L'ordine di Alemanno

Utente: Lukone
13 / 10 / 2009

La lista di spazi chiusi, sotto sgombero, con ordinanza di chiusura, dopo quindici mesi di giunta Alemanno a Roma, comincia a diventare lunga.

Dell’Angelo Mai si era occupato un Veltroni già offuscato da sondaggi che lo davano vincitore sulla sicurezza. Poi è arrivato “quello con la celtica al collo” che va ad Auschwitz (e di recente anche a Lourdes) a ripulirsi l’anima: ha chiuso il Teatro del Lido, ha fatto sgomberare l’Horus che è stato poi liberato ma che di nuovo è sotto sgombero, ha sigillato quasi per intero il Rialto, ha intimato la chiusura del Teatro Furio Camillo e dei teatri storici di Roma sotto i cento posti, per non parlare dell’offensiva sulla casa e il diritto all’abitare.

Ha preso di mira gli spazi pubblici, autogestiti, del “privato sociale” che in maniera più continuativa hanno intrecciato in questi anni produzione culturale, vocazione territoriale, sperimentazione politica intesa come partecipazione, condivisione di percorsi reticolari, costruzione di immaginari nuovi contro una visione lobbistica, mafiosa, parassitaria dell’evento culturale. Ha colpito là dove, nel deserto telecratico, migranti, diversamente abili, scuole, centri anziani sono stati vissuti come una risorsa, come un investimento progettuale e non come una zavorra, una periferia, un serbatoio di voti a non rendere.

Hanno declinato la sicurezza come prevenzione, inclusione, ricchezza e non come repressione, ordine pubblico, emergenza. Hanno datto spazio e visibilità al contemporaneo, a quello che si muove oggi e che sarà il domani del teatro, della musica, della videoarte, del cinema, mettendo in piedi forme alternative di produzione e di distribuzione, modificando la realtà del fatto estetico, rilanciando l’idea dello spazio pubblico come luogo fisico e concettuale inevitabile di un’arte ibrida, multipla, totale cioè politica senza essere propaganda ed emozionante senza essere contemplazione dell’ombelico.

Questo attacco, questa guerra è casuale, estemporanea? Lo è e non lo è. Lo è nella pochezza di questi picchiatori ripuliti, nella loro incapacità di leggere il presente, cioè il passato e il futuro, nel loro rivendicare il ruolo salvifico del privato e la fine del pubblico senza sapere di cosa parlano davanti a una crisi epocale come quella che viviamo. Non lo è se si pensa ai tagli del FUS, alla scuola, alla ricerca e all’università, cioè se si inquadrano le ‘piccole’ decisioni nei territori, che lasciano le strategie su culture e saperi alla polizia o alla burocrazia, dentro un disegno generale di massacro del diverso, dell’altro, del critico.

In questo senso il discorso parte da molto più lontano: dal trionfo dell’industria culturale, dal mercato come parametro unico della qualità di uomini e cose, dalla mistificazione di una legge economica primaria che dice che è l’offerta che fa la domanda e non viceversa (cioè che non è vero che la “gggente vuole questo”, grando fratelli e piccoli cervelli, platinette e alba parietti).  Perché tra platinette e Marcuse, non c’è storia, non bestemmiamo, vero Alemanno?

Giovanni Greco, Associazione Le Sirene