L'invenzione del clandestino

29 / 3 / 2011

La minchia gli scassarono ‘sti migranti al governatore Lombardo, non solo l’uscio del capanno di Grammichele. Per questo incita i siciliani a far ronde notturne con il mitra, caso mai incontrassero tunisini in fuga da Mineo o sbarcati sulle coste. Li fulminassero sul bagnasciuga, come proclamò con scarsa padronanza dei termini marinari e ancor meno fortuna bellica la buonanima di Mussolini per l’altra invasione dell’isola, quella del 1943.

Folklore mafioso-leghista, che copre ben altre e più massicce operazioni di disinformazione e razzismo di Stato. Pensiamo a quel “falso movimento” che consiste in due serie di azioni opposte e complementari, vera e propria ideologia messa in scena per ipnotizzare il paese. Da un lato i migranti vengono trattenuti, ammucchiati oltre misura nella più inimmaginabile sporcizia e deprivazione, rinserrati in Cie e Cara o a cielo aperto sull’isola di Lampedusa –occorre mostrare le belve sudice e ribelli ai bravi cittadini italiani e ai connazionali rimasti in patria, guardate che succede a varcare il Canale. Dall’altro, li si fa oggetto, insieme agli sventurati zingari preesistenti, prototipo del nomade-migrante, di spostamenti frenetici senza nessun motivo plausibile (dal Cara di Castelnuovo di Porto a Mineo, poi anzi no, a Mineo ci vanno i tunisini, al Cara gli zingari, no poi ci vanno i libici doc, ecc.), con la stessa logica capricciosa e intimidatoria delle periodiche “traduzioni” carcerarie.

L’irrazionalità è però soltanto apparente. Infatti qualche ricaduta utile per il razzismo di Stato la si coglie subito: la perdita delle tutele legali per gli asilanti, lo scioglimento per tutti gli immigrati dei legami sociali fra loro e con il territorio, nel caso degli zingari anche la dis-integrazione derivante dalla cessazione dell’obbligo scolastico. Minuzie in confronto all’obbiettivo primario: la volontà di produrre clandestinità, l’invenzione del clandestino come figura giuridica e capro espiatorio, sintesi e modello di ogni precarietà nomadica, della categoria del “superfluo” come docile serbatoio di lavoro sottocosto.

Andiamo con ordine, partendo dalla produzione di superfluità preliminare al genocidio, ovvero dal modello di Hannah Arendt. Il dominio totalitario mirava in vari gradi a togliere di mezzo indesiderabili e presunti nemici di vario genere, dalla semplice segregazione e utilizzo come lavoro forzato in paesi liberali fino ai campi di sterminio nazisti. Solo questi ultimi sono spariti, mentre le forme meno cruente sono sopravvissute, trattenendo le vittime in una condizione simbolica intermedia fra la vita e la morte, fra visibilità e invisibilità. La produzione di superfluità è, per sua essenza, generazione di isolamento e impotenza, intensifica una tendenza all’atomizzazione che è costitutiva della società moderna e mira a privare gli uomini di mondo, distruggendo non solo l’attività politica e la cooperazione ma sradicando lo stesso bios, la vita qualificata ridotta sempre più a vita nuda.

Il Lager è solo la forma estrema di esibizione della superfluità di un gruppo etnico o sociale e nel contempo di ammonizione per chi resta fuori ma potrebbe finirvi dentro ad arbitrio del potere. Non è un punto d’arrivo obbligato (infatti oggi ce ne sono versioni più miti, i Cpt, Cie, Cara, ecc.) e sono diversi gli “ospiti” (tranne gli zingari, guarda caso), ma attenzione a come ci si arriva: censimento identificativo di una specie (oggi zingari e immigrati), graduazione di diritti di assistenza e cittadinanza fino alla completa esclusione, spostamento incessante per far vedere che non hanno comunanza comunitaria e territoriale con gli altri, che sono appunto “superflui”, dunque impiegabili a piacere in qualsiasi tipo forzato di lavoro e, al limite, massacrabili nell’indifferenza. Oggi il massacro non è certo la regola, se non del pogrom saltuario di avvertimento (Castel Volturno, Rosarno), mentre prevale l’uso di campi e centri a varia denominazione come filtri per la manodopera illegale e inviti eloquenti a obbedire in silenzio. La logica del villaggio recintato (ultimi Manduria e Mineo) è di richiudere un certo numero di clandestini con la speranza del permesso di soggiorno da profughi e la paura dell’espulsione, lasciare scappare i più intraprendenti con il miraggio della fuga in Francia o Germania e la realtà dell’assorbimento nel lavoro nero o nella manovalanza criminale.

Alla visibilità ostentata del campo e della miseria del rifugiato fresco di sbarco corrisponde l’invisibilità sistemica del clandestino, come un tempo (con esiti più tragici e meno produttivi di ricchezza) all’animalizzazione conclamata dell’ebreo nel ghetto corrispondeva la sparizione nel fumo dei camini. Oggi il clandestino invisibile è messo al lavoro, in condizioni di semi-servaggio, appaltato alla camorra, manovrato secondo i ritmi della crisi, mentre una sua rappresentanza visibile è sballottata qua e là come un tempo sui treni di Eichmann o mostrata in Tv nel reality di Lampedusa o dei campi nomadi incessantemente smantellati e ricostruiti a ogni rogo di bambini –versione artigianale dei forni crematori del passato. Separare dal resto della popolazione i “pacchi” da accatastare sulla collina della vergogna di Lampedusa o da spedire in giro per l’Italia, esasperare la precarietà di cui i migranti sono paradigma esibendo in modo terroristico la loro instabile diversità serve, proprio forzando il paradigma, per impedire che i precari “nazionali” vi si riconoscano e solidarizzino, insinuando anzi che se i meno sfortunati indigeni osassero ribellarsi potrebbe toccare loro la stessa sorte degli allogeni. Rendere “superflui” gli ebrei esortava anche i non-ebrei a desistere da qualsiasi resistenza; oggi gli obbiettivi sono più modesti e utilitari –siamo in democrazia e c’è la globalizzazione, diamine!

Il clandestino è un essere in carne e ossa, ma la clandestinità è un prodotto giuridico e sociale, fabbricato secondo un piano preciso che la prevede come parte di un dittico: regolari e clandestini. Non ci sono gli uni senza gli altri, dunque occorre fissare una distinzione arbitraria che tuteli una minoranza costruendo una maggioranza deprivata di diritti e abbandonata allo sfruttamento più turpe sotto l’etichetta, ora “operosa” non genocida, di “superfluità”. Il dispositivo attuale implica invero tre settori: regolari con permesso di soggiorno collegato a un contratto, clandestini espellibili (ma ben poco espulsi), asilanti. Questo terzo gruppo, peraltro ben poco tutelato nella legislazione nazionale rispetto agli standard europei, ha una funzione strettamente politica, di appendice alle campagne belliche calde o fredde. Nell’Europa di anteguerra i rifugiati “famosi” (i Thomas Mann, gli Einstein) servivano a giustificare la campagna anti-nazista, mentre gli altri rifugiati erano rinchiusi nei campi, belli che pronti per l’imminente invasione tedesca. Cani con collare e cani randagi –commentava Arendt. Nel dopoguerra gli esuli di Oltrecortina e i fuggiaschi dalla Germania orientale e dai Sudeti servivano alla propaganda anticomunista, dopo la caduta del Muro i rifugiati bosniaci e kosovari facevano parte del progetto di intervento disgregatore in Jugoslavia e in parte vi sarebbero ritornati. Oggi i richiedenti asilo sono diventati imbarazzanti, perché Usa ed Europa non riescono a utilizzarli in un progetto neocoloniale, stante l’impossibilità di separare la fuga dalla tirannide e dalla guerra rispetto all’emigrazione economica. Quindi nessuno se li vuole accollare, anche perché provenienti spesso da aree oppresse da “amici” dell’Occidente (kurdi, palestinesi, irakeni, maghrebini). Anche gli Usa non riconoscono asilanti dall’America centrale e meridionale!

Il governo italiano si arrovella oggi sulla distinzione fra profughi di guerra e clandestini cercando di mantenere la creazione artificiale di clandestinità con evidenti contraddizioni: perché i 200.000 tunisini espulsi dalla Libia e assistiti alla frontiera con il contributo ufficiale italiano non sarebbero profughi di guerra? come distinguerli dagli altri tunisini? E gli etiopi ed eritrei, che adesso riconosciamo quali asilanti perché arrivano da Misurata, non sono gli stessi che abbiamo riconsegnato qualche mese fa ai campi di concentramento dell’allora amico e baciato Gheddafi? Comunque vengano dosate e distribuite tali categorie, il criterio decisivo è quello dell’emergenza, comodissimo per giustificare ogni arbitrio amministrativo e per mantenere i fenomeni sociali (dal mercato del lavoro alla cittadinanza) sotto un regime d’eccezione. Sui drammatici effetti pratici dell’emergenza la benemerita Welcome resoconta ora per ora, non c’è bisogno di aggiunte. Per le “idee” basti ricordare i progetti di rimpatrio coatto con navi militari in Tunisia contro la volontà di quel paese per additare i labili confini fra pensiero emergenziale e neurodeliri. Comprendendovi il ricatto maroniano: non vi mandiamo più 600.000 turisti. Tutti dirottati a Ponte di Legno e in val Brembana, magari...

Il vero stato d’eccezione è però –lo sappiamo da sempre– quello degli oppressi. La produzione nazista di superfluità fu interrotta per prima dalla rivolta del ghetto di Varsavia, quando i “superflui” si fecero antagonisti. In piccolo, Rosarno è stata la nostra Varsavia. Poi sono venuti i tumulti in tutto il Nord Africa e il Medio Oriente. Qualcosa è bruscamente cambiato nell’atteggiamento remissivo di un tempo. Il muro della paura, quando crolla, travolge molte cose. Non a caso per i miserabili spiaggiati a Lampedusa quegli altri (e in senso proprio) miserabili che sono Lombardo e Miccichè cominciano a cianciare di “invasione”. Invasori «con le scarpe firmate» –come vaneggia quell’imbecille del governatore Zaia. Exit e voice si intrecciano inesorabili. Il diritto stesso di fuga si estende dalle coste maghrebine alle reti divisorie di Cie e villaggi dei dannati di ogni tipo. Non sarà il caso di andare oltre alle giustissime misure tampone (accoglienza efficiente, permessi di soggiorno straordinari, apertura dei confini europei) e ricominciare a parlare di tempi per la cittadinanza, di diritto del suolo per i nati ed educati in Italia e di diritto di voto per gli immigrati regolarizzati, come sta chiedendo la Fiom, peraltro nell’assordante silenzio della sinistra? Altre figure, di governo e di opposizione, stanno diventando “superflue”.

Leggi tutti gli articoli di Augusto Illuminati