Verso la manifestazione nazionale contro gli inceneritori che si terrà a Parma il 17 aprile 2010

L'Università difende l'ambiente, la salute, i beni comuni e il territorio

Appello ai ricercatori e ai docenti delle Università dell'Emilia Romagna

13 / 4 / 2010

A Parma si è dato il via alla realizzazione di un progetto di gestione dei rifiuti che presenta diversi punti ancora oscuri: un mega inceneritore che brucerà 130.000 tonnellate di rifiuti l’anno, che dovrebbe sorgere nel cuore della tanto sbandierata Food Valley, in aggiunta ai nove inceneritori già presenti nel territorio regionale.

Contemporaneamente, a livello nazionale, si procede alla riapertura delle centrali nucleari, pubblicizzate come un’opportunità per la nazione italiana di acquisire autonomia energetica, e all’introduzione degli Ogm nei campi italiani, dopo il via libera alla coltivazione della patata Amflora da parte dell’Efsa.

Questo piano di riorganizzazione nazionale e locale delle fonti energetiche e del trattamento dei rifiuti va di pari passo all’azione del Governo in materia di formazione e ricerca, che si è tradotta sostanzialmente in tagli indiscriminati all’università e alla scuola.

Ciò che spinge noi studenti  a scrivere un appello rivolto ai docenti e ai ricercatori delle università dell’Emilia Romagna è il bisogno di prendere parola collettivamente sulla situazione che abbiamo di fronte ai nostri occhi. Pensiamo che sia doveroso da parte di chi studia e fa ricerca all’interno dell’università prendere una posizione chiara in difesa dell’ambiente e della salute, sulla base delle conoscenze e degli studi accumulati con il proprio lavoro. Soprattutto in un momento così difficile per i docenti e i ricercatori, segnato da tagli alla ricerca, dalla precarizzazione del corpo vivo dell’università e dalla dequalificazione del lavoro dei ricercatori, ridotti a tappabuchi di una università basata sullo sfruttamento e spesso sul lavoro a costo zero, costretti a svolgere incarichi di docenza (lezioni in aula, ricevimento studenti, assistenza per le tesi e gli esami) pur non essendo strutturati né retribuiti, con la vita scandita dai contratti a progetto.

 Gli effetti  concreti di questo processo di dismissione dell’università pubblica sono direttamente percepibili anche da noi studenti. Esempi concreti sono gli stage e i tirocini che svolgiamo gratuitamente nelle imprese private, il tempo di studio ridotto ad una mera sommatoria di crediti, l’autonomia di scelta dei percorsi di studio sempre più limitata.

 Ma a preoccuparci ancor di più oggi è la dequalificazione dei saperi stessi , sempre più sottomessi a interessi economici di aziende che finanziano la ricerca su loro stesse e sui loro prodotti.

In questo scenario è evidente che la possibilità di svolgere la ricerca di base viene ridotta all’osso.

Ma con quali conseguenze per l’innovazione e lo sviluppo, intesi come possibilità di migliorare la qualità di vita, compatibilmente al rispetto per l’ambiente e il territorio?

 Perché la questione non è decidere a priori se una determinata tecnologia debba essere impiegata o meno, ma avere la possibilità di studiarla sotto diversi punti di vista, di analizzarne gli impieghi, di sviscerare gli effetti che produce sui territori in cui viviamo e le possibili alternative.

 La politica dimostra quindi non solo una certa miopia nel dequalificare e tagliare il mondo della formazione e della ricerca, ma anche una certa arroganza nel momento in cui prende decisioni senza conoscere! Questa “malattia” della ricerca non è tanto dovuta ad un’errata  gestione dei fondi, quanto ad un malessere sistemico. La precarizzazione della figura del ricercatore diventa chiave di volta per il perseguimento di obiettivi  non certo sociali o rivolti al bene comune, quanto  di tipo meramente economico. La conseguenza diretta è la dequalificazione della ricerca a “marchio” per poter dire che un tal prodotto è certificato da una certa università o da un certo gruppo di ricerca.

 Sabato 17 aprile 2010 Parma ospiterà una grande manifestazione nazionale contro gli inceneritori, con lo sguardo rivolto verso una nuova politica di gestione dei rifiuti, pensata e realizzata direttamente dai cittadini, in forma attiva e responsabile, attraverso la raccolta differenziata e la strategia Rifiuti Zero.

 Per chi come noi lavora, insegna, fa ricerca e studia all’interno dell’Università, partecipare a questo corteo potrebbe significare tanto. Significherebbe scendere in strada con il proprio portato di esperienza, di conoscenza e di consapevolezza. E inoltre sarebbe un’occasione giusta per denunciare le politiche di strumentalizzazione della ricerca e di uso propagandistico dei saperi, sempre più sottomessi all’agenda dell’economia politica.

Sapere degradato e centralizzazione dei mezzi della sua diffusione diventano gli strumenti necessari per la costruzione di un nuovo regime di verità che vede il cittadino come semplice fruitore di una serie di nozioni incontestabili ,snocciolate dall’alto con superficialità ma con grande potenza mediatica.

Partecipare il 17 aprile e manifestare  la contrarietà a questo modello diventa più che doveroso. Non solo per l’esistenza della nostra università e per il ruolo che essa deve assumere, non solo per l’esistenza precaria di chi è costretto a vincolare il proprio cervello a contratti a progetto, ma perché qui si sceglie del nostro stesso futuro: o quello dell’autonomia dei saperi e della ricerca o quello dell’ignoranza a discapito del benessere collettivo.

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