Vicenza - L’appetito vien mangiando

il Parco della Pace è una straordinaria opportunità da attraversare collettivamente

9 / 7 / 2011

Lo scorso 7 luglio il governo italiano ha finalmente sottoscritto il documento con il quale cede alla comunità vicentina il Parco della Pace. Si tratta di una unaconquista importante per una città che, in questi anni, si è mobilitata contro la militarizzazione e la devastazione del territorio: quell’area, infatti, rappresenta il primo territorio che, dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi, diventa civile dopo essere stata militarizzata. Un’inversione di tendenza – perché, nei decenni passati, è sempre accaduto il contrario – che ci fa guardare agli altri territori circondati dal filo spinato; soddisfatti, insomma, ma non appagati, perché guardiamo a Vicenza come a un territorio libero dalle servitù militari.

La firma di Roma, però, non rappresenta un punto d’arrivo, bensì l’opportunità di aprire nuovi spazi di partecipazione. L’area verde che, nel lessico cittadino, è diventata il Parco della Pace, rappresenta per Vicenza una preziosa opportunità; non soltanto per il suo valore ambientale ed urbanistico, ma soprattutto per le potenzialità sociali a cui quel territorio può dare spazi di cittadinanza ed espressione.

Sono due le ragioni per le quali quel grande prato verde a nord della Basilica palladiana può diventare un laboratorio nel quale sperimentare democrazia e pratiche di partecipazione innovative.

Innanzitutto, la storia che ha alle spalle il Parco della Pace, che si interseca nella più grande mobilitazione sociale che ha attraversato Vicenza in epoca repubblicana e che ha visto migliaia di donne e uomini interrogarsi sui temi che più da vicino contribuiscono alla nostra quotidianità e proporsi come soggetti attivi e consapevoli nella vita della comunità e del territorio in cui vivono. Questa storia rappresenta l’esprimersi concreto di un bisogno di partecipazione che, nel suo svilupparsi, ha intrecciato tra loro prassi politiche e sociali anche molto distanti – basti pensare, a titolo d’esempio, all’esperienza della consultazione popolare autogestita – facendo si che gran parte della popolazione locale ne sia stata direttamente coinvolta. Ed è proprio dall’esprimersi di questo percorso che è nato, nelle urne della consultazione popolare autogestita, la voglia di tutelare un fazzoletto di terra della nostra città, difendendone la sua destinazione a verde e investendo sulle opportunità ambientali e sociali che questa scelta propone.

In secondo luogo, l’ampiezza e la particolarità di quel territorio. Il Parco della Pace, infatti, rappresenterà il più grande parco urbano della città berica e conserva, nel suo sottosuolo, uno degli elementi per noi vitali, l’acqua. Per la sua posizione geografica – a nord della città e incuneato nella sua periferia – esso è da sempre uno straordinario spazio di biodiversità vegetale e animale. Le strutture che possiede – alcuni hangar e l’ex pista di volo – sono – come è avvenuto nell’aeroporto berlinese di Temphof – luoghi nei quali la creatività collettiva può immaginare spazi culturali e sociali in grado di ospitare proposte anche di rilievo nazionale.

In questi mesi, nel costruire l’idea concettuale di un parco laddove in passato c’era una struttura aeroportuale militare, ha assunto nel dibattito cittadino grande rilievo l’idea di “bene comune”. Tutti i soggetti e i cittadini che hanno fatto propria la prospettiva verde, infatti, hanno condiviso la necessità di vedere quell’area come uno spazio comunitario capace, nella sua vastità, di essere un luogo d’aggregazione e di cittadinanza aperto a tutti.E, nel definirlo come bene comune, il Parco della Pace ha assunto un valore che va oltre la necessità di attrezzare un’area verde destinata alla cittadinanza, per rappresentarsi, invece, come uno spazio della cittadinanza. Ovvero come un luogo del quale i cittadini non siano soltanto i beneficiari finali, ma anche, seppur in misure e forme diverse, protagonisti, non solo nell’immaginarne le caratteristiche future, ma anche nel realizzarne i particolari.

E’ in questo senso che il Parco della Pace può rappresentare un importante laboratorio sociale. Non soltanto perché, una volta bonificato e aperto, potrà essere un luogo di aggregazione e confronto, scambio e socialità, approfondimento e svago; ma, anche e soprattutto, perché quell’area, una volta privata delle sue recinzioni, può rappresentare la metafora della gestione urbanistica e sociale di un territorio urbano, trasformandosi in spazio di partecipazione nel quale una pluralità di soggetti possono mettere a disposizione le proprie competenze e le proprie capacità nell’ottica del bene comune e della condivisione. Può diventare una buona pratica, ovvero un percorso collettivo nel quale una pluralità di persone escono dalla propria quotidianità per mettersi in rapporto tra loro.

Quell’area, insomma, può rappresentare l’occasione nella quale ridefinire il concetto di cittadinanza, intendendo quest’ultima non soltanto come una forma giuridica portatrice di diritti e doveri, ma anche come una soggettività sociale che si mette in gioco all’interno di una comunità.

Il Festival NoDalMolin per i Beni comuni, in questo senso, rappresenta un piccolo spazio nel quale iniziare a costruire una grande suggestione collettiva: quella di fare di un grande prato verde un luogo nel quale proseguire un percorso iniziato 5 anni fa, continuando a pensare che ognuno di noi può portare un granello di sabbia utile a inceppare, prima o poi, i perversi meccanismi della guerra e dell’imposizione.

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