Si è chiusa l'Assemblea Nazionale del PD con l'incoronazione di Renzi, accompagnata dalla sceneggiata propria della liturgia di partito con le omelie degli officianti il rito.

Renzi, un segretario col botto

Un cambio di marcia nel PD a cui prestare attenzione

di Bz
16 / 12 / 2013

Dopo oltre un anno di pigia pigia sull’uscio, come si usa dire, in alcune parti della Toscana, Renzi si è trovato accomodato a capo tavola del Partito Democratico, sbaragliando i concorrenti, prossimo al traguardo plebiscitario del 70% dei quasi tre milioni di votanti alle primarie.

La vittoria di Renzi era scontata, per la gran parte degli osservatori, ma non in questa misura, non col botto, non con la disfatta dei ‘giovani turchi e dei loro padrini del partito’, non con l’onore delle armi a Pippo Civati.

Un risultato da cui non si può prescindere, non si può far finta di niente, come se tutti e tutto fosse sempre uguale: la stessa rapidità con cui sono stati comunicati i nuovi responsabili dei settori di lavoro interni al partito lo ha ribadito; la stessa liquidatoria conferenza stampa con un basito Epifani lo ha sottolineato; la stessa sferzante nonchalance nel cassare la candidatura di D’Alema alle elezioni europee lo ha chiosato. Lo sa bene, Renzi, come sa pure, avendo praticato un po’ di calcio, che è utile capitalizzare subito il vantaggio conseguito, prima che le fila degli avversari si ricompongano.

Dobbiamo tener presente, tutti, che l’uomo Renzi è scaltro, è scafato, è cresciuto alla scuola di De Mita, uno dei grandi strateghi democristiani, è capace di bucare lo schermo, avendone largo accesso, meglio di Grillo ed ha un ‘agradable appeal’ a largo spetro anche tra i giovani, essendo della categoria, infine ma non da ultimo è un oculato smanettone. Ha battagliato per un paio d’anni con il più solido apparato di partito, ricevendone dei colpi bassi che quasi lo hanno atterrato ma girando sul ring della politica di partito, come ha imparato dal grande Cassius Clay, lo ha sfiancato ed ha piegato la sua nomenclatura a scendere a patti lui stesso, con quello che i medesimi boss del PD avevano indicato, per linciarlo mediaticamente, come il miglior amico di Berlusconi.

Ora Renzi spara sul comitato centrale del partito, seguendo gli insegnamenti del buon vecchio Mao, sicuramente senza averlo mai letto, annichilendo tutti e pensionando molti, riuscendo a fare quello che, molti tra noi, hanno sognato di ottenere consumando le strade e le piazze.

Con l’obiettivo, ovviamente, di realizzare – lui - un cambiamento sociale ed istituzionale molto diverso e lontano da quello per cui - noi - continuiamo a lottare.

Nelle sue corde stanno un partito snello con un consiglio di amministrazione efficace, un amministratore delegato efficiente, che si finanzia attraverso lasciti, sottoscrizioni, cloud  financing, modellato, in tutto e per tutto come un’azienda, come, in effetti, lo sono già oggi tutti i partiti che contano qualcosa. Con la differenza che questa metamorfosi è perseguita senza infingimenti, senza mistificazioni, anzi rivendicando apertamente e arrogantemente – in questo mi ricorda il miglior Craxi - il ruolo propulsivo delle lobbies nel partito. Un partito, dunque, privatistico, non istituzionalizzato ed ingessato, ma preparato per costruire alleanze politiche di scopo con chi ci sta, pronto a cambiare appena l’opportunità lo richieda. Già lo abbiamo visto muovere i suoi primi passi saltibeccando tra M5S e Nuovo Centro Destra.

Così come nel suo programma ci sta una trasfigurazione istituzionale della Repubblica che, Renzi, vorrebbe assumesse chiaramente una veste presidenzialista in capo al Presidente del Consiglio, mutuando e trasferendogli, appunto, il ruolo, la funzione, i poteri degli attuali Sindaci.

E del Sindacato che visione ha? La medesima lente ottica che ha usato per leggere la funzione del partito: il sindacato è uno strumento di controllo politico sociale e contrattualistico, obsoleto e incapace di rispecchiare il cambiamento epocale intervenuto nel mondo della produzione, il mutamento antropologico del lavoro vivo. Quindi: fine delle liturgie e delle grisaglie sindacali ma si misuri la rappresentatività reale del Sindacato – in primis la CGIL – nel mondo delle produzioni socializzate. Per trasformarlo è disposto per fino, promettendo una legge ad hoc sulla rappresentanza sindacale, ad una alleanza – di scopo appunto – con Landini, colui che, in fondo, potrebbe essere il suo alter ego anche sul piano della politica partitica. L’obiettivo è scardinare le presenti ingessature e pensionare la signora in rosso Camusso e per far ciò non bada a spendersi neppure nel suo fianco sinistro.

Insomma si è avviato un processo di profonda trasformazione politica nel campo del Partito Democratico, dei Sindacati, e di tutta quella insipida purea della, così detta, sinistra, trasformazione di cui lo spocchioso e rampante Renzi - fisicamente mi sembra tanto il clone mutante di Bruno Vespa - è l’alfiere investito plebiscitariamente, ora può partire, lancia in resta, senza che nessuno sia più in grado di fermarlo.

Troppo spesso il Renzi è stato trattato con distaccata sufficienza, quasi fosse un Giamburrasca della politica, un monellaccio, per dirla con Benigni, uno che tira il sasso e non nasconde la mano. Appunto. Ora è il suo tempo e ne vedremo delle belle.