Ma allora non avete capito un casco!

L'aggressione di Padova come innalzamento della soglia di impunità per le forze di polizia.

11 / 3 / 2014

Lunedì 10 marzo, centro di Padova, ora di pranzo. Zeno, attivista del Cso Pedro, è in attesa alla fermata dell'autobus. Passa un furgone della Celere, lo vede, fa inversione di marcia e si ferma davanti a lui. Scendono otto o forse dieci agenti in divisa, lo circondano, lo minacciano. Prova a toccarci e ti insacchiamo di mazzate. Testuale. Si aggiunge rapidamente l'equipaggio di una volante. Zeno ha abbastanza esperienza per non reagire. Allora ci pensano loro. Una successione di colpi sferrati in mezzo agli studenti che rincasano da scuola e che provocano la frattura di una costola, lesioni cervicali, contusioni sparse, per una prognosi iniziale di venti giorni. Ricordate quel “appena arrivano fracassateli, dio boia!” rivolto tra gli altri all'agente “Pizza” poco più di un anno fa davanti alla stazione? Noi ce lo ricordiamo bene e probabilmente qualcuno degli esecutori di quell'ordine così intriso di eleganza anglosassone anche. E chissà che non sia uno di quelli sceso dal furgone.

Di certo questi praticanti dello sport dieci-contro-uno devono aver seguito il dibattito parlamentare che ha fatto transitare al Senato il disegno di legge per l'introduzione del reato di tortura nel nostro ordinamento penale, paralizzandone qualsiasi effetto deterrente per le forze dell'ordine. Devono essersi resi conto che di fatto consente loro margini più ampi di impunità a fronte di comportamenti illeciti. Diversamente risulta incomprensibile come davanti a un' aggressione a freddo, estranea sia a funzioni di ordine pubblico che a quelle di controllo di routine (essendo Zeno perfettamente conosciuto, al punto da suggerire un'inversione di marcia), abbiano poi ritenuto di sequestrarlo illegittimamente per più di sei ore reiterando insulti e minacce, di ignorare le sue richieste di intervento medico, di impedirgli di contattare gli amici, la famiglia, l'avvocato. Rilasciandolo solo dopo che dalla visione dei filmati risultava che nessun elemento poteva giustificare la trasformazione del suo fermo in arresto.

Ora con ogni probabilità Zeno dovrà fare i conti con la solita rappresaglia della denuncia per resistenza, oltraggio, lesioni e tutto il quadro di miseria menzognera che siamo abitati a prendere in carico in queste circostanze. Ci stupirebbe il contrario. Ma quello che non avete capito, Signori del Manganello Facile, è che qualcosa si è irrimediabilmente incrinato nel quadro che per decenni ha governato il sistema del salvacondotto permanente a copertura degli abusi commessi dalle forze di polizia. Ora la Camera valuterà un testo sulla tortura che vuole spostare sul piano generico l'essere voi il destinatario esclusivo di una norma alla quale il nostro Paese è chiamato da trent'anni ad adeguarsi. La renderà di ulteriore difficile applicazione se approverà il principio della reiterazione delle violenze a integrazione imprescindibile del reato.

Non avete capito che se così sarà ciò non farà altro che rafforzare la campagna che è stata aperta per far cessare questo indegno sistema di impunità. Perché anche se nessuno di voi dovesse mai uscire da un'aula di tribunale con addosso il marchio d'infamia del torturatore saranno sempre di più quelli che si batteranno perché gli uomini e le donne delle nostre quattro polizie, che indossino o meno la divisa, che siano intruppati alla Robocop o rincasino a notte fonda in preda a qualche sostanza particolare, siano assoggettati a regole certe. I nomi dei cittadini che avete assassinato non ve li ricordiamo: li conoscete quanto noi. Vi ricordiamo invece che non durerà a lungo la copertura che rende indefinibili le regole d'ingaggio, che rende inesistente qualsiasi norma di garanzia circa l'uso delle armi. Vi ricordiamo che sta per finire la pacchia che vi rende non riconoscibili perché, a differenza che in quasi tutta Europa, sulle vostre divise non ci sono numeri o sigle identificative. Non avete capito, soprattutto,  che non ci avrete mai come volete voi.

Padova - Testimonianza di Zeno Rocca

Padova - No agli abusi e alle violenze delle "forze dell'ordine"