L'eresia dell'Apecar

20 / 8 / 2012

Quella del 17 Agosto è una giornata che ha come primo dato quello della partecipazione, la presenza di oltre tremila persone in piazza a Taranto, in una calda giornata come quella di venerdi scorso è il punto di partenza, non retorico, per iniziare ad analizzare nel complesso le suggestioni emerse dalla prima prova di piazza autonoma del “comitato cittadini e lavoratori liberi e pensanti”.

E’ primario partire dai numeri perché in un territorio individualizzato e restio alla socializzazione dei problemi, vissuti con religiosa vergogna e senso di colpa, la partecipazione è da considerarsi la prima importante conquista, la giornata di venerdi quindi, si mostra come una prima verifica dell’inversione di tendenza palesatasi nelle numerose assemblee pubbliche che hanno attraversato i quartieri della città negli ultimi venti giorni.

Si è rivelata una comunità formata da molteplici figure che fino a un mese fa, facevano fatica a trovare ambiti comuni di discussione, operai, studenti, precari, casalinghe e pensionati, liberi professionisti e disoccupati, ma anche attori e musicisti, hanno trovato nelle piazze lo spazio di confronto, condivisione e proposta di un movimento che prova a mettere in discussione l’esistente.

Provando ad andare oltre l’elegia, va tuttavia considerata la difficoltà di ricomporre un soggetto che è eterogeneo per natura. Quella parte della comunità che, pur partecipando, delega alla magistratura il compito di opporsi agli interessi della grande industria, configurandosi come supporters del Gip Todisco, ha fatto comunque intravedere quel salto di qualità necessario per sentirsi protagonista della costruzione dell’alternativa, rifocalizzando un concetto di giustizia che travalica le aule di tribunale e si fa universale.

Elemento non secondario, infatti, è la determinazione con cui quella piazza, nella sua interezza, ha scelto di disobbedire alle restrizioni della Questura e di violare simbolicamente la zona rossa, tentativo mal riuscito, di circoscrivere e delimitare il dissenso.

La democrazia prende la forma di quel lungo serpentone umano che da Piazza Giordano Bruno invade Piazza della Vittoria, una democrazia in movimento, che ribalta il piano di isolamento imposto e che si mostra dinamica, vivace e consapevole, che rende ancor più separato quell’ ambito istituzionale che ha bisogno di centinaia di sgherri a difesa di un freddo palazzo, in cui si vuole decidere il futuro di un territorio senza fare i conti con la voglia di cambiamento dei suoi cittadini.

Il lavoro di ricomposizione fino ad ora fatto dal comitato mostra, inoltre, come anche la rabbia che serpeggiava evidente in quel corteo sia stata trasformata in potenza costituente, abbandonando le tentazioni nichiliste si è evidenziata la volontà da parte della piazza di non considerare la giornata di venerdi scorso il tempo della “spallata finale” ma tappa fondamentale per la costruzione di un progetto alternativo di città nel medio-lungo periodo.

La rabbia quindi diviene elemento non esaustivo dei processi di cambiamento; laddove essa perde la capacità di essere potenza costituente e si autorappresenta, si mostra come elemento di arretramento dai processi del conflitto,

E’ qui che si palesa quel 99% che sfida l’1% che a Taranto prende la forma di un intreccio di poteri complementari rappresentati dal Gruppo Riva e Confindustria e l’intero arco istituzionale, che va dal governo dei tecnici alle stucchevoli narrazioni della politica pugliese.

La rappresentanza è in crisi non solo perché si configura, nello specifico della vertenza, come parte del problema, ma perchè si infrange l’idea che partiti e sindacati possano farsi volano delle istanze dei movimenti. Su quali basi si porrebbe la fiducia nei confronti delle istituzioni che hanno mostrato totale incapacità nel gestire transizioni simili? Le dismissioni dell’impianto di Bagnoli e dell’area industriale di Crotone degli anni ‘90 fino ad arrivare al saccheggio della cassa del mezzogiorno e dei fondi del terremoto dell’Irpinia sono i parametri su cui si misura la fiducia di un Meridione d’Italia nei confronti di istituzioni locali, ben lontane dal mito del buon governo della tradizione post-comunista, e di quelle nazionali che ne hanno definito negli ultimi centocinquantanni le condizioni della subalternità.

Nello scenario fin qui definito si va a configurare l’elemento dell’alternativa come campo di sperimentazione reale in cui la transizione dal fordismo non si riveli come un mero passaggio da sistema di riproduzione del capitale ad un altro, magari meno invasivo, ma altrettanto legato agli interessi del profitto, dell’accumulazione e quindi dello sfruttamento.

Il disastro fin qui vissuto da un’intera comunità ed il suo territorio diventa quindi campo di opportunità in cui provare a dare forma ad un modello che si basi sulla valorizzazione delle facoltà personali e della cooperazione e delle potenzialità legate alle caratteristiche fisiche, storiche e sociali del territorio.

Il tema del reddito, apparso sin da subito, elemento centrale di rivendicazione da parte del “comitato dei cittadini e lavoratori liberi e pensanti” per superare il conflitto capitale/ambiente/lavoro, merita di essere affrontato con la massima cautela.

In un territorio in cui il lavoro è l’unica possibilità di accesso alla società, da cui restano esclusi tutti coloro che , come si dice da queste parti, “si arrangiano”, ovvero tutte le forme che assume il precariato moderno, spesso costretto a superare i confini della legalità, il reddito non può essere inteso solo come elargizione monetaria ma anche come ridistribuzione complessiva della ricchezza socialmente prodotta.

Dietro il tre ruote che si è messo in cammino lo scorso 2 Agosto attraversando le piazze della città di Taranto sfidando poteri forti e invadendo zone rosse, si fanno strada gli eretici, coloro che scelgono il proprio futuro lontano dai ricatti e dallo sfruttamento.