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Comunicato dopo la condanna di Yousefh Faud per resistenza a pubblico ufficiale

16 / 12 / 2009

Ad una settimana di distanza dalla condanna a nove mesi e dieci giorni di Yousefh Faud, avvenuta Giovedì 10 dicembre,per resistenza a pubblico ufficiale, a seguito di un controllo al Matt bar questa estate, ci sembra giusto intervenire e prendere la parola.

Ci sembra doveroso proprio perchè, come strutture organizzate, abbiamo preso le difese di questo ragazzo e abbiamo denunciato il comportamento violento e inspiegabile degli agenti della volante dei carabinieri durante una normale operazione di controllo.

Con un autentico colpo di spugna, in Tribunale, si sono volute nascondere le incongruità e i dubbi sollevati dalla difesa, condannando il migrante e ribadendo il corretto operato delle forze dell’ordine.

Il testimone oculare, presentato dall’ avvocato di Youseph Faud, non è stato accolto dal giudice poiché, la difesa, avrebbe dovuto presentarlo nelle precedenti udienze, peccato però che, tolto il processo per direttissima, nel quale la difesa aveva ottenuto il rinvio, ci sia stata una sola udienza, rinviata per assenza del giudice stesso,e nella quale la difesa non ha potuto produrre le proprie prove e argomentazioni.

Quello che emerge è l’ennesima dimostrazione di come in Italia vi sia un sistema di strutturale impunità per le forze dell’ordine che si rendono responsabili di abusi e violenze, fatto di protezioni, omertà, pressioni politiche e intimidazioni (cosa peraltro a noi denunciata da alcuni che avevano assistito all’evento).

Faud, il 12 luglio, dopo aver mostrato - su richiesta -regolarmente i suoi documenti, si era dall’ingresso del Matt bar spostato fino al bancone per comprare una bottiglietta d’acqua; al suo ritorno è stato buttato a terra, picchiato e arrestato per essersi allontanato.

Dai carabinieri il gesto è stato spiegato affermando che il migrante avrebbe potuto disfarsi di supposte sostanze stupefacenti e poi avrebbe opposto resistenza.

Le persone presenti hanno negato comportamenti violenti da parte del migrante e soprattutto non si spiega come mai, una volta che il soggetto in questione era stato ammanettato e chiuso in macchina, gli agenti non abbiano controllato nel bar la presenza o meno di droga o altro.

Tutto questo avveniva dopo che da mesi i movimenti senigalliesi denunciavano un clima di ingiustificata violenza e di continue minacce durante i controlli, soprattutto quando ad essere controllati erano migranti.

Nel nostro Paese assistiamo, ormai abituati, ad un tragico bollettino fatto di abusi e provocazioni.

Non possiamo dimenticare le morti di ragazzi come Sandri, Aldrovandi e in ultimo Cucchi selvaggiamente uccisi.

Giovani morti senza motivo, uccisi da agenti di polizia o carabinieri, vite stroncate con disinvolta facilità e brutalità mentre gli agenti spesso con altrettanta facilità protetti; le prove insabbiate, le ricerche e le indagini oggetto di continui depistaggi.

Aggiungiamo le morti nei CIE (Centri identificazione ed espulsione) e nelle carceri, spesso nascoste dietro falsi suicidi, oltre alle denunce per maltrattamenti e al noto fenomeno dei detenuti drogati e anestetizzati dalle istituzioni carcerarie stesse.

Ancora una volta registriamo il fatto che in Italia ci siano vite che valgono meno, persone la cui dignità può essere tolta senza le attenzioni mediatiche e la luce dei riflettori.

La stigmatizzazione del diverso (migranti, tossicodipendenti, omosessuali, clochard) sembra non rendere necessario fare giustizia, ascoltare le ragioni, visionare le prove.

Gli emarginati e reietti della società devono subire in silenzio, per loro non valgono le garanzie democratiche di uno stato di diritto, sono invisibili sacrificabili in nome della sicurezza.

 

 Coordinamento Migranti Terza Italia

Ambasciata dei Diritti

CSOA Mezza Canaja