Ho passato tutta la vita proprio qui nella piantagione, a Candie, circondato da facce nere. Nel vederle tutti i giorni, uno dopo l'altro, mi chiedevo sempre una cosa: “perchè non ci ammazzano”? (Django)

Tous uns. Ovvero di due testi così lontani e cosi vicini

Deleuze osservò che il potere di Fou­cault era un con­cetto tota­liz­zante e non spie­gava il motivo per cui gli uomini lo desi­de­rano, pre­fe­rendo essere domi­nati piut­to­sto che man­te­nere la pro­pria libertà (R.C.)

28 / 7 / 2014

la poli­tica è una spe­ri­men­ta­zione oltre la linea delle iden­tità pre­sta­bi­lite, dove i molti che obbe­di­scono ai pochi lo fanno in base a certezze infon­date e rine­go­zia­bili.

L'agosto alle porte consegna un renzismo in apparente buona forma, almeno nei suoi aspetti di costruzione di consenso (è o non è l'arte del governo?) verso una cittadinanza che trova in lui una capacità di rappresentazione delle insoddisfazioni di condizione e di ambizione.

In questo modo, così pare, il renzismo rappresenta una sintesi transitoria nel nuovo, del giovane, del merito, della rivincita in un futuro prossimo irraggiungibile. E così la stagione, forse breve, del Novello tribuno toscano appare trasversalmente ariosa ed ha indotto la produzione di una nuova casta di cortigiani equamente distribuiti nella coalizione di governo, lieti di servire, obbedire innovando ed innovando annunciando, protesi a somigliare al capo.

Un tempo indeciso, un luglio che contiene novembre, ci offre una temporalità media di riflessione in attesa di un autunno che ci possa stupire.

Così capitano per le mani alcuni testi che per natura e periodicità sono gustosi da scorrere, anche perchè scritti quasi contemporaneamente e che hanno avuto poco noti simili esiti, a partire dalla loro effimera diffusione.

Diciamo 500 anni fa, da Sant’Andrea in Percussina, tra Impruneta e San Casciano, Niccolò Machiavelli scrive al Vettori una notissima lettera, nella quale il Segretario Fiorentino confida la quotidiana attività di ricerca sociale e politica all'amico Ambasciatore in Roma in un periodo in cui i Medici sono tornati, la Repubblica è finita, il lavoro non c'è. Eppure. Eppure si tratta di continuare a cercare proprio là, in basso, nelle osterie, “dove io non mi vergogno parlare con loro, et domandarli della ragione delle loro actioni; et quelli per loro humanità mi rispondono; et non sento per 4 hore di tempo alcuna noia, sdimenticho ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte; tucto mi transferisco in loro” e poi “entro nelle antique corti delli antichi huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio e ch’io nacqui per lui”.

Machiavelli studia ed auspica le condizioni dell'incontro tra fortuna e genio; non conosce l'identità del principe e dello stato che sarà perché sa che non potrà trattarsi di nessuno dei principi e di nessuno dei principati esistenti. Solo la pratica politica potrà definirli; la teoria ne è incapace, ed allora diviene essa stessa politica.

Tutto è talmente complesso e difficile che si tratta semplicemente di ripartire, squadernare nuova ricerca, aprire strade, comporre un'azione, diciamo, multilivello ed affidarsi all'ottimismo della volontà.

Sempre 500 anni fa, quasi negli stessi mesi, un consigliere al Parlamento di Bordeaux, Etienne De La Boetie, scrive senza pubblicare il Discorso sulla servitù volontaria, che verrà celebrato da Montaigne.

Ma cosa scriveva De La Boetie, a chi scriveva e perchè scriveva? Come l'autore del Principe, egli scriveva al Popolo, non al Principe (1), egli frustava il Popolo affinchè si erudisse sul proprio stato, sulla sua condizione sotto la Tirannide, sul ruolo della corte dei governanti del Tiranno.

Il Discorso offre molteplici piani di lettura, un po' come può fare il subacqueo che si attesta a 18 metri (profondità di base) o 20 o 40, potendo osservare fondali e fauna ittica differente in ragione della profondità. A mio parere la lettura più interessante non è quella che pare presentarsi come un semplice manifesto per l'insurrezione, uno sfogo di un erudito giurista contro il popolo beota che accetta povertà e superstizione non sapendo che “chi vi domina in tal misura ha soltanto due occhi, ha soltanto due mani, ha soltanto un corpo, e non ha nulla di più dell'ultimo uomo del grande e infinito numero delle vostre città, tranne il privilegio che voi gli concedete per distruggervi” e che “non sono dunque gli squadroni di cavalieri, non sono le schiere di fanti, non sono le armi a difendere il tiranno” ma “solo il privilegio che voi gli concedete di distruggervi”.

No, il Discorso è un dispositivo di conoscenza per il popolo, che con un registro semplice ed un argomentare che si muove con ritmo, usando sapientemente mito ed esemplarità storiche, arriva a suggerire un'archeologia del rapporto di dominio dell'uno su tutto e tutti, contrapponendovi il governo dei tous uns, tutti unici, perchè “non vi è dubbio che noi siamo tutti naturalmente liberi, perchè siamo tutti compagni”.

Siamo nel pieno degli effetti della cesura storica del ritorno di dio sulla terra, l'umanesimo ha lasciato un segno profondo, a Firenze si dice “occorre esaminare il modo in cui si vive piuttosto che quello in cui si dovrebbe vivere”, ed infatti De La Boetie ci parla di una dimensione del tutto materiale (non "ideale”) della libertà, di come il tiranno sia un furbissimo ed a tratti atroce ladro di beni comuni e di ricchezze collettive -Marx 300 anni dopo avrebbe usato ovviamente migliori e più strutturati paradigmi scientifici-, di come il popolo possa inciampare sulle credenze (“il popolo sciocco si fabbrica sempre da solo le proprie menzogne, per potervi poi credere”).

Per certi versi il Discorso presenta un tiranno che è ben diverso dalla proiezione grottesca e popolaresca che si potrebbe erroneamente attribuire all'autore; piuttosto è un potere che offre circo, pane e religione, che sperimenta forme di controllo della società articolate (vedasi i fortissimi j'accuse ai complici del tiranno, servi stolti che “vogliono atteggiarsi a padroni delle ricchezze, non ricordandosi che sono loro a dare al tiranno la forza di prendere tutto a tutti, senza lasciare più nulla che possa dirsi di qualcuno”).

Stiamo parlando di un tiranno che educa e produce proattivamente il proprio suddito ('la prima ragione per la quale gli uomini servono volentieri è perchè […] sono educati e cresciuti come tali') e di un popolo che non è  naturalmente buono ed ontologicamente ribelle, bensì volta per volta corruttibile e corrompibile (“[la plebe] disponibile e dissoluta di fronte al piacere […] insensibile di fronte al torto e al dolore”; “con enorme generosità i tiranni elargivano qualche pugno di gano, mezzo litro di vino e un sesterzio; e allora che pena sentir gridare “viva il Re!”).

Ad esso non si può contrapporre l'inefficace retorica del gesto, della sollevazione senza preparazione, quanto invece una virtuosa dialettica di scontro ove si affrontino senza esclusione di colpi i due umori della città, quello de senato e quello del popolo che non desidera essere dominato (a cui va affidata la difesa della libertà perchè “è ragionevole ne abbiano più cura, e non la potendo occupare loro, non permettano che altri l'occupi”).

Genio e fortuna, insomma; si tratta di capire, studiare, leggere la storia per trarre lezioni dai fallimenti, ma anche ottimismo della ragione e flash backs (i Veneziani contro il Gran Turco, o Sparta contro Dario, o l'Ulisse nell'ammutinamento dell'Illiade): la pratica teorica di cui in Althusser.

Ciccarelli (2) riflettendo sulla relazione tra Deleuze e Focault nota che “la poli­tica non è un gioco fis­sato per sem­pre dalla deci­sione di un sovrano o dal con­tratto tra le parti. Essa è una per­ma­nente nego­zia­zione sulle leggi, sul potere e sulle norme” e che “Deleuze dice che il tiranno ha bisogno di uomini tristi per mantenere il potere, e che però gli uomini tristi hanno bisogno del tiranno per giustificare la propria tristezza. Detta in altri modi, il potere è un dispositivo di relazione cui partecipano sia schiavi che padroni”.

Prepariamo i piani, e che la pratica politica dia nuovi spunti alla pratica teorica. In ogni caso si parte dalla scelta di non servire più e di essere liberi.

(1) Louis Althusser, Machiavelli e noi, Manifestolibri, Roma, 1999

(2) Roberto Ciccarelli, Il Manifesto, 26/07/2014

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