Decreto Bondi

Senza trucco e parrucco

Alcune riflessioni mentre infuria nei teatri la protesta contro il Decreto Bondi

Utente: Flavia
12 / 5 / 2010

Ieri il Teatro Comunale di Bologna era illuminato a festa e non per la solita imparruccata e formale prima dell'Opera, ma dall'energia che si sprigionava nella partecipazione e nella solidarietà che tutta la città ha portato ai musicisti e ai lavoratori del teatro, da giorni in mobilitazione contro il Decreto Bondi. E la prima della Carmen si è trasformata in una bellissima serata di Cultura, con la C maiuscola.

Era strano vedere i volti distesi e divertiti degli orchestrali in jeans e maniche di camicia che nel foyer suonavano le note di Bach, ma anche di Nino Rota e Nicola Piovani. Era a tratti surreale vedere giovani, studenti, signore di mezz'età, anziani, bambini seduti tutti in terra ad ascoltarli e ad applaudirli con calore. E soprattutto era molto potente avere la sensazione che tutti condividessero e facessero propria la protesta contro Bondi. Così il nastro giallo, che con frenesia le sarte del teatro si prodigavano ad appuntare sul bavero di ogni presente, è diventato il simbolo dei portatori sani di cultura. Di chi ha capito che questo Decreto Legge non mira solo a smantellare i diritti dell'unica categoria di lavoratori della cultura ancora tutelati, ma punta direttamente a privatizzare il settore, a renderlo un contenitore vuoto, a frammentare e dequalificare un altro pezzo del nostro produrre sociale.

Un esperimento questo che a Bologna il sovrintendente Marco Tutino, creatura di Cofferati, da anni applica e ora grazie al Ministro Bondi verrà generalizzato ed esteso in tutta Italia. Questo modello però non mette a rischio solo il posto di lavoro di migliaia di orchestrali, tecnici, costumisti, scenografi, registi, macchinisti, attrezzisti. Non solo estenderà anche a queste categorie, la ricetta che conosciamo molto bene fatta di invisibilità, precarietà e sfruttamento.

Perché dopo gli attacchi alla Scuola Primaria e Secondaria, e dopo le riforme dell'Università c'è un altro settore che produce pensiero e ricchezza sociale che viene messo a sfruttamento appieno: l'ambito della produzione culturale, che da bene comune vuole essere convertito e pensato come bene privato. E' questo il terreno del dibattito che sta emergendo. Questa  la consapevolezza che spinge tanti e tante a essere presenti tutti i giorni davanti al teatro, a seguire le mobilitazioni in altre città, a ripensare un futuro possibile non solo per la Cultura, ma per tutti e tutte noi.