Mestre (VE), 12 dicembre - Intervento dell'Onda dal palco di piazza Ferretto

13 / 12 / 2008

La crisi che oggi interessa il mondo intero appare sempre più come una crisi strutturale del modello neoliberista e della finanza globale.
Gli effetti della crisi si stanno facendo sentire anche qui in Italia, eppure, da più di due mesi, un’onda anomala sta dimostrando che la paura o il “si salvi chi può”, non sono le uniche opzioni possibili.
Per noi la crisi è diventata un’opportunità, un’opportunità da agire fino in fondo per riprendere in mano il destino della nostra scuola pubblica e per trasformare la nostra università.
Perché non è la nostalgia ad averci spinto fin qui, perché il nostro obiettivo non è la conservazione di ciò che esiste, ma la creazione di un’università e di una ricerca nuove.
La legge 133 che taglia fondi all’università, che impedisce il ricambio generazionale del corpo docente colpendo i giovani precari e che propone un insostenibile processo di privatizzazione, è stato il detonatore della nostra protesta, di una protesta che però, non dimentica la politica dissennata che ha contribuito, negli ultimi vent’anni, a mortificare l’università, sia sotto i governi di destra che sotto quelli di sinistra.
Alla discesa dell’istruzione superiore nella crisi attuale, hanno contribuito rettori e baroni con la loro arroganza feudale e la loro disponibilità ad accompagnare l’aziendalizzazione dei nostri atenei.
Dunque, con chiarezza e una volta per tutte diciamo: la lotta dell’onda non è la lotta di questi signori, e non è nemmeno la lotta di partiti o organizzazioni che intendono strumentalizzarla per calcolo politico.
L’irrappresentabilità rimane una caratteristica costitutiva e costituente dell’onda, la sua allergia alle sigle, ai simboli, ai meccanismi identitari è stata il carburante che, dall’inizio, ci ha spinti a fare ciò che fino a pochi mesi fa sembrava impossibile, a intraprendere un percorso di trasformazione della nostra università e a farlo attraverso la messa in moto di pratiche di democrazia radicale e di autoriforma.
Credo si possa affermare che l’onda ha, di fatto, contribuito a cambiare la percezione diffusa di un paese imprigionato tra il dramma della destra e l’inadeguatezza delle sinistre, di un paese vittima della psicosi securitaria che alimenta la paura come strumento di controllo delle nostre vite, attribuendo a Rom e migranti il ruolo di carnefici e alle donne quello di vittime.
L’onda si è imposta come movimento non corporativo, come una vera e propria energia sociale diffusa e dirompente.
Questo testimonia della centralità del mondo della formazione, che oggi, non è più esclusivamente una centralità produttiva legata al valore della conoscenza in quanto merce. Al contrario, gli ultimi mesi hanno dato prova di un nostro inedito protagonismo politico.
Nell’onda intravediamo nuovi processi di formazione di una nuova classe libera e irrappresentabile.
Sotto questo profilo, il classico adagio dell’unione tra lavoratori e studenti assume un nuovo significato. Nell’epoca della mercificazione del sapere e dell’aziendalizzazione dell’università, lo studente è immediatamente produttore di valore, più che in via di formazione esso è già messo al lavoro nel tempo degli studi.
Dunque, mai come oggi, la sua ribellione è una ribellione che accade nel cuore del nostro modello produttivo.
Non è un caso che lo slogan “noi la crisi non la paghiamo” sia emerso dall’onda. Il problema di tutto il mondo della formazione e della ricerca è oggi un problema di precarizzazione infinita, è un problema di reddito e di welfare.
E’ un problema che, ovviamente, non si esaurisce dentro mondo della scuola e dell’università, ma che riguarda la totalità delle figure sociali su cui si vogliono fare ricadere i costi di una crisi che non abbiamo provocato.
Per questo, oggi, l’onda partecipa allo sciopero generale tentando di generalizzarlo, ovvero mescolandosi con i lavoratori precari di ogni settore, aprendosi ai migranti, tra i più colpiti nell’attuale fase di crisi, sottolineando l’urgenza della questione di genere, poiché le donne sono più esposte ai ricatti del precariato, invitando il movimento del No dal Molin che rappresenta uno splendido esempio di costruzione del territorio come bene comune.
Infine, questa giornata, per quanto riguarda l’onda, non significa affatto la fine di un percorso, ma l’apertura di una nuova fase che da Gennaio ci impegnerà su due livelli tra essi strettamente intrecciati. Il primo ci vedrà protagonisti a livello territoriale, agendo per trasformare le nostre università a partire da rivendicazioni di carattere locale, il secondo sarà quello della costruzione di efficaci strumenti di welfare che garantiscano al mondo della formazione e a tutta la vasta galassia del lavoro precario quell’autonomia e quella libertà che sono condizioni necessarie, non tanto alla sopravvivenza, quanto piuttosto, alla felicità e alla pienezza delle nostre vite.
Alexis vive!!


Onda Anomala Venezia

Foto di Veronica Badolin