#ThisisACoup. Il colpo di Stato dall'alto del SI'

13 / 7 / 2015

Come hanno osato? Come si sono permessi di portare avanti fino allo stremo una trattativa, coinvolgendo persone ed istituzioni che non c’entrano niente? La colpa si fa duplice, perché non solo si è parlato per mesi di ristrutturazione del debito, ma addirittura si è cercato il consenso popolare e si è portata la propria “ideologia da dilettanti” fuori dai palazzi di Bruxelles, Francoforte e Berlino.

Questo deve essere stato il flusso di coscienza dei tedeschi e di tutti i vari ed eventuali falchi nordici, finlandesi in prima fila. La ragione dell’accanimento e della volontà di punizione può essere cercata anche nel senso comune tedesco: i subalterni greci, questi meridionali fannulloni e scansafatiche, si sono permessi di metterci in discussione. E l’hanno fatto da una posizione che non è certo lodevole, perché del resto se hanno dei debiti e non riescono ad onorarli sarà colpa loro, del poco lavoro che fanno, dei troppi frappè che bevono in estate, delle tasse non pagate. A questo aggiungiamo il movente politico di questo tentato assassinio istituzionale: sanzionare un’esperienza dissonante rispetto alla monotonia neoliberale del rigore. Punirne uno per educarne cento. O meglio, almeno altri tre, con le venture elezioni in Spagna, Portogallo ed Irlanda.

Il ritorno al diritto di vendetta arbitrario, che alla faccia dello Stato di diritto moderno è previsto dalle norme formali ed informali della governance, si è incarnato nelle scomposte richieste, dichiarazioni e prerogative di alcuni dei partecipanti all'Eurogruppo di sabato. Schäuble in testa, che ha azzardato la Grexit temporanea per cinque anni come unica alternativa alla ristrutturazione del debito. Non contento, sembra che sia lui sia il ministro delle Finanze finlandese Stubb volessero creare un fondo con sede in Lussemburgo in cui inserire il valore di moltissimi beni pubblici e artistici ellenici, tra cui il Partenone, come garanzia della loro futura privatizzazione per ottenere quegli introiti necessari a ripagare il debito e immettere liquidità nel sistema finanziario greco. Esce fuori poco dopo che questo fondo in Lussemburgo sarebbe ospitato da un istituto di credito di cui ha una quota lo stesso intransigente Schäuble. Casualità quando diciamo che le élites europee sono oltre il pubblico ed il privato, nel senso che rappresentano entrambi con una soluzione di continuità? Oligarchie finanziarie e gruppi dirigenti. Più chiaro di così…

Già dalla notte di sabato l'Eurogruppo tuona chiaro, si stringe nella firme di un unico documento che poi sarà esaminato l’indomani dall’Eurosummit dei Paesi che hanno adottato l’euro - cancellando addirittura la riunione del Consiglio europeo. Se bisogna vendicarsi, meglio farlo in casa e tra i più intimi. Ed ecco altre proposte tutto frutto dell’arbitrio rancoroso verso Syriza: riforme entro mercoledì per avere accesso ai fondi per ripagare il debito con la BCE del 20 luglio, privatizzazioni, nuovi dispositivi di contrattazione e licenziamento della forza-lavoro, nuova soglia del margine per l’avanzo primario del bilancio (cioè, nuovi tagli per ridurre il rapporto tra entrate ed uscite).

La proposta di Tsipras post-referendum, che certamente era al ribasso rispetto all'aumento dell’Iva, il taglio di alcuni sussidi di disoccupazione e di integrazione delle pensioni, così come sul versante delle privatizzazioni, aveva però un obiettivo concreto, reale. Da una parte imporre, sulla spinta della forza del referendum, un’unità nazionale stretta attorno a Syriza che avrebbe ricoperto il suo ruolo egemonico; fondamentalmente, neutralizzare le meschine opposizioni di Nea Democratia, di To Potami e del Pasok. Questo il motivo per cui il lunedì successivo al voto Tsipras ha convocato i capi di partito ed ha dovuto abbassare la spalla su molti punti, con la defezione più che simbolica di Varoufakis alle spalle. Dall'altra garantirsi una stabilità di almeno tre anni, un tempo diluito per le riforme (vedi l’innalzamento dell’età pensionabile entro il 2022), e aprire la finestra della ristrutturazione del debito, sostenuta dagli Stati Uniti. Non cosa di poco conto, se pensiamo che discutere il debito è allo stesso tempo controllo delle risorse, ridistribuzione della ricchezza e possibilità di democrazia contro le istituzioni post-democratiche.  Un discorso pubblico che ha iniziato a vincere la timidezza con cui gli stessi movimenti l’hanno agitato in passato, sprigionando tutta la potenza dell'OXI.

Ma nemmeno tutto questo è bastato. Il documento dell'Eurogruppo è passato nelle mani dell’Eurosummit, che ha discusso per diciassette ore. Stamattina le prime conclusioni: 82 miliardi di euro per tre anni, previa approvazione dei provvedimenti sull'Iva e sulle pensioni entro mercoledì. Ad un certo punto della notte trapelano alcune indiscrezioni, diventate via via sempre meno velate, di una indicazione chiara data dal Fmi all'Eurosummit: governo tecnico. E' tornato a materializzarsi lo spettro di quella dittatura della finanza non criptata di quel "commissariamento forte", che nel biennio 2011-2012 ha consentito la ristrutturazione organica di tutti gli assett dell'accumulazione capitalistica dopo l'inizio della crisi sistemica.

L'azione nel Parlamento greco dovrebbe provvedere a dare l’estensione del fondo Salva-stati entro il 20 luglio e sarà la condizione minima per il nuovo accordo. Il Fondo fiduciario, alla fine stanziato ad Atene, sarà costituito da 50 miliardi di euro di beni pubblici da privatizzare come garanzia della restituzione del debito e dei prestiti e sarà sorvegliato da un apparato della governance. Il ritorno del “commissariamento dolce” sembra essere incluso nei termini dell’accordo, in quanto ogni legge su degli ambiti giudicati sensibili da presentare al Parlamento ellenico dovrà essere passata in rassegna alle istituzioni europee. Intanto, le prime ad annunciarsi per il futuro sono proprio quelle chieste dall'Eurogruppo sul mercato del lavoro e sulle privatizzazioni. 

Uno spiraglio viene lasciato sul versante del debito, il quale potrà subire una dilazione nella restituzione con la clausola dell’attuazione del programma dell’accordo. Infatti, in un’orrenda inversione tra vittima e carnefice, Merkel afferma che “la fiducia debba essere ristabilita”, come se fosse la Germania ad aver subito le velleità e la sfrontatezza della piccola Grecia, come se gli interessi sul debito greco detenuto dalle banche tedesche non avessero generato profitti sullo sprofondamento economico di un altro Stato.

Tra parentesi, le conclusioni dell’accordo sembra che vadano nella preoccupante direzione della riforma per l’unità dell’Europa, presentata da Juncker, Tusk, Draghi e Dijsselbloem a fine giugno, in merito alla centralizzazione della decisione e l’ulteriore cessione di sovranità. Un modo per evitare i cortocircuiti della catena del comando dalle istituzioni europee ai singoli Stati.

Come ha ben detto Krugman, l’hashtag #ThisisACoup racchiude nella sua virale diffusione una verità ineccepibile di distruzione del progetto europeo. Durante tutta la trattativa tra Eurogruppo e Eurosummit l’opinione globale in rete ha restituito quello che è l’Europa, mostrandone tutti gli aspetti gerarchici, ricattatori, ideologici. Perché di ideologia stiamo parlando: una colonizzazione di matrice tedesca si impone sulla Grecia del sud Europa senza guardare alla realtà. Non importano le mobilitazioni popolari, non importa se le decisioni tedesche e del Nord sono sempre di più viste nella loro efferatezza e irrazionalità. Qui quello che conta sono i dogmi di Friburgo, della scuola di Schäuble e degli economisti tedeschi, che sono intoccabili. Gli ordoliberali insegnano che il pareggio di bilancio, la competizione economica e la stabilità dei prezzi sono la nuova ragione del mondo per mandarlo avanti. E, diciamola tutta, insegnano anche che una grande ed arrogante faccia da culo impone sul resto del mondo la propria visione ideologica.

Il colpo di Stato, in una fase dove la sovranità nazionale è morta da tempo, viene mascherato da accordo. E’ un colpo di Stato dall'alto del SI del referendum, dell’opposizione di classe di partiti e abitanti che durante la campagna del referendum volevano difendere soltanto i proprio capitali, non pensando all'interesse degli impoveriti. Syriza si è piegata? Ha fatto un accordo al ribasso tradendo il mandato elettorale e l’esito del referendum? Sicuramente, al fine di non cadere nel tracollo finanziario dopo due settimane di chiusura della banche, il programma radicale greco si è dovuto ridimensionare di molto. Ma invece di urlare al tradimento, piuttosto che puntare il dito dicendo “ve l’avevo detto!”, oppure teorizzare una sciocca quanto disastrosa uscita dal basso e a sinistra dalla gabbia dell’Unione Europea per la Grecia, bisogna avere lucidamente in testa il quadro politico e delle condizioni. Syriza è salita al governo perché c’è stata una rottura costituente dei movimenti e una rete di istituzioni del comune, tra mutualismo ed autogestione. OXI ha vinto proprio grazie al radicamento di queste esperienze, non solo per il carisma di Tsipras. 

Tuttavia, i limiti del governo nella governance, gli ostacoli che si frappongono dentro le istituzioni moderne della rappresentanza e post-democratiche della governance non possono essere superati soltanto dall'azione di governo. Il merito di Syriza è aver generalizzato una serie di rivendicazioni e di aver messo fino in fondo a nudo un sistema di relazioni di potere, consapevole della sua dipendenza dal livello di conflitto sociale che si esprime nel proprio Paese. Ancor di più, aver fatto vedere che è possibile costruire un’alternativa a partire dal problema del debito. Un campo di possibilità che è possibile cogliere a livello transnazionale diffondendo quel “No costituente” di OXI nelle piazze e nelle strade del Vecchio Continente. Un OXI indisponente e che non si fa piegare dagli strumenti degli accordi e dei negoziati. Mai come adesso è necessaria l’entrata in scena dei movimenti per incrinare definitivamente quel consenso su cui pensano di agire le élites europee; mai come adesso i movimenti greci possono provare a forzare le condizioni dell’accordo laddove questo prende a schiaffi l’ultimo anno di parziali conquiste.

L’unica dimostrazione da tutta questa vicenda va a chi crede che basti riprodurre modelli dall'estero per risolvere la situazione locale, senza avere nemmeno le condizioni per poterlo fare. Dove non si produce una rottura dal basso, che sfida continuamente i poteri forti dell’Europa, non c’è possibilità di riforma. E per tenerla sempre in tensione, questa possibilità ha bisogno di essere continuamente riaperta. Come si diceva una volta? Non c’è riforma senza rivoluzione. E’ il momento di capirlo a livello europeo e praticare con questa tensione gli appuntamenti transnazionali di Bruxelles e Parigi, un mettersi in marcia che arrivi a Berlino il 1° maggio per lasciare il segno.