Richiedenti asilo provenienti dalla Libia. E gli operatori del settore che dicono?

18 / 10 / 2012

Il 31 dicembre di quest'anno, tra poco più di 2 mesi, cesserà la presa in carico e l'assistenza da parte dello stato italiano dei richiedenti asilo africani qui arrivati dalla Libia in seguito alla guerra civile scoppiata in quella regione.

Decine di migliaia di migranti proveniente, spesso loro malgrado e sempre a rischio della vita, da varie regioni dell'Africa subsahariana si troveranno, ancora una volta nella loro esistenza, in una situazione di disperata indeterminatezza. Se niente fino a quella data cambia non avranno assistenza e protezione in Italia, non godranno di uno status giuridico certo, ma allo stesso tempo e per ovvi motivi non ci saranno altre terre che sono la loro terra, nè in Libia, nè ovviamente nel loro paese di origine da cui sono fuggiti per i motivi più differenti.

Questo dramma annunciato, a cui non sembra che il governo italiano si stia approcciando con la dovuta sensibilità, chiama altresì in causa il lavoro di cooperazione sociale, e la sua trasformazione, dentro questa crisi di sistema. Ci sono delle domande che questa questione pone a tutti coloro che lavorano come operatori della relazione di aiuto. Sono delle domande che io mi pongo come mediatore culturale che lavora con i richiedenti asilo, ma che penso possano essere, in questo momento, estese a tutti gli operatori della cooperazione sociale: educatori, mediatori, formatori ecc. 

Sono delle domande attorno a cui si gioca, in questi tempi di crisi, una partita, per la nostra professione, fondamentale.

Proverò ad essere semplice e schematico.

La nostra professione, come è stata plasmata nel XX secolo, forgiata anche dalle battaglie per l'affermazione della dignità professionale degli educatori è sempre più incerta, instabile, spezzata. Mentre si chiede sempre più professionalità ed un approccio multidisciplinare che chiama in causa saperi molteplici: di cura, di relazione, di mediazione, di comprensione della macchina amministrativa e giuridica ecc. viene minato costantemente il diritto alla certezza della continuità di un intervento. Dal primo gennaio, per esempio, molti operatori che con i richiedenti asilo lavorano, questo lavoro lo perderanno e dovranno cercarlo altrove. Non sarà il mio caso, in quanto l'agenzia di servizi sociali territoriale dentro la quale lavoro continuerà l'intervento con i richiedenti asilo anche a prescindere dall'erogazione dei finanziamenti della protezione civile. Questo elemento chiama in causa anche un altro aspetto della nostra professione. Finora ho lavorato con richiedenti asilo collocati su territori differenti in piccole unità, per capirci in case in cui si ricreava una relazione di prossimità e molecolare e dove siamo stati messi in grado di contribuire a praticare un'attività di inserimento sociale e di acquisizione reale di cittadinanza. Siamo stati un'eccezione, purtroppo, come dimostra la gestione della cosiddetta emergenza nord Africa attraverso il dispositivo dei campi, l'approccio generale è stato un altro.

Filippo Nuzzi, Educatori contro i tagli (Bologna)