Pensare alleanze: un'intervista a Judith Butler

12 / 4 / 2018

Per la nuova uscita della rubrica Il pensiero alla radice pubblichiamo la traduzione, a cura di una nostra collaboratrice, di un'intervista a Judith Butler pubblicata in francese sull'Humanité (8 marzo 2018) e ripresa in inglese da Verso. L'intervista tocca i temi di attualità, primo tra tutti il movimento femminista che si sta diffondendo a livello globale, e li offre all'interpretazione delle ultime ricerche della filosofa statunitense, dedita da alcuni anni alla teoria della performatività applicata agli spazi creati dai corpi messi in relazione dai momenti assembleari e di resistenza alle varie forme di potere. Nelle parole della filosofa è possibile rintracciare un metodo che ci sembra estremamente vitale: quello dell'intersezionalità e della tensione continua all'inclusione di tutte le lotte, da quelle femministe e queer a quelle antirazziste e per i diritti del lavoro. L'obiettivo è tanto semplice quanto complicato da tradurre in pratica: l'organizzazione del comune per permettere l'emancipazione collettiva di tutti e tutte. 

 “Per me la sfida non è trovare un quadro singolo o di sintesi, ma trovare un modo per pensare alleanze.”

Judith Butler ha sicuramente lasciato un segno all’interno degli studi di genere. Il suo lavoro critico sul pensiero femminista e la psicoanalisi, assieme alla sua interpretazione di Derrida e Foucault, hanno fatto di lei un punto di riferimento in tutto il mondo. Nata a Cleveland, la filosofa insegna letteratura alla University of California, Berkeley. La sua opera più importante, Gender Trouble (Questioni di genere. Il femminismo e la sovversione dell’identità), pubblicata negli Stati Uniti nel 1990, ha ridefinito la politica femminista della sovversione. Il suo pensiero preoccupa perché ha deciso di indagare la “problematica articolazione” del genere e della sessualità spiegando il concetto di “performatività”. Il pensiero di Butler si rivolge ai margini (queer studies) ed è un appello alla decostruzione di un’identità instabile. Ha ricevuto il premio Adorno nel 2012.

Cos’è cambiato con il movimento del #metoo?

Il contributo importante del #metoo è che un pubblico più ampio è ora in grado di comprendere l’esistenza sistemica e pervasiva della condotta sessuale coercitiva contro le donne. Non si tratta solo di una serie di incidenti, ma mette in evidenza il carattere dato per scontato della coercizione sessuale. È importante allo stesso modo perché molto spesso le donne provano vergogna quando hanno subito una violenza. Quindi la loro storia non viene raccontata, e lo stato nascosto di questo tipo di violenza permane.  Molte persone ora credono alla tesi femminista, secondo la quale questo tipo di comportamento è pervasivo, e questo stato di cose è considerato finalmente attendibile. I tentativi di dipingere come isteriche le donne che raccontano la storia della loro denuncia non sono più del tutto plausibili. E forse saranno ancora meno plausibili nel futuro.

Dopo la Women’s March, che ha seguito le elezioni di Donald Trump negli Stati Uniti, il movimento femminista si trova nel cuore della sfida al sistema patriarcale, conservativo e neoliberista. Il femminismo è diventato la rappresentazione di un nuovo “proletariato” in senso marxista, di una “classe” il cui interesse è quello di sovvertire l’ordine prestabilito?

No, non penso che le donne siano il nuovo proletariato, anche se le donne povere della classe operaia sono sempre state parte di quella classe. Sicuramente non si può pensare alla classe senza pensare ai modi sproporzionati in cui le donne subiscono sia povertà che analfabetismo. E non possiamo pensare alla categoria delle donne senza pensare alla classe. Queste categorie sono già parte le une delle altre, non sono assi di potere distinte. Certamente, coloro che hanno teorizzato la classe non sempre hanno prestato attenzione alle donne, e le femministe a volte si sono concentrate sul patriarcato escludendo la classe. Ma abbiamo bisogno di descrizioni più ricche di quelle fornite da questo quadro. Se ci domandiamo, com’è vissuta la classe dal genere? O com’è vissuta la razza dalla classe? Iniziamo a vedere come le realtà, così costituite, possano apparire nel nostro modello di rappresentazione, e questo renderà la nostra analisi politica più vivace e convincente.

Come si passa dalla contestazione alla costruzione politica di alternative alla dominazione maschile e capitalista? Dove cerchiamo un progetto politico comune?

Anche se è importante pensare alla nozione della dominazione maschile di Bourdieu e ai rapporti di sfruttamento e alienazione propri del capitalismo, questi non sono gli unici due modelli di potere al lavoro. Non è chiaro, per esempio, se il neoliberismo si comporti come un tardo capitalismo o se sia un modello di potere diverso. Inoltre, la discriminazione che si basa sul genere, non è sempre dello stesso tipo di quella contro le donne. Molte persone che non sono conformi alle norme di genere – maschile e femminile – subiscono discriminazioni e violenze, e quelle forme di discriminazione di genere non possono essere spiegate nel quadro della dominazione maschile. E le discriminazioni che si basano sulla razza, sullo status di immigrato, sulla religione e sulla sessualità, devono tutte essere considerate come una parte del presente clima di politiche reazionarie. Per me la sfida non è trovare un quadro singolo o di sintesi, ma trovare un modo per pensare alleanze. L’alleanza è ampia, e si espande, ed è una lotta per una democrazia più radicale. Se c’è un progetto politico comune, è nell’affermazione di una società che si unirà per combattere le nuove forme di autoritarismo e fascismo – le donne e i loro alleati saranno indubbiamente in prima fila, ma così anche queer, omosessuali e transessuali, sans papiers e coloro a cui il lavoro non garantisce un salario decente. Se sappiamo quello contro cui combattiamo e che mondo vogliamo costruire, troveremo la nostra causa comune.

Stanno ancora cacciando le streghe..

L’immagine  presente a questo link esprime l’odio ultra conservatore e fondamentalista religioso per il lavoro di questa importante figura degli studi di genere. Invitata a prendere parte a una conferenza in Brasile nel Novembre del 2017, Judith Butler è stata accolta da dimostrazioni di inusuale violenza. La presenza di forze dell’ordine ha impedito che i manifestanti facessero irruzione nell’aeroporto internazionale di Sao Paulo, nella capitale economica e culturale del paese. Agli insulti sono seguite le azioni. I manifestanti, che brandivano crocifissi, hanno bruciato una strega a sua effige. Questo atto si riferisce a una pratica dell’Inquisizione che era solita bruciare i “posseduti”. La filosofa ha reagito così: «Ero orripilata. Forse le persone che hanno bruciato la mia effige, rappresentandomi come una strega che difende le persone transessuali, non sanno che le donne che venivano chiamate streghe e bruciate vive erano donne le cui credenze non corrispondevano a quelle del dogma cattolico […] Alle streghe venivano attribuiti poteri speciali, erano capri espiatori la cui morte serviva a purificare la comunità dalla corruzione morale e sessuale».

(Traduzione a cura di Anna Stefani)