Sgomberato il campo rom di campo rom di Giugliano

Napoli - Una giornata con i rom

di Carlo Puca*

14 / 4 / 2011

Arrivo ore 8:30 al campo nomadi di Giugliano. Basta un giro tra la gente per capire la disperazione: “ci stanno rovinando!”. Case di legno, roulottes…è quella la loro  vita, non possono portargli via anche quel poco che hanno. Il rumore delle ruspe che abbattono le abitazioni è inquietante…ma i bambini continuano imperterriti a giocare. Una donna piange, si dispera: sono 30 anni che abita in quel campo,  non la possono mandare via. Appena arrivati c’è  tanta diffidenza verso di noi, tante domande: ormai non sanno più di chi fidarsi e di chi, invece, no. Cerchiamo di spiegargli che siamo lì per loro, scherziamo un po’…ed è fatta, prendono confidenza! I ragazzi, scossi dalla situazione, riescono comunque a sorridere. Ci accompagnano a vedere le loro case, o quello che resta di esse. Alcuni ci chiedono di aiutarli a spostare le roulotte, altri ci raccontano un po’ di loro. Le ruspe intanto continuano il loro lavoro. Alcuni attivisti provano ad opporsi alla demolizione della casa simbolo del campo da ben 30 anni, niente da fare. Restiamo impietriti a guardare con loro questo “spettacolo” spettrale cercando di tirarli su in qualche modo. Ma è difficile: non sanno dove andare. Solo 24 container (di cui 3 sono stati bruciati prima dell’assegnazione) sono stati messi a disposizione dei 750 Rom abitanti del campo. Evidentemente troppi pochi per contenerli tutti. La maggior parte di loro non ha una meta, i “più fortunati” abitano in un container di 10 metri quadrati, il tutto circondato  da un muro di cinta, quasi come un campo di concentramento.

La gente non si da pace, continua a chiedere  il perché di questo sgombero.  La risposta sempre la stessa: il territorio occupato è inquinato. Ma in effetti solo il muro di cinta divide il vecchio campo da quello messo a disposizione per i 24 container.

Entriamo nel nuovo campo occupato da  circa un mese;  ancora una volta veniamo accolti con molta diffidenza, ma anche qui dopo poco cominciano ad aprirsi, a raccontarci le loro storie. Conosciamo Silvio, uno dei “fortunati”, ci spiega che in quei container mancava luce e acqua. A tali bisogni hanno provveduto autonomamente allacciandosi alla rete pubblica.

Il resto dei nomadi, abbandonati a se stessi, raccolte le loro povere cose, si sono diretti in cerca di una nuova sistemazione, si spera per questa volta definitiva.

* Commons! - Rete dei comitati per i beni comuni