Trento - Barricate contro ogni fascismo

10 / 2 / 2016

Oggi i neofascisti di Casa Pound, ben protetti da un vasto schieramento di polizia, hanno tenuto a Trento in largo Pigarelli la loro sedicente cerimonia «in onore dei martiri delle foibe». In realtà si è trattato dell’ennesimo episodio di infame strumentalizzazione delle sofferenze delle popolazioni istriane e dalmate di lingua italiana da parte di coloro che si autodefiniscono «fascisti del terzo millennio». Si tratta degli eredi e continuatori di quel regime totalitario che con le sue politiche discriminatorie e genocide portò alla fine della pacifica convivenza e del meticciato che avevano caratterizzato il litorale adriatico, creando il contesto che rese possibile la tragedia delle foibe e dell’esodo. Tragedia che vide le popolazioni istriane e dalmate pagare il conto di quella stessa equazione «italianità = fascismo» che costituiva la colonna portante della propaganda del regime di Mussolini e che Casa Pound tenta di riproporre oggi con i più vari pretesti.

La natura strumentale dell’iniziativa neofascista è resa palese dalla sua completa estraneità alle cerimonie pubbliche in ricordo dei caduti e degli esuli che si terranno domani [il 10 febbraio] a Trento e Rovereto. Dunque non vi era nessuna volontà di onorare chicchessia ma solo l’intenzione di ottenere un po’ di visibilità per riproporre la propria visione del mondo razzista e sessista, per incitare all’odio contro lo straniero e il diverso, per discriminare e minacciare chi non rientra negli schemi ideologici di un organizzazione che ha fatto della violenza la propria principale pratica politica, come hanno dimostrato anche i recenti fatti di Bolzano con il pestaggio di un diciassettenne ad opera di un consigliere circoscrizionale di Casa Pound.

Nessun dubbio quindi che le vittime delle foibe e gli esuli istriani siano per i neofascisti esattamente ciò che sono le donne di Colonia: corpi cui negare un’individualità ed una volontà propria per potervi costruire narrazioni e mitologie di odio. D’altronde non sono altro che i degni eredi di «Lui», quello che nel 1940 diceva di aver bisogno «di alcune migliaia di morti italiani per potermi sedere al tavolo dei vincitori».

In risposta a questa strumentalizzazione noi, le antifasciste e gli antifascisti organizzati nella Rete trentina contro i fascismi, siamo scesi nelle strade e nelle piazze di Trento. Non lo abbiamo fatto certo per negare a qualcuno il diritto di ricordare le proprie sofferenze ed i propri morti e neppure semplicemente per parlare di quanto accadde sul confine orientale 70 anni fa. Lo abbiamo fatto altresì per difendere il nostro presente ed il nostro futuro. La nostra presenza attiva e determinata ha impedito che la patetica «cerimonia» neofascista potesse trasformarsi in un corteo di squadristi per le vie cittadine, in una «dimostrazione di forza» da parte di chi nello scorso anno si è reso responsabile proprio qui a Trento di decine di aggressioni e pestaggi.

La manifestazione, iniziata davanti alla sede della Facoltà di Sociologia, ha visto scendere in piazza studenti, medi ed universitari, e le tante realtà e singolarità che animano l’antifascismo trentino. Diverse le persone giunte da Bolzano.

Il corteo, dopo aver attraversato il centro storico, è giunto a ridosso di largo Pigarelli, dove ad attenderlo c’era la polizia schierata in assetto antisommossa. Qui sono state costruite barricate per difendere la Trento degna, solidale e amante della libertà da ogni tipo di fascismo.

Siamo dunque scesi in piazza non per una difesa d’ufficio di movimenti rivoluzionari o peggio di regimi di settant’anni fa (non siamo noi i nostalgici!), ma per difendere il diritto di ciascuno all’autodeterminazione di sé, alla libera espressione della propria identità culturale, religiosa, politica o sessuale. Siamo scesi in piazza per difendere il diritto di tutti e tutte al lavoro, alla casa, al reddito, nonché il diritto di mettere in salvo la propria vita e di immaginare il proprio futuro al di là di qualunque frontiera.

Siamo scesi in piazza per difendere i valori della costituzione e per dare ad essi concreta attuazione. Siamo scesi in piazza per ribadire che la forma di identità collettiva nella quale ci riconosciamo non c’entra nulla con lo stato-nazione dei neofascisti. Lo stato-nazione, come ha scritto Abdullah Ocalan, ispiratore della resistenza curda contro l’ISIS e il suo complice Erdogan, è una costruzione ideologica che vuole imporsi attraverso il genocidio culturale e fisico in nome di una pretesa omogenità calata dall’alto. La loro nazione è un’astrazione dogmatica che sa di morte e di menzogna. Noi non sentiamo di dovere fedeltà ad una bandiera ma solo alla terra che abbiamo sotto i piedi e che difendiamo dalla devastazione e dallo sfruttamento; non riteniamo di dover difendere qualche «sacro confine» ma solo la ricchezza e la complessità delle nostre vite che rifiutiamo di veder ridotte a merce. L'identità collettiva cui ci sentiamo di appartenere è un ideale da costruire nel futuro e non un privilegio ereditato dal passato.

 

Rete Trentina contro i fascismi

I video degli interventi

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