Seguiamo
con partecipazione e profonda attenzione quello che sta avvenendo in
queste settimane nella città di Taranto. Lo facciamo, innanzitutto
perchè siamo convinti che proprio sulla questione Ilva sia emerso in
maniera cruda e dirompente il nodo dello scontro tra un tipo di
produzione industriale e la salute. Un nodo, che ci parla di come
questo modello di sviluppo si stia mangiando i territori attraverso
un opera di costante devastazione ambientale, ma soprattutto i
cittadini, la cui salute viene minata dagli scarti industriali – ed
in casi come Taranto dalla produzione industriale stessa. Un nodo che
ci racconta di come la fase attuale del capitalismo tenga in sé,
come elemento caratterizzante, quello dello sfruttamento
dell'ambiente e la distruzione della salute. Elementi legati in
maniera indissolubile. Solo chi difende interessi particolari può
pensare di separare la difesa della salute da quella del rispetto
dell'ambiente. Così come, parimenti, solo chi difende gli interessi
dei poteri forti può provare a giocare sullo scontro tra lavoro e
salute/ambiente. Non può esserci uno scontro che vede agli antipodi
i diritti sul lavoro ed il rispetto della salute e dell'ambiente. Chi
produce un discorso di questo senso, come i padroni dell'Ilva (e di
centinaia di altre fabbriche in Italia), come i politici di governo,
equamente distrubuiti tra maggioranza ed opposizione, come alcuni
sindacati, semplicemente difende gli interessi di un capitalismo
predatorio che per sopravvivere a se stesso ci sta uccidendo.
Il
tema della produzione industriale ha sempre avuto a che fare con le
nostre lotte sul territorio della Campania. Già, in Campania, dove
l'ultima grande produzione industriale, quella dell'Italsider di
Bagnoli, ha cessato l'attività all'inizio degli anni novanta. Eppure
gli scarti industriali di buona parte del paese, frutto di una
produzione già di per sé inquinante, hanno trovato comodo alloggio
proprio qui da noi. I recenti studi del professor Toni Giordano, ci
dimostrano come sia ormai scientificamente evidente il legame tra
aumento dei tumori e sversamento degli scarti industriali nella
nostra regione, dove il tasso di mortalità è ampiamente al di sopra
della media nazionale.
Anche in questo caso le risposte delle
istituzioni sono davvero imbarazzanti, se non si parlasse di numeri
che significano morti per tumore, ci sarebbe quasi da ridere. Davanti
a questi studi, il Ministro della Salute Renato Balduzzi, ha affemato
che l'aumento di mortalità per tumori in Campania è dovuto ai
cattivi stili di vita dei cittadini. In pratica moriamo prima perchè
mangiamo troppo e fumiamo troppo!! Poco interessa al titolare del
dicastero della salute se in Campania sono censite 3.000 discariche
di rifiuti speciali abusive. Poco interessa se l'azione governativa
in questi decenni ha favorito di fatto lo sversamento degli scarti
industriali sulla nostra terra. Poco interessa se il fenomeno
criminale dei roghi di rifiuti avvellena quotidianamente l'intera
provincia a nord di Napoli.
Lo scontro tra la produzione
industriale e la vita delle persone è drammaticamente (e finalmente)
sotto gli occhi di tutti. Lo è grazie a quegli operai ed a quegli
attivisti dei centri sociali che a Taranto hanno rotto
l'ineluttabilità dei termini dello scontro tra lavoro e salute.
Grazie a loro, che con forza hanno denunciato come lo scempio del
territorio tarantino in questi anni ha vissuto di complicità delle
istituzioni a tutti i livelli e di una oggettiva disattenzione delle
organizzazioni sindacali, una delle tante Chernobyl silenti di
questo paese si è manifestata con forza. Grazie al lavoro di chi,
fuori dai sindacati e dai partiti, a Taranto sta evidenziando una
chiave di lettura diversa di ciò che è accaduto, possiamo assumere
il terreno dello scontro tra produzione industriale e
territorio/vita/ambiente come un elemento sempre più comune nelle
lotte sociali in questo paese.
Quando parliamo di necessità di un
nuovo modello di sviluppo, parliamo del fatto che non può esserci
mediazione possibile tra inquinamento e salute. Questo, in nessun
caso, può essere assunto come una richiesta di assistenzialismo. Se
si chiede il rispetto della salute non si può passare per
assistenzialisti. Se si denunciano le responsabilità di chi in
questi anni davanti a quello che avveniva a Taranto – come altrove
– si è voltato dall'altra parte, non si può passare per
“esaltati”.
Stupiscono e feriscono le parole di quei
sindacalisti che abbiamo conosciuto come radicali compagni di lotta e
che oggi su questo tema invece evidenziano delle differenze che ci
auguravamo superate. Non possiamo non ricordare come anche su quello
che sta avvenendo in Campania le stesse organizzazioni sindacali
hanno sempre dimostrato un ritardo spaventoso. Solo grazie al
confronto costante, sui nostri territori siamo riusciti ad
addivenire a posizioni comuni. Con le stesse organizzazioni vorremmo
confrontarci serenamente. Ma davanti a chi definisce “voglia di
assistenzialismo”, la volontà degli operai e degli attivisti di
Taranto di riprendersi le piazze per denunciare che questo non è
l'unico modello di sviluppo possibile, vorremmo prima delle
scuse!
Piuttosto che cadere nello squallido tranello della
dicotomia lavoro/salute, dovremmo essere capaci di superare i termini
di questo scontro unendo il piano rivendicativo complessivo ed
aggiungendo ad esso il piano del diritto all'esistenza. Se non è
possibile convertire la fabbrica, se non è possibile (perchè non lo
è!) produrre acciaio senza inquinare ed avvelenare, se non è
possibile una mediazione tra produzione industriale di quel tipo e
sostenibilità, perchè dovrebbe essere scandaloso reclamare il
diritto a sopravvivere e quindi un reddito di esistenza, quantomeno
come soluzione ponte verso una strategia di uscita del territorio
tarantino dalla cappa dell'acciaio verso una altro modello di
produzione ?
Questa rivendicazione è la nostra rivendicazione.
Siamo certi che queste settimane di mobilitazioni abbiano dato un contributo importante alle lotte in difesa della salute, dell'ambiente, dei territori e dei beni comuni in questo paese. La polemica sul biocidio in corso in Campania unita alle mobilitazioni tarantine ed alle mille altre battaglie ambientali nel paese ci riconsegna la responsabilità di fare rete tra queste esperienze, di costruire un piano comune di lotta che sappia essere valore aggiunto per ogni battaglia e che sappia tracciare il nuove coordinate per le lotte al tempo della crisi. Siamo particolarmente contenti che questo contributo sia venuto da Taranto e dal Mezzogiorno. Contenti anche perchè protagonisti di quelle battaglie sono attivisti ed attiviste che abbiamo conosciuto sui nostri territori e che riteniamo fratelli e sorelle di lotta.
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