Treviso - Diritto di vendetta. La Questura notifica i fogli di via dopo il presidio di venerdì

24 / 7 / 2015

La modernità ha mancato di passare per Treviso. Il Questore Cacciapaglia, dopo aver dato dimostrazione dell’estrema incompetenza nella gestione della piazza di venerdì scorso, mostra sfacciatamente tutto lo sfondo di ritorsione che sta dietro all’operazione subito successiva allo sgombero del sit-in e nei giorni seguenti. Non contento di aver tentato cinque arresti, adesso procede con i fogli di via.

Ricordiamo che dopo aver malmenato, ammanettato e trascinato via 37 attivisti che stavano protestando contro la gestione dell’accoglienza da parte della Prefettura di Treviso, il Capo della Digos Moschini e Cacciapaglia hanno proceduto col trattenerli tutti per ore in Questura, senza possibilità di confronto con l’avvocato, e a disporre delle misure di arresto per cinque di questi. La misura di arresto puzzava fin da subito di vendetta, carica di risentimento qual era verso coloro che avevano indicato uno dei luoghi responsabili della ghettizzazione dei migranti, per di più in un Comune leghista. La contraddizione, dopo i fatti di Quinto, era troppo aperta per permettere che qualcuno potesse approfondirla. Ma la vendetta veniva anche dall’esposizione pubblica che ha subito la Questura: come giustificare una reazione spropositata e di abuso di fronte alla Prefettura, e non essere mai intervenuti durante i roghi dei mobili ed i picchetti per impedire l’alimentazione dei migranti? Gli attivisti del CSO Django sono riusciti a rendere la cittadinanza partecipe di questo e a sollevare mediaticamente il caso a livello nazionale. 

Chi ha il potere della gestione dell’ordine pubblico usa gli strumenti a sua disposizione, aggirando addirittura il passaggio intermedio di un magistrato. Del resto, le misure cautelari dei domiciliari non sono nemmeno durate dodici ore, nel momento in cui anche solo ad una prima occhiata gli atti e la documentazione delle stesse forze dell’ordine hanno fatto vedere la sproporzione tra fatti e operazione poliziesca, quanto meno nella disposizione degli arresti. Non solo: lunedì sera, in tarda serata, arriva la notizia della destituzione da parte di Alfano del Prefetto Marrosu a causa dei suoi errori. Certo, questa sfiducia dall’alto sembra dar ragione ai residenti razzisti – capeggiati da Forza Nuova – di Quinto; allo stesso tempo, sembra essere la risultante di un braccio di ferro tra Renzi e il governatore veneto Zaia, il quale ha soffiato sul fuoco della protesta e ha assunto tutta la retorica salviniana contorniata di ruspe e respingimenti. Renzi, infatti, avrà voluto mettere da parte chi ha prestato così bene il fianco all’attacco leghista e a queste mobilitazioni populiste e cittadinesche di Quinto. 

Ma non bisogna scordarsi che sono stati proprio gli attivisti del centro sociale a richiedere le dimissioni del Prefetto, e non soltanto per una mera questione di esposizione al facile populismo; sono loro che hanno indicato questa istituzione non perché accetta i migranti, ma perché non li accoglie in maniera degna. Le dimissioni erano dovute perché i migranti vengono trattati come oggetti di trasporto e collocamento, rinchiusi in spazi molto spesso sovraffollati e senza le condizioni minime igienico-sanitarie, esclusi da qualsiasi possibilità di inserimento in un tessuto sociale territoriale, dalle relazioni con gli abitanti fino ai corsi di formazione professionale e di apprendimento della lingua. Laddove questi esistono, vengono perlopiù portati avanti dall’associazionismo, i centri sociali e le cooperative di matrice cattolica. 

Ecco che per i tutori trevigiani della legge salta infine anche la motivazione politica: hanno attaccato un presidio pacifico per difendere un’indifendibile, un’istituzione che si è rivelata incompetente ai suoi cittadini tanto da scomodare i piani alti del Ministero. 

Il foglio di via, il provvedimento medievale per eccellenza che purifica la città dalla presenza scomoda, corona l’arbitrarietà del Questore e del suo entourage. Non si passa per un dibattimento, per una difesa, i tempi dei ricorsi sono molto lunghi, possono essere emessi in tempi rapidi. Non funziona l’arresto, non funziona l’avere dalla propria parte l’opinione pubblica: ti caccio via. E dunque, la Tribuna di Treviso strilla che diciotto giovani e giovanissimi non residenti non potranno più entrare nel Comune di Treviso. Il nostro ordinamento giuridico e penale si dovrebbe rifare ad uno Stato di diritto. Eppure, sembra che i funzionari trevigiani abbiano trovato al suo interno l’agibilità per tornare ad applicare il diritto di vendetta. Non c’è da stabilire l’innocenza o meno di un imputato, non c’è da fare una giusta proporzione tra atti, reati e azioni di piazza: stabilisce il tutore della legge in base a quanto è stata lesa la sua maestà. Poco importa che tra i colpiti dai fogli di via ci sia anche chi lavoro a Treviso, chi porta in città i propri figli per la scuola, chi frequenta ancora le superiori. 

Le autorità trevigiane pensano bene quando credono che la loro immagine sia stata in qualche modo colpita. Lo è stata perché usano due pesi e due misure, un atteggiamento differenziale tra chi si batte per i diritti e la vita degna e chi, invece, fa della xenofobia e dell’odio la base per un legame sociale chiuso e identitario. Lo è stata perché pur di non rendere pubblica la responsabilità della Prefettura, hanno preferito agire contro un sit-in usando la forza dei manganelli e delle manette per silenziare una voce. 

Saprà rispondere la società civile trevigiana, e tutto quello associazioni e gruppi sociali che si sono mossi in questi giorni stringendosi attorno al CSO Django e al diritto all’accoglienza, a questo autoritarismo sfacciato? Un primo passo potrebbe essere rivendicare, come per la Morrosu, le dimissioni del Questore. 

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