Liberi tutti

di Paolo Cognini

25 / 10 / 2013

Per una volta la realtà dei fatti ha resistito alla coazione giudiziaria, che è un qualcosa che va ben oltre le disposizioni di un codice, perchè investe i mille piani del potere, il suo ventre fisiologicamente repressivo. Certo, la maggiore o minore correttezza di un giudice può fare la differenza, ma in fondo anche essa è una variabile all'interno di un contesto ed è condizionata dal clima che dentro quel contesto si genera.  

Per questo lo  schiudersi delle porte del carcere e la restituzione di tutti gli/le arrestati/e alla propria vita nasce da un qualcosa che va oltre la rigorosa applicazione delle garanzie codicistiche, un qualcosa che affonda le proprie radici nella manifestazione stessa del 19 ottobre, nella sua capacità di conquistare un inedito spazio politico e di espressione all'interno del quale il tema della conflittualità sociale torna a proporsi non come dimensione ideologico-identitaria ma come dimensione reale dell'agire sociale dentro e contro la crisi.  

Nel mezzo della tante analisi sociologiche, politiche, strategiche, che nel volgere di poche ore hanno già tirato da una parte o dall'altra la coperta di quel corteo, nel chiasso bizzarro di proclami improbabili, nelle ansie di chi vorrebbe tirar subito le somme, viene una gran voglia di semplificare e di ricercare proprio nella semplicità, libera dalle sovrastrutture ideologiche, il senso più autentico di una manifestazione che prima di ogni altra cosa ha parlato proprio il linguaggio della libertà.  

Libertà dalla povertà e dal bisogno, libertà da una vita miserabile espropriata del bene primario della casa, libertà di autodeterminare i territori in cui viviamo, libertà di accesso allo spazio europeo da parte di migranti in fuga da condizioni di esistenza disumane, libertà di essere protagonisti per ciò che si è e ciò che si fa e non per l'appartenenza ad un qualcosa di precostituito.  

Ma anche libertà dalle retoriche consunte, dalla ricerca ossessiva e paranoica del “marchio” da imprimere alla manifestazione, che porta sempre con sé una buona dose di finzione, dalla velleità delle piccole egemonie. Sono tanti i tappi che i movimenti possono trovare lungo i loro percorsi, non ultimo quello costituito dall'inadeguatezza delle interpretazioni di ciò che realmente si muove a livello sociale, costretto dentro schemi precostituiti in cui l'interprete è sempre quello che ha ragione, a cui il futuro regala sempre l'immancabile conferma delle sue ipotesi.  

La manifestazione del 19 ottobre ha oltrepassato tutti: coloro che volevano vederci l'insurrezione di una sollevazione generale e quelli che pensavano che si sarebbe ridotta ad un mero rituale; quelli che l'avrebbero comunque esaltata e quelli che, al contrario, l'avrebbero ad ogni costo ridimensionata; tutti coloro che, in un verso o nell'altro, avrebbero voluto trovare nella sua riuscita o nel suo fallimento la conferma delle proprie ragioni “sovrastrutturali”, nate e sedimentate al di fuori della diretta espressione dei bisogni sociali in lotta di cui la manifestazione si è fatta interprete.  

Il 19 ottobre è andato semplicemente da un'altra parte ponendo tutti difronte ad una nuova necessità di prospettiva. Ed in questo oltrepassamento, così denso di nuove potenzialità e nuovi interrogativi, scopriamo, rubando un'espressione al poeta dell'infinito, che il “naufragar c'è dolce”, perchè esso, se non siamo piccoli e non ci perdiamo nella ricerca delle medaglie di latta, restituisce a tutti non solo un orizzonte ma anche un po' di libertà. Quella stessa libertà che ha premuto sulle porte di Regina Coeli e di Rebibbia riuscendo alla fine ad aprirle. 

Paolo Cognini