Lo scirocco e noi

Di Stefano Modeo e Alessandro Terra *

4 / 8 / 2012

Taranto, due agosto ’12, sulla città, come spesso accade, soffia il vento di Scirocco, da molti considerato il simbolo dell’indolenza dei sui abitanti, lo Scirocco infatti è un vento caldo, che soffia da Sud, un vento che mitiga gli inverni di queste latitudini e rende le estati torride e sfiancanti.

Le strade ribollono di un sentimento diffuso e incredulo,un sentimento tipico della tragedia, quello che pone l’individuo di fronte a una scelta, non sintetizzabile nella dicotomia Ilva si, Ilva no, quanto piuttosto nella scelta tra la conquista di una dignità schiacciata da cinquant’anni di ricatto occupazionale o ancora una volta l’indifferenza, la vittoria dello Scirocco .

La confusione scaturita da una morsa dell’acciaio che ha sempre attanagliato le certezze di una popolazione che non ha mai avuto la possibilità di costruirsi un futuro diverso da quello della fabbrica o dell’emigrazione,si riversa in piazza per gridare le proprie contraddizioni,e quasi ad ambire ad una risposta che levi il peso dell’angoscia per il futuro, si trasforma in lotta nei confronti dei poteri che dettano,e che hanno sempre dettato la struttura della cittadinanza tarantina.

Oggetto del temuto è la scissione tra lavoratori e popolazione, i primi vittime di un capitalismo scellerato pronto ad abbandonare alla fame chi l’ha alimentato per tanti anni, i secondi vittime dei fumi velenosi,e non solo, della fabbrica siderurgica più grande d’Europa. Nonostante tutto serpeggia il bisogno di sentirsi uniti, o forse meglio compagni, dal suo più giusto etimo “cum-panis” , colui con cui dividere quel pane che da troppo tempo è duro e amaro. Ed è questo senso d’appartenenza che si vuole rivelare come vero aspetto rivoluzionario di fronte al bisogno del potere di mettere l’uno contro l’altro i poveri, affinché dal conflitto scaturisca la necessità di far tornare tutto come prima, affinché la polvere torni ad essere nascosta sotto il tappeto.

Siamo circa trecento al luogo del concentramento per il corteo. Siamo la coda della manifestazione,tra gli ultimi,quasi fosse una scelta o il destino a porci sempre alla fine. Alla testa dello spezzone c’è un treruote, che diventerà presto simbolo della giornata, con sopra tre operai a sgolare le proprie motivazioni e ad incitare la folla sottostante a farsi sentire. Fa caldo, la gente si bagna la testa e continua ad avanzare verso Piazza della Vittoria, dove è stato installato il palco, da cui, i sindacati confederali si mostrano uniti come non mai nella liturgia degli interventi dei segretari. Lo spezzone che vede finalmente uniti operai Ilva, studenti, precari e tutto un reticolo di associazioni ambientaliste avanza e si gonfia giungendo con la sua voce in Piazza della Vittoria,dove il segretario nazionale della FIOM, Landini, ha appena cominciato il proprio comizio; ma non è più il tempo dell’ascolto, gli operai in testa al treruote si fanno largo con estrema concessione da parte degli altri presenti nel mezzo della piazza e con i propri cori e le proprie richieste ammutoliscono ogni prova di resistenza da parte dei sindacati, la piazza si apre ,nessuno si oppone, il leggendario servizio d’ordine dei sindacati è anch’esso una fotografia in bianco e nero, la gente si abbraccia, si unisce e zittisce totalmente chi dal palco tentava una vana replica. La parola agli operai dunque, primo gesto di libertà ottenuta,dopo anni di soprusi; segue dopo qualche minuto concitato, l’intervento di Aldo, un operaio, ex iscritto Fiom, che introduce ricordando le vittime della strage di Bologna,celebrata contemporaneamente nella stazione famosa, paragonandola alla strage compiuta dall’azienda nel corso dei cinquant’anni trascorsi. La gente applaude, comincia a sentirsi sempre più unita,dal pensionato all’operaio,dal precario allo studente è un abbraccio che si concretizza man mano che le parole vengono lette dall’operaio che non ha mai fatto orazioni nella sua vita e che oggi si ritrova a reclamare il proprio diritto al lavoro e all’ambiente contro il falso interesse sindacalista a braccetto con l’azienda. Il discorso viene concluso velocemente poiché minacciato da un cordone di polizia che fa il conto alla rovescia per la carica. Quello che era uno spezzone è divenuto ormai città intera, non cade nella provocazioni e raccogliendo applausi volta le spalle ai sindacati marciando in direzione opposta e contraria. La folla segue la musica, i cori, la gente sorride perché si ritrova unita,compatta nella stretta di mano tra operai e cittadinanza, felice perché la direzione è chiara, qualcuno grida ‘il futuro è adesso’,altri insultano il ‘padrone’. Ci giriamo, troviamo dietro di noi più di tremila persone al seguito, ci guardiamo con i nostri compagni negli occhi, c’è poco da dire e i corpi parlano meglio di tante parole .

Non ce ne voglia certa sinistra, l’indignazione per il reato di lesa maestà è la cartina di tornasole per un universo imploso ormai da tempo, superato dalla nuova composizione del lavoro e dalla ricerca di un benessere non più sintetizzabile in termini monetari e quindi salariali, superato dall’incapacità delle organizzazioni novecentesche di leggerlo, nonostante i vani tentativi di ricerca di un terreno comune che tenesse insieme la necessità di liberarsi nel lavoro dalla morsa dei ricatti che da Pomigliano giunge fino a Taranto e la necessità di un mondo che non vive la fabbrica come il luogo dello sfruttamento delle proprie esistenze (ma che ne paga in alcuni luoghi altissimi costi sociali) di un reddito di cittadinanza.

Proprio la questione del reddito assume una nuova centralità, la piazza del 2 Agosto definisce un immediato campo d’applicazione di un nuovo welfare per superare le contradizioni di un Capitale sempre più feroce, lo definisce a partire dalla praticabilità di un reddito elargito da chi ha causato lo scempio ambientale e sociale degli ultimi cinquant’anni, come declinazione territoriale di una richiesta che i movimenti globali avanzano da anni, ovvero che la crisi la paghi chi l’ ha generata.

Intanto il vento di Scirocco continua a soffiare sulla Città dei due Mari ma non sfianca, riscalda i cuori di una comunità che si è ripresa un pezzettino della sua dignità e ci rendiamo conto d’aver lasciato,nel cammino,le ciminiere alle spalle e di avere innanzi il futuro in fase di scrittura.

  • Attivisti Occupy Archeotower- Taranto