Morire di razzismo, morire di Stato

5 / 6 / 2018

Riprendiamo un articolo scritto dalla redazione di Melting Pot e da Matteo De Checchi sull’uccisione di Soumayla Sacko, il sindacalista ucciso in Calabria a colpi di fucile. Ieri centinaia di braccianti sono scesi in piazza a San Ferdinando al grido di «Schiavi mai», «Soumayla, uno di noi» e «Salvini, la pacchia è finita per te», in relazione alle dichiarazioni fatte dal Ministro dell’Interno sul rimpatrio dei “clandestini”.



Soumayla Sacko è morto, ammazzato, la notte di sabato scorso in un tiro al bersaglio che ha coinvolto tre migranti all’interno di una fabbrica abbandonata al confine tra Vibonese e Reggino. Un uomo ha sparato ai tre “colpevoli”, a quanto pare, di essere in quel posto per raccogliere pezzi di ferro che poi avrebbero utilizzato per sistemare la baracca dove vivono da anni; una delle tante baracche che compongono il tristemente famoso ghetto di Rosarno, oggi diventato una grande bidonville che, oltre alle baracche, comprende una tendopoli istituzionale e una informale sorta negli ultimi mesi, proprio nel boom della stagione agrumicola.

Sacko era un bracciante come tutti gli altri, impegnato e attivo con l’USB per far rispettare i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici bracciantili nella Piana di Gioia Tauro; durante la stagione agrumicola migliaia di africani si riversano in Calabria per raccogliere arance e limoni per qualche euro l’ora, stipati tra ghetti, casolari abbandonati o fabbriche occupate. Condizioni di sfruttamento e di dramma che più volte abbiamo denunciato e che da anni seguiamo direttamente sul campo.

La sparatoria, e il conseguente omicidio, avviene a poche ore di distanza dal giuramento del nuovo governo, il più a destra dell’intera storia repubblicana, un concentrato di populismo, razzismo e xenofobia che è immediatamente esploso nelle parole del nuovo ministro degli interni che, non a caso, si è scagliato contro il modello di accoglienza del sindaco Lucano a Riace e non ha perso tempo nel mettere in campo la propria retorica fascista additando come nemico il migrante, lo zingaro e in generale tutti coloro che vivono ai margini della società. A comporre il puzzle della follia, poi, la spinta violenta legata all’idea che sia sempre e comunque giusta la difesa personale, ovviamente con un’arma, cavallo di battaglia della Lega sulla falsariga di un modello americano che ancora oggi conta centinaia di morti innocenti.
Il degrado insomma va spazzato via, anche violentemente, per far posto ad una società di bianchi ligia ad una nuova apartheid che nell’intera Europa sta prendendo sempre più piede.

«Aiutiamoli a casa loro» slogan sdoganato anche da una parte della "sinistra", nasconde in realtà le condizioni di sfruttamento di migliaia di migranti costretti a lavorare al limite della schiavitù tra campi e fabbriche.
È un sistema di gentrificazione, che fa leva sul concetto di degrado e di paura, concepito sì da un sistema liberista vicino all’estrema destra, ma avvallato e messo in pratica anche dalla sinistra istituzionale. Minniti docet. È proprio da qui che è nata l’idea del Daspo urbano, già applicato in molte città italiane, direttamente collegato alla “strategia della prigione”, leggasi CIE o CPR, lager istituzionali dove rinchiudere l’altro.

La morte di Sacko, per tutti “rasta”, è però anche il frutto di anni di immobilismo istituzionale, a partire proprio dalle istituzioni calabresi, che non sono mai riuscite a ragionare in termini di accoglienza diffusa di fatto mettendo in campo politiche di ghettizzazione che non hanno minimamente scalfito il drammatico sfruttamento lavorativo nella Piana di Gioia Tauro negando così il diritto all’abitare, diritto fondamentale per ogni essere umano.