Padova - Diritto al dissenso, azione giudiziaria, libertà di movimento

Il 12 marzo un convegno promosso da Padova Città Aperta per focalizzare le problematiche del diritto penale e delle misure giudiziarie verso gli/le attivisti/e politici/che.

28 / 2 / 2015

Viviamo in un tempo che richiede ed impone profonde trasformazioni. Abitudini radicate da scardinare, etichette e stereotipi da rivedere e superare per liberare la mente da paradigmi ormai soffocanti. Essere disorientati, avere paura forse è normale, umano. Ma non per questo ogni istanza di cambiamento deve essere ridotta ad un problema di ordine pubblico.

E' impensabile che in un contesto di crisi economica persistente da sette anni le tensioni sociali non generino conflitti anche dirompenti; contemporaneamente assistiamo ad una ridefinizione delle leggi e del diritto, al quale viene richiesta esclusivamente efficienza repressiva a discapito del compito di compensazione delle diseguaglianze nel quadro della presunzione d'innocenza.

Il nostro sguardo sulla realtà parte da Padova, dove più forte è la voce di chi non si è arreso ai diktat della Troika ma continua a chiedere garanzie facendosi interprete dei bisogni della collettività. Tanto nelle piazze quanto nei posti di lavoro vediamo un corpo sociale reattivo e determinato, ma vediamo anche che da cinque anni ogni iniziativa di attivismo politico genera una scia di procedimenti penali e misure cautelari.

Così all'indomani delle pesantissime condanne inflitte a Torino contro gli attivisti No Tav, Padova vede la richiesta di 25 anni di carcere per i fatti del 14 Novembre 2012 e l'esecuzione di cinque misure cautelari per la manifestazione del 14 novembre 2014.

Il corteo del 2012 rispondeva ad una chiamata europea contro l'austerità, per nuovi investimenti nel welfare. La manifestazione cercava di raggiungere la stazione ferroviaria, fu pesantemente attaccata dalla polizia al grido di “fracassateli!”: una logica che abbiamo rivisto identica nella carica subita dai lavoratori delle acciaierie di Terni lo scorso 29 ottobre a Roma. Ora nove persone rischiano condanne fino a quattro anni e due mesi di reclusione: richieste come questa ci paiono inaccettabili. Ancor più ci preoccupa il modello del castello accusatorio proposto: la formulazione delle imputazioni è basata non sulla contestazione di atti compiuti ma su interpretazioni e letture avanzate dall'accusa. Ci sembra che il tempo sia rimasto fermo a qualche decennio fa.

Ci sono altri procedimenti in corso, che non riguardano fatti di piazza ma il tentativo di dare soluzioni concrete a problematiche legate al mondo del lavoro e al diritto all'abitare, due elementi irrinunciabili per una vita degna. Sono aperti due procedimenti nei confronti di attivisti sindacali e lavoratori che hanno svelato condizioni di lavoro nei grandi magazzini e metodi di gestione del personale di tipo mafioso, e si sono opposti a tentativi di corruzione messi in atto per fermare le vertenze e nascondere la verità. Mentre per decenni nessuno si era mai accorto della mafia nella logistica, ora che questa situazione viene palesata chi lotta per il ripristino della legalità sui posti di lavoro viene messo sotto processo. Il diritto sta subendo molte ridefinizioni: ci chiediamo in quale direzione.

Un ultimo aspetto ci lascia profondamente inquieti: la facilità con cui si procede all'irrogazione di misure discrezionali contra personam come arresti preventivi, obblighi di firma, fogli di via, obblighi di dimora. Questi provvedimenti dovrebbero servire nelle prime fasi dei procedimenti laddove sussiste il pericolo di reiterazione o di fuga. Il modo ed i tempi invece in cui vengono attuati ci sembrano tesi a bloccare chi solleva in prima persona istanze sociali generando la paura della punizione inappellabile. Che senso hanno i cinque provvedimenti eseguiti pochi giorni fa in seguito al corteo del 14 novembre 2014? Che senso ha, per fatti avvenuti in Padova, imporre ai presunti responsabili di non allontanarsi dalla città? Che senso ha mettere in atto queste misure tre mesi dopo i fatti, senza che si configurino le condizioni perché si possano ripetere? Ci sembra evidente che non ci sia nulla da prevenire, oggi. Questi provvedimenti sono dettati da una ragione non giuridica, ma da una volontà intimidatoria.

I fogli di via ci paiono anacronistici, e di fatto stanno divenendo atti intimidatori e di punizione preventiva perché assumono preliminarmente la colpevolezza di un individuo senza che sia data la possibilità di entrare nel merito delle azioni compiute e di approfondire le circostanze e motivazioni che sottendono i comportamenti di ciascuno. In uno Stato democratico la certezza del diritto non può essere ridotta alla sua bieca efficacia. Provvedimenti di questo tipo sono sanzioni dirette a censurare e a marginalizzare le persone sulla base del disaccordo che hanno espresso.

La situazione che si configura ci lascia sbigottiti. Ci domandiamo se sussistano i termini reali della libertà di dissentire oggi a Padova ed in Italia, se sia ancora possibile l'essere protagonisti del necessario cambiamento in atto o se invece si stia cercando di diffondere una logica di repressione preventiva per ogni evento legato al dissenso sociale.

Vogliamo in queste righe esprimere tutta la nostra preoccupazione per il deteriorarsi delle condizioni di agibilità politica da parte di chi non esita a mettersi in gioco per costruire una società migliore denunciando la miseria del presente. Crediamo che lo stato di salute della democrazia si misuri con la possibilità del dissenso, specialmente nel momento in cui ogni aspetto della vita umana è in continua trasformazione: per questo Vi invitiamo al convegno organizzato da Padova Città Aperta:

“Diritto al dissenso, azione giudiziaria, libertà di movimento”

che si terrà in Sala Anziani presso Palazzo Moroni giovedì 12 marzo alle ore 21, con interventi di 

Giovanni Palombarini, ex magistrato padovano.

Giuseppe Mosconi, docente dell'Università di Padova

Annamaria Alborghetti, avvocata

Ernesto Milanesi, giornalista

Luigi Manconi. senatore della Repubblica

Per riportare Padova ad essere una città libera, contro la criminalizzazione dei movimenti, per la libertà di dissentire.