Sicilia - L’orchestra che suona mentre affonda il Titanic

Da Palermo un contributo di Giovanni Abbagnato, introdotto da Luca Casarini

30 / 10 / 2012

Abbiamo chiesto a Giovanni Abbagnato, redattore della rivista “I Siciliani”, di scriverci qualcosa sulle elezioni regionali appena concluse.

All’indomani del voto i cui esiti sono definiti da tutti “un terremoto”, si sprecano i commenti, come impone il momento. Che sia o meno il laboratorio politico nazionale che indica strategie e tattiche dei partiti per le prossime elezioni politiche, a noi pare che alcune indicazioni si possano ricavare. La prima, in merito all’astensione, è di certo un’altra riprova della separazione tra la casta e il popolo. Ma andiamoci piano. Dovrebbe infatti, a noi che lottiamo per una nuova democrazia, fare un enorme piacere che la maggioranza non si sia nemmeno recata a votare. Eppure questa “vittoria” anti sistema lascia un sapore amaro: sotto sotto è distinguibile quel tratto caratteristico che fece famoso Pirro. Si può parlare, in una regione dove fino a ieri il centrodestra mieteva a man bassa consensi organizzati dalle reti clientelari della mafia, di astensionismo politico attivo? Certo come dice Grillo, la mafia è al Nord, ma ci è andata senza mollare i suoi territori originari che valgono molto, non fosse altro per il fatto che una regione a statuto speciale e quattro milioni di elettori fanno gola a qualsiasi potere. Oppure, all’interno di una fase storica caratterizzata dall’implosione, nella crisi del debito, del sistema assistenziale diffuso, che ha da sempre costituito il vero nocciolo duro del consenso per chiunque si sia candidato al governo della cosa pubblica, chi attraverso quel sistema ha costruito la sua fortuna in termini di accumulo di denaro e controllo socio territoriale, in questo momento si è messo alla finestra, attendendo il prossimo interlocutore politico con cui trattare. Infatti, a fianco dell’astensione, non si scorgono né piazze piene né grandi proteste. L’ultima molto significativa è stata quella dei Forconi: la lista che ne portava il nome ha racimolato poco più dell’1%, un risultato impietoso e inequivocabile. Comunque speriamo appunto che tutta questa astensione sia invece indice di una coscienza diffusa che ormai rifiuta la delega. Ma capirete che è una speranza che nasce dal pessimismo della ragione e dall’ottimismo della volontà. Anche perché invece, in termini di protesta, tutti accreditano Grillo come il vero vincitore. Lasciando perdere le litanie sull’antipolitica e sul populismo ( trovatemene uno che non lo sia di questi tempi, compresi Monti e la Fornero che lo declinano in forma paternalistica e maternalistica ), chi vuole vedere scopre che il voto al Beppe ormai nazionale, è un’iper delega. Alla faccia della rete e dell’orizzontalità, il capo è lui e solo lui. Per rendere meno politici possibili i criteri di scelta dei prossimi candidati ( di questo passo ne porterà a frotte in parlamento, dopo averne piazzati ben 15 all’Ars ), e quindi per trattenere a sé, nelle mani di uno, la politica, si parte dalla fedina penale ( e se uno è condannato per aver occupato la scuola, i binari o una casa, è uguale che se avesse corruzione ), e si arriva alla sottoscrizione dal notaio delle quote di stipendio da restituire allo stato. Grillo ha girato in lungo e largo con il camper per questa campagna elettorale: i suoi spettacoli comizi sono stati largamente apprezzati dalla popolazione. E quando mai un contadino di Prizzi, o un commerciante di Corleone, o una pensionata di Gela, avrebbero potuto rivedere dal vivo un personaggio così bravo e famoso? Ora che faranno i soldati di Grillo alla Assemblea regionale? Destabilizzeranno definitivamente il sistema? Manderanno tutto all’aria imponendo un nuovo voto, e così via finchè non otterranno il 50%+1 dei voti? A fianco di questo, ma molto meno stimolante ed importante, vi è la debacle della sinistra arcobaleno in versione riveduta, corretta ma uguale. Che cosa si può dire di più di quello che già dice il risultato? Che l’Italia forse non è il luogo per esperimenti elettorali alla Syriza? Ognuno, se si appassiona al dilemma, trarrà delle conclusioni. Per il resto, come dice qui di seguito Giovanni, cambia tutto ma non cambia niente. L’attualità del Gattopardo è confermata. E anche quella della necessità di costruire dal basso nuova partecipazione ad una battaglia, quella per il cambiamento, nella quale nessuno si può permettere di pontificare sulle cose d’altri. Ognuno è quello che riesce a fare, le parole stanno a zero.

Luca Casarini

L’orchestra che suona mentre affonda il Titanic: metafora realistica delle elezioni regionali siciliane.

Le importanti elezioni regionali in Sicilia sono già facilmente archiviate perché non si era mai vista una campagna elettorale così priva di un minimo di mordente da tutte le parti in campo, se si eccettuano gli effetti speciali imposti da Grillo che per movimentare la situazione non ha esitato – novello messia - ad attraversare le acque e a scalare le montagne.

Certo, adesso si pongono inevitabilmente le questioni del governo che tutti vorrebbero evitare perché nessuno sa bene che pesci pigliare. Quindi, non ci si può aspettare un sincero entusiasmo ribollente dei vincitori, né una volontà di reazione degli sconfitti. Si tratterà, semplicemente, di un’incombenza di ruolo che tutti dovranno necessariamente giocare, senza sapere bene come, per provare, comunque, a lucrare qualcosa da queste elezioni, se è possibile, ignorando lo sfacelo socio – politico che esse complessivamente consegnano alla società siciliana e, più in generale, italiana.

Crocetta ha vinto e dice che con lui cambia la storia, salvo, subito dopo, balbettare penosamente al microfono quando si tratta di disegnare formule di governo, coalizioni possibili. Come se non dovesse lui avere idee chiare su come costituire un esecutivo che dovrà affrontare l’annunciato default della Regione Siciliana, con lo sfondamento del patto di stabilità economica, sia sul piano della spesa che degli impegni. Parla a scatti dicendo di non voler fare accordi con partiti, ma di volere andare in aula, volta per volta, con delle proposte che se buone non dovrebbero incontrare lo sfavore di nessuno. Straordinario il candore, ma anche la confusione mentale, di chi ha annullato in un solo colpo i diversi valori di ispirazione politica e gli interessi in campo, spesso contrastanti. Qualcuno che ascoltava queste dichiarazioni marziane sulla strategia politica del neo-eletto esprimeva la sua incredulità, con l’antico ma sempre valido detto: «ma c’è o ci fa».

In realtà il primo, ma non unico, problema dell’innovatore - partito da Gela e arrivato a Bruxelles, come più di qualcuno dice, dopo un troppo repentino passaggio al Pd – è di fare passare per forza politica del cambiamento, animato da volontà di discontinuità rispetto alla tradizionale politica dominante in Sicilia, niente poco di meno che l’UDC siciliano.

In questo senso, tanto per fare uno dei tanti esempi possibili, si può semplicemente notare che dopo la cacciata politica e la condanna penale di Cuffaro per la sua gestione della sanità, considerata clientelare e criminale, adesso ad affiancare Crocetta ci sarà il deputato uscente Nino Dina, braccio destro di Cuffaro, soprattutto nella gestione della sanità. Si direbbe, ma le seconde file non sono quasi sempre peggio delle prime, specialmente se vanno da un versante politico all’altro con tanta repentinità?

Si, va bene, dirà qualcuno, ma all’Assessorato della Salute andrà Lucia Borsellino, figlia del giudice martire di mafia, mentre la zia Rita nell’appoggiare Giovanna Marano, evidentemente considera il candidato governatore, che ha chiesto ed ottenuto la collaborazione della nipote, come quell’ambiguo inciucista di cui si parlava tra Sel e Federazione della Sinistra – anch’essi in scarsa sintonia - che traccheggia con brutti arnesi della politica siciliana pur di soddisfare la sua ambizione. Che confusione regna anche tra le vestali della buona politica antimafiosa. E, comunque, a proposito di soggetti, più o meno tecnici, convinti da Lombardo a prestarsi alla politica per cambiare il modo di amministrare, ricordiamo che certi tecnici virtuosi come Massimo Russo, Giosuè Marino, Marco Venturi, Angelo Vecchio e altri, dopo avere accettato la poltrona, si sono dimostrati pronti a prendere le distanze in modo roboante dal governatore scoperto solo allora come un difensore di interessi di clientele, perfino affaristico – mafiose, casualmente quando il loro mentore Lombardo era costretto alle dimissioni. Che acume quello dei “tecnici virtuosi” e, soprattutto, che tempestività hanno dimostrato…. a scappare dalla barca che affondava!

La domanda finale è la seguente. Quando Lucia Borsellino scoprirà che un suo riferimento obbligato e fondamentale sarà Nino Dina, deputato di scuola cuffariana, “specializzato” in occupazione clientelare della sanità, dirà che non ne sapeva nulla? Se così dovesse succedere – non glielo auguriamo di certo - non le rimarrà che trovare una “via di fuga”, magari un po’ meno ridicola di quella inventata da Massimo Russo che dopo avere scoperto chi era veramente Lombardo – duro di comprendonio l’ex magistrato - restava assessore, ma senza partecipare alle Giunte di governo, già disertate formalmente da altri ex assessori fulminati dal raggio della conoscenza sulla via di Damasco, anzi, sulla via delle dimissioni ignominiose di Lombardo.

Intanto il segretario del Pd Bersani esulta per il trionfo siciliano che gli da il via libera per il governo nazionale con l’UDC, sempre che nel frattempo trovino il coraggio di lasciare la ciambella di salvataggio di Monti. Salvataggio per loro, ovviamente, perché in realtà larghissime fasce di popolazione sotto Monti stanno annegando e di brutto. Tuttavia, a parte l’ormai costante, infausta coincidenza tra gli auspici di Bersani e la disfatta delle sue coalizioni, chissà se il segretario con la patente pirandelliana è almeno consapevole dell’estrema debolezza che questo risultato siciliano consegna al suo governatore eletto, con la possibilità di chiusura della legislatura a tempo di record?

Dall’altra parte, c’è un centro – destra disfatto dalle faide interne sempre più profonde e l’ormai rottura di argini lascia passare pubblicamente perfino un’insubordinazione inconcepibile fino a pochi anni fa, ossia l’attribuzione di responsabilità a Berlusconi di avere danneggiato il partito siciliano con l’ultima sua mattana, stavolta contro il governo Monti. Tuttavia, non va taciuto che, nonostante le lotte interne, la somma dei voti di Musumeci e Miccichè avrebbe dato oltre il 40% al cosiddetto centro-destra siciliano che, in realtà, è molto più e molto peggio di una coalizione reazionaria e conservatrice. Questo non è un dato ininfluente perché quando all’Assemblea regionale si presenteranno le questioni “serie”, i grandi affari, allora si che si giocheranno altre partite in cui pezzi di comitati politico – affaristico - mafiosi si potrebbero ricompattare invischiando, inevitabilmente, anche l’azione del governatore antimafia che potrebbe essere irretito da un sistema impressionante di trasversalità su obiettivi politici “concreti”, convinto com’è, forse solo per disperazione, che i voti li dovrà andare a cercare uno per uno e ogni giorno in assemblea. Ma questo, forse perché a Crocetta nel frattempo hanno detto che è tradizione dei deputati dell’Ars lavorare pochi giorni all’anno e rinviare tanto.

Per “volare più in alto”, si fa per dire naturalmente, si può dire che Monti, e la melassa che gira attorno a lui in salsa Casini, Montezemolo, ecc - inaspettatamente investiti da Berlusconi che vorrebbe fare saltare il governo per sfogare la sua rinnovata ira di pregiudicato - viene rafforzato dal test, oggettivamente importante, rappresentato da questo voto siciliano che ha dimostrato la costante erosione dei partiti, più o meno tradizionali, che con un assenteismo dalle urne di oltre il 50%, un’altissima percentuale di schede annullate e il tracimare dell’onda del movimento cinque stelle, vicino al 20%, non dovrebbero sentirsi a proprio agio, nonostante gli improbabili entusiasmi a cui si abbandonano anche personaggi tradizionalmente tetri della politica nazionale.

Ma tornando in Sicilia, come al solito è successo tutto e niente insieme. Non ci si può aspettare un governo diverso, se non in peggio, da quello precedente che ha devastato la Sicilia con il Pd ormai da considerare un pezzo del sistema politico isolano, ma con la solita tempestività della sinistra moderata, quando tutto sta crollando.

E l’altra sinistra, quella radicale e leggermente – appena un po’ - antagonista fatta da Sel e Federazione della sinistra? Qualcuno ha tacciato violentemente di disfattismo chi si era permesso di considerare l’incredibile pastrocchio che aveva determinato l’esclusione della competizione di Fava, non come quella sorta di congiura giudo-pluto-massonica che in modo ridicolo veniva avanzata dai “fancazzisti” della coalizione, ma come la chiave di lettura di un modo di fare politica di chi si compiace di essere buono, bravo e anche bello, che non guasta, mai, senza doverlo dimostrare. Come dire, oltre che “l’Unto del Signore” in versione originale da caimano, a sinistra si contrapponevano in Sicilia altri due “Unti del Signore”, uno più vicino agli ex democristiani – che infatti ha vinto – e l’altro che non aveva bisogno nemmeno di parlare di politica, oltre che di studiarsi i regolamenti allegati alla legge elettorale.

E i grillini? Sono l’unica relativa incognita, anche se i più, tra quelli che li hanno generosamente premiati, non si aspettano da loro grandi soluzioni politiche per i problemi della Sicilia. Eppure, al di là delle giustificate allergie per i “santoni” in politica, come altrove, e per le confuse derive ideologiche di movimento “5 stelle” e del suo leader sarebbe sbagliato derubricare il loro exploit elettorale – oltre il 18% - solo come un’irresponsabile ondata protestataria. Probabilmente, molto del voto ai grillini, piaccia o no, nella mente degli elettori ha avuto un suo preciso profilo politico riassumibile nell’opposizione al tentativo di queste ore dei partiti tradizionali di dimostrare che, comunque, nulla di particolare è successo, sostenendo, come al solito, che tutti hanno vinto e da qui in avanti si apre…ecc. ecc. ecc.. La solita, drammatica storia dell’orchestra che continua a suonare mentre il Titanic affonda. Probabilmente l’unico nesso politico vero di queste elezioni è rappresentato dalla convinzione di molti che tutto sarebbe stato meglio della palude politica di cui l’assemblea della Regione Siciliana è sempre stata simbolo e metodo di governo attuato dalla società politica nel suo complesso.

Si potrebbe continuare a parlare a lungo delle contraddizioni – antiche e nuove - di questa competizione elettorale siciliana e del fatto che rappresenti regolarmente un laboratorio per tutto il Paese dovrebbe fare riflettere molto, oltre che accapponare la pelle.

Allora, forse, si può ricominciare a pensare su presente e futuro da quel punto da dove la politica, come la storia, riparte sempre. Possibilmente, senza dare la stura alle farneticazioni di qualche “rivoluzionario della domenica” convinto che la Sicilia finalmente è cambiata dando un segnale di rivoluzione socio-culturale da “bel sole dell’avvenire” che non a caso nell’Isola solo in concomitanza con le elezioni ha congedato l’estate.

A quanti non si rassegnano e non aspettano l’evento salvifico, la formula rivoluzionaria o altre menate del genere, va detto con onestà intellettuale, ma senza piagnistei, che anche stavolta è successo tanto ed è successo niente insieme perché il dopo dipenderà da chi riuscirà a partire dal confronto con tantissima gente che vota come vota per innumerevoli motivi, ma poi spesso vive il dramma di sentire, se stesso e i propri figli, superflui per le enormi difficoltà ad andare avanti.

Andare avanti per scoprire forme di politica, insieme vere e concrete, in ogni luogo dove si stringono gli spazi dei diritti, individuali e collettivi, di tanta gente che non ha lavoro, perde quello che aveva o è costretto ad accettarne uno disumano, che non riesce a pagare una casa o che non sa cosa dire ad un giovane o a un anziano, accomunati tragicamente da una terribile sensazione di inutilità.

Poi, se queste pratiche di perseguimento di valori politici rivolti soprattutto a chi soffre il disagio e l’esclusione sociale – oggi sempre più numerosi – le vogliamo definire “vertenzialità diffusa”, “nuova resistenza”, “progetto politico dal basso”, o anche semplicemente “pasquale”, questo non è molto importante.

Forse, più importante è sfuggire ai tentacoli, immobilizzanti e talvolta asfissianti di una politica, più o meno tradizionale, la cui esistenza non si può e non serve negare. Forse serve affrontare che c’è una politica che può essere fatta anche senza “poltrone”, “costruendo società” in mille pratiche che riguardano la vita di ogni giorno della gente e che, mentre apre percorsi nuovi – dai diritti primari, alle forme del lavoro, all’utilizzo dei beni comuni - sa chiedere conto, in piena autonomia, a chi pensa ad una politica tanto autoreferenziale da potere fare a meno anche della gente che non ha potere e nemmeno voce.

Certo è che l’impressione che si ha sentendo parlare in queste ore i politici dei risultati elettorali in Sicilia è quella, come ai tempi dei giullari, rappresentata in tempo di crisi da un comico – beninteso uno di quelli che non arringano le folle, ma fanno solo il loro mestiere di irridere il potere. Il comico metteva in bocca ad un politico “navigato” la seguente frase: “se la politica non interpreta la volontà degli elettori si possono sempre cambiare … gli elettori”.

Giovanni Abbagnato.

redazione de “I Siciliani”