Terzo settore reggiano al tempo della crisi. Uno sguardo soggettivo.

1° Maggio 2012, ore 10.30 Pollicino in fiera, piazza San Prospero Dibattito pubblico

20 / 4 / 2012

104 cooperative sociali, 299 aps, 26403 volontari, 10922 impiegati nelle coop sociali, 280 milioni di euro di entrate annue, questi i numeri forniti nel 2011 dall’osservatorio provinciale del terzo settore. Dati molto rilevanti che sottolineano un trend di crescita del settore terziario  di fronte ad una contrazione del comparto manifatturiero reggiano ed al crollo del settore edilizia. Con l’esplodere della crisi finanziaria nel 2007 ricaduta negli anni successivi sempre di più sull’economia reale con pesanti conseguenze sul livello di occupazione e del servizio pubblico, il terzo settore reggiano si è trovato a dover reggere una pressione enorme derivata dall’incremento della fascia di povertà presente nel territorio. Questo fenomeno - dopo aver saturato i servizi  sociali territoriali alle prese con risorse economiche ed umane limitate ed inefficaci dinanzi a migliaia di famiglie alle prese con sfratti per morosità, reddito insufficiente, disoccupazione e irregolarità dovuta alla perdita del lavoro per i migranti- ha coinvolto in pieno cooperative sociali e privato sociale in genere fino ad investire il mondo del volontariato.  Questa pressione, mediata sempre meno da un welfare pubblico adeguato, ha fatto sì che si snaturasse la mission sociale di tante cooperative con la conseguenza diretta di un abbassamento drastico degli standard di qualità dei servizi offerti e la precarizzazione degli addetti che in queste realtà lavorano.  Si aggiunga a questo il percorso, oramai consolidato, dell’esternalizzazione di molti servizi educativi e di cura, un tempo a carico dei servizi pubblici, creando oggi la convivenza nei luoghi di lavoro di differenze contrattuali notevoli.

Oggi, le amministrazioni emiliane alle prese con  tagli alle spese sociali e nel pieno del vortice della privatizzazione delle aziende pubbliche imposto dal regime finanziario della troika, cercano con i pochi mezzi economici di cui dispongono di mantenere quello che fu un modello vincente sul piano della coesione sociale, il cosiddetto modello sociale emiliano. Un esempio lo si può ritrovare nel patto per il welfare presentato dal sindaco Graziano Delrio, di fatto una riorganizzazione in tempo di crisi di un terzo settore sempre più strategico per la tenuta sociale di un territorio come quello reggiano. Questo modello, da un lato apre ad un welfare aziendalista in stile americano, dove è il sistema aziendale che provvede, per esempio, al servizio asilo per i figli e la cura per gli anziani non autosufficienti dei dipendenti, dall’altro invece fa leva sulla potenza del volontariato radicato nel nostro territorio.

L’incidenza di questi aspetti del piano Delrio meritano perlomeno un’attenta riflessione; in particolare in riferimento al superamento dell’universalità di alcuni servizi basilari, che venendo legati ad un contratto aziendale cessano con esso, e la figura del volontario che prende il posto dell’operatore professionale, incidendo molto meno per quanto riguarda i costi complessivi ma abbassando drasticamente la qualità dell’intervento.

Le premesse politiche su cui Delrio costruisce il patto per il welfare sono due: l’irreversibile tendenza di taglio alle spese sociali dovuta ad una riduzione sistematica dei trasferimenti statali voluta dal governo Berlusconi/Monti e  la conseguente privatizzazione del welfare state. Questi presupposti in realtà non sono fattori da assumere come fatalità naturali, ma sono chiare scelte di indirizzo politico guarda caso molto in sintonia con le linee indicate nella lettera della BCE spedita al governo italiano nell’agosto 2011. L’esempio americano con il suo popolo di senza fissa dimora ed un welfare privato di natura privato/assicurativa come contorno dimostrano che la trasformazione dei servizi basilari in merci non è una soluzione ragionevole. Alla fine dei conti, passati questi anni di ristrutturazione e crisi ci ritroveremo senza diritti sul posto di lavoro, precari, con una democrazia limitata e con un welfare “Marchionnizzato” dove le grandi centrali del privato sociale e delle assicurazioni gestiranno il mercato dei bisogni, con buona pace per quei “clienti” che in quel mercato non avranno soldi da spendere per nessun servizio.

Tenuti in debita considerazione tutti i dubbi in merito al patto welfare, pensiamo che una messa a valore della cooperazione sociale, intesa nel suo significato più generale, ovvero la vocazione di quella parte di società a concorrere al bene comune, possa comunque aprire spazi interessanti sul piano politico/sociale di difesa ed ampliamento dei diritti e del welfare state.

Un terzo settore dinamico e creativo, protagonista anche politicamente nelle scelte progettuali e di investimento, dove venga tenuta in conto sia la qualità del servizio offerto ma anche la dignità del

lavoratore, potrebbe, per il nostro territorio, rappresentare un opportunità collettiva di uscita dalla crisi. Il patto per il welfare del sindaco Delrio deve essere studiato e messo a verifica affinché non si rischi una messa a produzione coatta del terziario e dove il ruolo dell’amministrazione pubblica sia quello di mera governance del privato sociale e del volontariato, catalizzatrice di fondi da attingere dal residuo finanziamento statale e dai bandi europei, e che la figura dell’educatore, dell’operatore e del volontario non diventino mute pedine precarie tra i precari.

Volendo capire meglio questo meccanismo applicato oggi sul nostro territorio è necessario innanzitutto stimolare un dibattito attorno a questo nodo importante e provare a vedere il modello welfare di Reggio Emilia dalla parte soggettiva degli educatori e degli operatori sociali che ogni giorno lavorano ed operano in un contesto socio-economico sempre più pesante, alle prese con 46 tipi di contratti precari differenti e carichi di lavoro sempre maggiori.

Negli interventi sarà riportata anche un’esperienza di auto organizzazione di educatori nel territorio bolognese importante per capire anche il ruolo attivo che gli stessi protagonisti possono di volta in volta assumere.