è stato quel noto foglio sovversivo noto come «Corriere della Sera». Insomma il 27 gennaio si piangono le vittime del nazifascismo ed il 10 febbraio si decorano i loro carnefici.

Occorre inoltre notare che lo stato italiano ha deciso di commemorare foibe ed esodo nell’anniversario del giorno in cui il parlamento ratificò i trattati di pace stipulatati al termine della seconda guerra mondiale che comportavano (tra le altre cose) la rinuncia ai territori ceduti alla Jugoslavia sul confine orientale. Di fatto si può dire che la Repubblica italiana ha avvallato un racconto del passato nel quale «i cattivi» non sono solo il Maresciallo Tito ed i partigiani Jugoslavi, ma anche De Gasperi, Nenni e Togliatti, assieme agli altri «padri costituenti»; tutti egualmente colpevoli di aver ceduto agli odiati slavi «terre italiane». Ha così trovato sanzione legale non la memoria di chi intendeva (come è diritto di tutti) piangere i propri morti e ricordare la propria terra natale, ma il nazionalismo revanscista di chi continua a berciare «Istria, Fiume e Dalmazia sono Italia!».

Lo stesso Raoul Pupo, nell'articolo già citato, non nasconde qualche perplessità in merito alla data scelta:

«La vicinanza fra il Giorno del ricordo e la Giornata della memoria della Shoah, celebrata il 27 gennaio, sembrava fatta apposta per suscitare fraintendimenti e confusione, che puntualmente si sono verificati, anche se in misura ridotta. Del resto, tale appunto era l’intendimento esplicito di alcune frange più radicali dell’associazionismo degli esuli, contigue all’estrema destra italiana, da tempo impegnate a presentare foibe ed esodo quali atti genocidari, bisognosi di un riconoscimento pari a quello della Shoah. Quel che lascia più perplessi, al riguardo, è non solo che una certa condiscendenza verso un’impostazione del genere fosse silenziosamente presente anche nelle associazioni più moderate della diaspora giuliano-dalmata, ma che il legislatore, pur avvertito, abbia preferito non accorgersene».

Pupo sembra non sapere che a mettere sullo stesso piano Shoah e foibe falsificando la storia non sono alcune «frange più radicali», ma lo stesso stato italiano per mezzo del suo servizio pubblico televisivo.

Foibe Twitter Rai

Nel 2016 il consiglio regionale toscano ha approvato una mozione avanzata da Fratelli d'Italia basata sulla medesima parificazione Shoah-foibe, come ha scritto in quell'occasione il collettivo Nicoletta Bourbaki.

«Se si volesse insistere con questo accostamento, la fredda e cinica storia ci suggerirebbe coi suoi numeri un macabro esercizio di matematica elementare e di «memoria condivisa». Se la Shoah e le foibe sono sullo stesso piano e nella Shoah sono morti 6 milioni di persone mentre le vittime della repressione jugoslava [nella Venezia Giulia] sono al massimo 5000 [Fonte: Raoul Pupo e Roberto Spazzali. Foibe. Milano: Mondadori, 2003], quante vittime della Shoah servono perché la loro memoria valga quanto quella di un “infoibato”?

Il ritornello «tutti i morti sono uguali» si trasforma, quando si tralasciano le dimensioni e il contesto dei fenomeni, in «alcuni morti sono più uguali degli altri»».

Senza contare che l'accostamento in questione è di per sé negazionista della Shoah e antisemita, in quanto le foibe furono un esempio di uccisione sommaria dei propri avversari politici e militari (in maggioranza fascisti e collaborazionisti ma anche alcuni partigiani non comunisti, oltre alle vittime di odi e regolamenti di conti privati) da parte dell'Esercito Popolare di Liberazione Jugoslavo, mentre gli ebrei assassinati nella stragrande maggioranza dei casi non possono essere considerati in nessun modo avversari dei nazisti, ma solo e unicamente loro vittime in quanto non erano combattenti e neppure aderenti a partiti o movimenti di opposizione, ma solo esseri umani della «razza» sbagliata. Se non si tiene conto di questa netta differenza si falsifica la realtà  e si sostiene la visione dei negazionisti, quelli veri.