Un commento a 40 anni dalla strage di Piazza Fontana a Milano

Quella sera a Milano era caldo… brigadiere apra un po' la finestra… (c'era del marcio a Milano)

Verità & Ipocrisia a quarant'anni da Piazza Fontana

9 / 12 / 2009

La retorica celebrativa de "La Madre di tutte le Stragi" si nutre principalmente di cifre. Quarant'anni trascorsi, diciassette morti, ottantaquattro feriti, cinque istruttorie, dieci processi, cinquecentomila documenti archiviati, una sentenza tombale, nessun colpevole, a zero la verità giudiziaria. Per poi articolare meglio la sua enfasi nella amarezza ufficiale del presidente della Repubblica, causa il "peso che lo stato italiano porta su di sé", nel rituale incontro con i familiari delle vittime. Memoria civile, ferita ancora aperta, riflessione, interrogativi angosciosi, riconciliazione con il passato, ricomposizione storica, guardare avanti senza dimenticare o rimuovere: nessun luogo comune viene risparmiato tra un baciamano e un abbraccio. Però. Non è stato nessuno. Anche se ha un nome chi ha ordinato i timer alla ditta Elettrocontrolli di Bologna, chi ha acquistato la borsa in pelle alla Valigeria Duomo di Padova, chi l'ha riempita con cinque chili di esplosivo da cava, chi l'ha deposta sul pavimento della Banca dell'Agricoltura di Milano, chi ha indicato la pista anarchica, chi ha occultato quella neofascista, chi protegge in Giappone ancora oggi il confesso autore materiale. Hanno nomi e cognomi i neofascisti, i poliziotti, i giudici, gli uomini dei servizi segreti (che non erano "deviati", facevano solo il loro lavoro), i manovali e le comparse. Non è stato nessuno. Men che meno le Brigate Rosse, come ritiene un'alta percentuale di studenti oggetto di un recente sondaggio. Nessuno è responsabile della morte dell'anarchico Pino Pinelli, dopo tre giorni ininterrotti di interrogatorio "precipitato" dalla finestra del quarto piano della questura: geniale terza via tra lanciatosi e gettato, corroborata dal "malore attivo" (sentenza D'Ambrosio) che esclude sia il suicidio che l'omicidio. La diciottesima vittima. Solo per l'omicidio del commissario Calabresi è stata dopo venticinque anni decretata la condanna dei colpevoli. A proposito, on. Fini, visto che la faccenda è di una certa attualità: quali sono i sicuri riscontri alle parole del pentito Marino?

Noi tutti, subito dopo quel venerdì nebbioso e tragico, sapevamo chi era stato e perché: l'autunno caldo era finito, il paese entrava nel freddo della strategia della tensione, nella messa sotto osservazione in ordine alle coordinate di internità al Patto Atlantico, nella dinamica di contrasto fattivo al "pericolo rosso", nell'ipotesi concreta della costruzione di svolte autoritarie. Altro che perdita dell'innocenza: piazza Fontana è stata solo una conferma per chi nel proprio orizzonte di riferimento aveva già IRA, Feddayin, Tupamaros, Vietcong e comunque una rottura rivoluzionaria da realizzarsi attraverso l'uso della forza. Altre conferme arriveranno dalle stragi successive (e solo un ingenuo può ritenere Fioravanti e Mambro responsabili di quella di Bologna) fino agli anni '90. E ancora CIA, Gladio, Rosa dei Venti, golpe Borghese, Loggia P2. Stragista è lo Stato: è stato detto e scritto subito. Ripetuto all'infinito. La controretorica può e deve perciò nutrirsi oggi di altre cifre. Quelle della disoccupazione, delle morti sul lavoro, del precariato, dei diritti negati, del razzismo, della xenofobia. Quelle della crisi planetaria che lascia impuniti i suoi responsabili. Quelle delle carceri che scoppiano e dei relativi morti e suicidi. Quelle del riscaldamento globale, dell'effetto serra, dello scioglimento dei ghiacciai, dell'innalzamento degli oceani. Quelle della fame, della mortalità e del conto dei paesi ricchi quotidianamente presentato sul tavolo di quelli poveri. I colpevoli sono sempre gli stessi, solo che quarant'anni fa si accontentavano di rubarci la libertà, oggi vogliono rubarci la vita. Noi che di quei giorni abbiamo un ricordo ancora vivo abbiamo fatto da tempo nostro l'aforisma zapatista per cui sempre "siamo quelli di ieri, ma siamo nuovi" e se oggi non siamo a Copenhagen con il corpo lo siamo almeno con il cuore. A "loro", se proprio vogliamo cedere alla nostalgia, ricordiamo i versi di un compagno di strada prematuramente scomparso: "verremo ancora alle vostre porte / e grideremo ancora più forte / per quanto voi vi crediate assolti / siete per sempre coinvolti".