Tratto da "il manifesto" del 9 novembre 2011

Sul cammino dell'egemonia

Mattei e Lucarelli sul linguaggio nuovo dei beni comuni

10 / 11 / 2011


La proposta referendaria greca offre una preziosa occasione per riflettere sul senso e sul futuro della battaglia per i beni comuni, divenuta politicamente rilevante in Italia con i referendum su acqua e nucleare che la scorsa primavra abbiamo vinto insieme a 27 milioni di italiani. Quasi esattamente due anni fa infatti veniva approvato con fiducia alla Camera il Decreto Ronchi, proprio lo stesso giorno in cui la proposta di Legge Delega della Commisione Rodotà, veniva presentata in Senato dalla Regione Piemonte ( senza che ad oggi sia stata discussa). Quella insopportabile “presa in giro” (in sala Nassirya ad accogliere Giovanni Conso e Stefano Rodotà c’erano senatori di ogni schieramento) aveva prodotto in chi scrive il “moto di indignazione” che in pochi giorni ci ha spinti a coinvolgere altri giuristi per redigere, per conto del Forum dei movimenti per l'acqua, i quesiti referendari sull’
acqua bene comune e a istituire il Comitato referendario Siacquapubblica, assorbito, nel quadro di una produttiva dialettica politica fra accademia e movimenti , in quello promotore. I successivi mesi di lavoro politico e giuridico con il record nelle firme raccolte e l’ insperata dimensione del successo in Corte Costituzionale, hanno segnato l’ inizio di un entusiasmante processo politico nel paese capace di utilizzare un linguaggio nuovo che chiede di cessare immediatamente il saccheggio dei beni comuni per “invertire la rotta” e porre nuove basi per un “governo democratico dell’ economia” radicalmente alternativo alle privatizzazioni e alle liberalizzazioni.

Il linguaggio nuovo dei beni comuni, l’impegno politico disinteressato di tantissime persone, ed un briciolo di “fortuna” tempistica per la concomitanza della catastrofe di Fukushima, hanno portato ad un voto popolare che ha mostrato le potenzialità di una nuova egemonia nel paese, con una base sociale trasversale che supera nettamente la contrapposizione fra destra e sinistra e che rende la costruzione di una società dei beni comuni, una sfida entusiasmante e possibile. Molti sono infatti i cittadini italiani stufi di deleghe in bianco al ceto politico, dell’ antipolitica urlata e forcaiola e soprattutto del disastro sociale prodotto dal neoliberismo.

Così come sul finire degli anni settanta al colpire della crisi pertolifera fu la destra a rispondere con una ideologia ed una piattaforma culturale preparata da accademici reazionari come Milton Friedman, Friedrich Von Hayek e Ludvig Von Mises, oggi è la sinistra interamente rinnovata che abbiamo il dovere civico di costruire a poter offrire con i “beni comuni” uno strumentario politico-culturale altrettanto potente per affrontare una crisi ben più drammatica. Il potenziale egemonico è destinato ad andare ben oltre la parte politica che lo propone (furono Clinton, Blair e da noi i governi tecnici a produrre la “naturalizzazione” bipartisan del neoliberismo) e da noi ciò si è già manifestato nella “primavera italiana”. In giugno, oltre all’ intero elettorato dell’ opposizione parlamentare (tranne pochi pasdaran lenzuolizzatori), è stato in gran parte elettorato cattolico di destra e perfino di quello leghista a votare con noi, producendo quella promettente alleanza fra pezzi di borghesia per bene e sinistra autentica (per intenderci non dalemiana) che ha prodotto anche il successo di De Magistris e di Piisapia e che precedentemente aveva prodotto quello di Vendola in Puglia.

Che i referendum di giugno siano stati in gran parte l’ equivalente funzionale di quello oggi proposto in Grecia era, per chi di noi li ha progettati, chiarissimo. Era il popolo sovrano e non soltanto l’ accademia o una commissione ministeriale come quella presieduta da Rodotà a dover indicare di voler invertire la rotta contro la privatizzazione ed il saccheggio dei beni comuni. Ed infatti, il Ronchi non riguardava solo l’ acqua ma l’ intero governo democratico dei nostri servizi pubblici. Ed il popolo sovrano, vittima oggi del tentato scippo della manovra di Ferragosto, ha parlato chiaro e forte.

Il dispositivo di contrasto messo in campo contro questa straordinaia produzione di egemonia in un paese importante come l’ Italia è stato violentissimo e soprattutto in direttto e frontale scontro politico e culturale con la nuova egemonia. La lettera di Trichet e Draghi e la manovra di Ferragosto (che abbiamo puntualmente impugnato in Corte Costituzionale) sono prodromiche al tentativo di imporre, in modo per certi versi eversivo dell’ ordine costituito, un governo tecnico o un governo del presidente. E’ partita così una grande operazione costituente, condotta dai poteri forti (l’ attacco al 41 Cost. e la costituzionalizzazione della golden rule ne sono la bandiera) , alla quale non si può che rispondere con un nuovo momento costituente di popolo per riprendere l’ iniziativa, non farsi chiudere nell’ angolo e finalmente porre al centro della scena la questione democratica e quella dei beni comuni. Dobbiamo però essere ben consapevoli che per prevenire la risposta di piazza che dovra accompagnare il nostro sforzo costituente si utilizzerà ogni metodo (e la violenza e diffamazione contro il movimento TAV dimostra quanto ciò sia bipartisan) e si farà tesoro di ogni nostro errore. La posta in gioco è tradurre in soggettività politica nuova il blocco sociale che siamo convinti sia oggi egemonico nel paese, ancorché spesso scoraggiato da dispositivi di disinformazione estremamente spudorati.

Alcune battaglie indicano la strada che si dovrebbe percorrere. A Napoli la costituzione di ABC Napoli e l’ assessorato ai Beni Comuni è un primo passo concreto per mostrare a tutti come si debba rispettare la volontà popolare rendendo possibile gestire molto meglio senza scopo di lucro i servizi pubblici di quanto non faccia il privato azionario (o il pubblico colluso) allo scopo di arricchirsi in denaro o potere. A Roma il Teatro Valle occupato da quasi cinque mesi in nome della cultura bene comune mostra un metodo dal basso , fondato sulla costanza e sulla democrazia profonda e entusiasma per la capacità di contagio del metodo dell’ azione diretta e dell’ occupazione costituente accomopagnati dalla provvedutezza giuridica. In Valle di Susa un’ intera popolazione si batte per la salvezza del bene comune territorio, cercando di evitare al contempo un ennesimo sperpero predatorio di denaro pubblico in un momento nel quale di esso c’è gran bisogno per tutt’ altre priorità sociali. Centinaia sono le vertenze per i beni comuni in tutto il paese (letteralmente da Bolzano a Catania) e chi di noi ha continuato a girarlo parlando con le popolazioni ed i protagonisti ne è ben al corrente.

Oggi la partita per il modo e le circostanze che potrebbero rendere traducibile la nuova egemonia in rappresentanza politica è aperta e la violenza verbale utilizzata contro la battaglia dei beni comuni da qualche giornalista (vedi Ostellino sul Corriere della Sera di sabato scorso e De Marco sul Corriere del Mezzogiorno di qualche giorno fa ) mostra che i poteri forti hanno paura della democrazia in Italia proprio come parlando per bocca delle solite borse (“i mercati” nel feticismo del discorso corrente) hanno dimostrato di aver paura della democrazia in Grecia.

La battaglia per i beni comuni deve dunque adesso prendere piena e trasparente coscienza della propria valenza di rifondazione di un settore pubblico forte, autorevole e trasparente, capace di contrapporre una visione alta, prodotta in rapporto con le migliori intelligenze del paese, alla visione asfittica e di breve periodo dei poteri forti europei e dei loro garanti nazionali.

Come portare in modo chiaro di fronte al paese le opzioni che gli sono davanti trattando finalmente il popolo da sovrano e non da incapace necessitante tutela nel nostro contesto politico che non rende ipotizzabile un referendum alla greca? Possiamo riprodurre con gli strumenti che abbiamo a disposizione ed imparato a padroneggiare dal basso il senso politico del referendum greco (e prima ancora di quello islandese) chiedendo al popolo se davvero pensa sia nel suo interesse essere buon allievo di Draghi? Noi crediamo di si, pur scontando i limiti del nostro articolo 75 Costituzione (Referendum). Occorre a questo fine costruire le condizioni per creare un grande movimento politico e sociale che non lasci la FIOM sola nella battaglia referendaria già decisa sull’ art. 8 della manovra di Ferragosto. Dobbiamo affiancare ad uno sforzo organizzativo e politico che sarà comunque impèonente un pacchetto di referendum altamente simbolici ridotti ad unità dalla visione politica alta dei beni comuni e dalla necessità di dire davvero basta all’ egemonia del trascorso ventennio . E allora vogliamo ricominciare dal basso e dall’ indignazione che già avevamo provato in quel novembre di due anni fa per lanciare un grande pacchetto referendario che porti di fronte al popolo le principali questioni su cui costruire un’ Italia bene comune.

Pensiamo Innanzitutto una serie di referendum legati alla cultura bene comune che fra loro condividano lo spirito del Valle Occupato: uno contro l’ Università azienda; uno contro la la Rai lottizzata e piegata alla volontà partitocratica; uno contro un’ editoria che vuole condannare al silenzio voci libere e critiche. Identificheremo poi un referendum legato alla questione difesa, che consenta di ribadire ai troppi che se ne sono scordati, che l’ Italia ripudia la guerra e che molti soldi si possono risparmiare facendolo; infine uno o più quesiti che vadano ai gagli vitali della naturalizzazione economica del neoliberismo in Italia. Dobbiamo colpire quei pacchetti degli anni novanta con cui i governi tecnici, con la scusa di entrare o restare in Europa, hanno trasferito a poche oligarchie risorse ingentissime che appartengono a tutti noi e che oggi andrebbero utilizzate con onestà e la parsimonia necessaria nella cura dei beni comuni, a cominciare dall’ acqua. Intendiamo perciò studiare un quesito contro la trasformazione di Cassa Depositi e Prestiti in spa e riflettere su come intervenire per tradurre in pratica l’ intuizione che le Fondazioni Bancarie sono a loro volta un bene comune che in quanto tale non può essere scommesso sui mercati finanziari.

C’è in chi scrive grande consapevolezza della difficoltà del compito ma anche certezza che soltanto con l’ agire congiunto del diritto e della politica di movimento, in una rinnovata forma della politica potremmo rispondere ad un’ emergenza economica ed ecologica che non concede sconti.

Scaffale

Dati sul fallimento delle privatizzazioni per “entrare in Europa” sono contenuti in Mattei-Reviglio Rodotà, Invertire la rotta, Il Mulino 1987.

I dispositivi giuridici del saccheggio globale dei beni comuni sono descritti in Mattei Nader, Il Saccheggio. Regime di Legalità e Trasformazioni globali, Bruno Mondadori 2010.

Per una prima configurazione teorica della nozione giuridica di bene comune A. Lucarelli, Note minime per una teoria giuridica dei beni comuni, in Quale Stato, 2007

I lavori della Commissione Rodotà sono contenuti in Mattei Reviglio e Rodotà, Dal governo democratico dell’ economia alla riforma dei beni pubblici, Accademia Nazionale Dei Lincei, 2010.

In merito al rapporto tra beni comuni e democrazia partecipata A. Lucarelli, Dentro e oltre la Costituzione. Alla ricerca delle nuove dimensioni del diritto pubblico: partecipazione e beni comuni, in Il Tetto, maggio 2011.

A. Lucarelli, Beni comuni. Dalla teoria all'azione politica, Dissensi editore, 2011, delinea il percorso teorico e politico che ha condotto al primo esperimento in Italia di attuazione della volontà referendaria del 12 e 13 giugno 2011 con la nascita di Acqua bene comune Napoli

Ugo Mattei, Beni Comuni. Un Manifesto, Laterza 2011 traccia una prospettiva teorica sul potenziale egemonico questa nozione.

Napoli - Centro studi Alternativa Comune, Alberto Lucarelli

Napoli - Centro Studi Alternativa Comune, Ugo Mattei