“Tutto l'immaginabile può essere sognato ma anche il sogno più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio, oppure il suo rovescio, una paura. Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure” (Marco Polo al Kublai Kan ne le città invisibili).
A chi appartenga la “città
della paura”, del pregiudizio, dei limiti e dei confini -tanto fisici quanto
mentali-, non ci sono dubbi. Ma nessuna meraviglia: non ci si sarebbe
sicuramente aspettati che coloro che hanno basato la propria campagna
elettorale sull'immaginario delle ruspe, sul degrado cittadino e sul binomio
immigrato/delitto, proponessero - come inizio mandato - la risoluzione, ad esempio,
di problemi quali il diritto all’abitare o le situazioni di povertà e
incertezze in cui versano sempre più famiglie.
Le paure le lasciamo ad altri: a coloro che devono inventarsi dei nemici per
poter esistere, a coloro che inventano piccole patrie intorno a false identità
etniche e culturali inventate come strumento di odio e di esclusione, a coloro
che adorano il “decoro” immaginando le comunità come deserti armati a guardia
del proprio vuoto, a coloro che tifano i piccoli orizzonti di un’ignoranza rassicurante.
Le paure le lasciamo a chi ne fa un programma elettorale, soffiando sul fuoco
che bolle nella pancia dei tanti che pagano le ingiustizie e le diseguaglianze,
per sguazzare poi nelle piccole rancorose miserie che suscitano. Le paure le
lasciamo a chi su quel terreno insegue gli altri cercando di guadagnare
consenso e dimenticandosi che l’originale è sempre meglio della copia.
E, sempre a questi, lasceremo la fatica di esserci nemici.
A noi appartiene, invece, la “città dei desideri”, dei sogni da realizzare, dei
terreni comuni da indagare e costruire assieme.
Noi preferiamo stare con i desideri, perché “bisogna imparare a discernere le
possibilità non realizzate che sonnecchiano nelle pieghe del presente” affinché
“dalle miserie del presente noi balziamo verso la ricchezza del possibile”.
Ed è di questi desideri e di quella ricchezza che noi vorremmo parlare, non
delle paure e delle tristezze degli altri.
Le annunciazioni su facebook non ci sembrano il miglior terreno di
interlocuzione, tantomeno se vengono sparse a proposito di Casa delle Culture
falsità e sciocchezze talmente assurde che non è chiaro se siano frutto di
allucinazioni o di segrete morbose voglie (ci dispiace deludervi ma, nel primo
caso, godetevele, e nel secondo non dovete rivolgervi a noi). Accuse tanto
plateali quanto infami ed infondate che ci fanno capire bene quale sia il
consueto modo di agire non tanto di certi personaggi che alla fine altro non
sono che semplici marionette del gioco quanto di quei partiti, come la Lega, che
da tanto, troppo tempo fanno “politica” sfruttando falsità e paure.
Forti di un percorso che dura da ormai oltre 15 anni intendiamo continuare la
nostra strada; una strada fatta di passione, di lotta, di condivisione, di
feste, di incontri e di scontri. Perché mai ci vedremo sottratto il diritto di
costruire e ricostruire la nostra città, come luogo più che del dominio, della
resistenza e dell’esistenza di anticorpi, anime ribelli.
Ai nostri posti ci troverete.
Al nostro posto, ovvero quello
che ci siamo conquistati, pezzetto per pezzetto, in questa storia iniziata 15
anni fa e approdata ieri, dopo due anni di occupazione, alla sottoscrizione di
un contratto: un risultato frutto di una lotta che, oggi, vede legittimati e
riconosciuti il lavoro di anni, il diritto all’esistenza, nonché i desideri e i
progetti del prossimo futuro, da realizzare coi tanti e diversi che vogliono e
vorranno animare Casa delle Culture, il quartiere in cui essa è inserita e la
città intera.
Noi avvertiamo questi ed altri bisogni.
Il diritto alla città innanzitutto, il diritto di accesso a spazi e
opportunità, per tutte e tutti.
Il bisogno di spazi al di fuori del mercato e del profitto.
Non priva di errori è la strada che ci ha condotti fino a qua. Errori che sono
stati fondamentali momenti di crescita, dai quali oggi ripartiamo.
Il problema di questa città non è certo uno spazio sociale, di crescita ed
arricchimento, come non lo è neppure il folklore di uno o dell’altro
consigliere comunale o personaggio di turno, ma la deriva razzista, xenofoba,
securitaria e fascista che troppi stanno spingendo e troppi hanno fatto finta
di non vedere.
Tutto questo è sì, davvero, indecoroso.
A combattere questo, ai nostri posti ci troverete.
“Space is the place”. E’ il nostro posto. Sia esso una Casa, una città o un
qualsiasi altro spazio.
CASA DELLE CULTURE, TRIESTE
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