Violenza ostetrica #bastatacere: quello che le donne gridano

20 / 2 / 2017

#bastatacere. Con questo hashtag donne di tutta Italia e non solo hanno aperto il vaso di pandora in merito ad una tematica per troppo tempo rimasta sommersa, rinchiusa nel dolore di milioni di donne che hanno taciuto violenze psicologiche e fisiche sulla loro esperienza del parto.

Se per anni la parola delle donne si è concentrata intorno alle tematiche del corpo, della sessualità, dei diritti – uno fra i tanti il diritto all'interruzione di gravidanza contro il becero tentativo, riuscito, di portare gli obiettori di coscienza all'interno di consultori ed ospedali – la rivincita di quest'ultimo anno riguarda sicuramente questo tema.

Mai prima di allora si è parlato di questa tematica, che rimaneva vivida nei ricordi e nei corpi di troppe donne che vivevano sulla propria pelle un dolore troppo grande da esporre, anche ad altre donne e madri, per colpa di una società che ha sempre insegnato – tramandandolo di generazione in generazione -  che partorire “è naturale” che soffrire per mettere al mondo i propri figli “è il prezzo da pagare”, che le modalità con cui ciò avviene in sala parto devono essere taciute ad altre donne e perfino ai propri compagni e compagne, perché “è sempre stato così”.

Le donne si sono liberate di questo status quo partendo inizialmente da pochi racconti coraggiosi nei blog e nei social network che hanno cominciato a ribaltare l'idea che il parto sia per forza un'esperienza positiva e nel caso in cui non lo fosse stata bisognasse andare avanti, in silenzio, a testa china.

Da qualche testimonianza è iniziato il dibattito vivace e vero, aperto e liberatorio rispetto al tema della violenza ostetrica che prima di partire dall'atto della nascita comincia da una cultura di un mondo immagignifico, creato ad hoc da una società che da sempre tenta di reprimere il diritto delle donne di prendere parola su argomenti che rompono dei tabù talmente radicati nel tempo e nella storia, che facciamo fatica a trarne l'origine.

Non tutte le donne vivono la gravidanza prima, ed il parto poi, nello stesso modo.
Non tutte sono preparate a vedere il proprio corpo cambiare, gli organi spostarsi per fare posto al proprio figlio.
Non tutte le donne vivono positivamente la medicalizzazione che le accompagna fino alla sala parto.

Non tutte le donne si sentono accompagnate e appoggiate dai propri compagni, familiari, medici ed ostetriche.

Tante, troppe donne, hanno subito violenze – fisiche e verbali, prima durante e dopo il parto – che hanno taciuto.

Non tutte le donne sono in grado o vogliono allattare il proprio figlio.

Molte donne hanno bisogno di sostegno per capire come approcciarsi a quell'essere che nasce dalle loro viscere, ma che quando lo hanno davanti possono viverlo in modo ambivalente, avendo davanti a loro un neonato, il loro figlio, che risulta essere difficilmente comprensibile nei bisogni e nella relazione.

Questo bisogna avere il coraggio, in primis, di ammetterlo a se stesse e per farlo bisogna che si smonti un assunto radicato nella nostra cultura da tempo immemore.

Un assunto da sfatare o quantomeno da ricomporre in modo corretto è il seguente: “Essere madri è naturale, non ce lo può insegnare nessuno. Quello che succede in sala parto deve rimanerne all'interno”.

Queste parole risuonano nelle orecchie delle donne da troppo tempo e hanno creato nelle loro menti più danni di quanto si possa immaginare.

Partiamo da qui per dire cosa? Per affermare il diritto delle donne di potersi permettere finalmente di aprire un discorso e delle pratiche da condividere con altre donne e non solo, per non far sentire sole e inadeguate tutte le donne che si sono sentite tradite da persone cui hanno messo in mano non solo il loro figlio ma anche il loro corpo, con tutto il vissuto di emozioni, paure, gioie e fatiche che ciò comporta.

Cominciamo a dire a queste donne che hanno il diritto di poter verbalizzare di sentirsi inadeguate senza per questo essere giudicate. Che devono avere a disposizione personale specializzato e sostegno psicologico gratuito per potersi aiutare.

Diciamo a queste donne che non è sempre vero che questo è naturale per tutte, che a volte per quanto abbiano desiderato il loro figlio ci si trova davanti un essere che non si sa interpretare, e non per questo valgono meno di altre donne e madri; che c'è uno spazio in cui possano sentirsi libere di dire tutto quello che vogliono, anche che non sono pronte quanto possano pensare, che c'è chi le può aiutare in un percorso meravigliosamente potente e difficile come il divenire madre.

Diciamo che non staremo più in silenzio davanti a pratiche aggressive, violente, non richieste e mai spiegate nel momento del parto.

Diciamo che è un diritto pretendere di poter avere l'epidurale, perché non è vero che si deve partorire con dolore, ci sono mezzi e terapie che lo possono quantomeno ridurre.

Diciamo che è un diritto partorire in piedi, in acqua, a carponi, sedute su una palla, in casa e ovunque ci si trovi a proprio agio senza dover essere messe stese su un lettino per la comodità di medici e ostetriche che devono assistere al parto.

Diciamo che anche in momenti in cui il parto è “a rischio” e si devono applicare determinate procedure d'urgenza, la donna deve essere sempre messa al corrente con terminologia adeguata e comprensibile in merito a quello che sta per accadere.

Che la donna ha diritto di piangere, urlare, imprecare senza essere zittita dal personale ospedaliero con frasi denigranti della propria persona, che deve sempre essere sostenuta e aiutata con un supporto sia fisico che psicologico.

Diciamo che dopo il parto la donna ha il diritto di scegliere se stare nella stanza con il proprio bambino ma che può decidere di riposarsi da sola, senza per questo essere giudicata e bollata come una “cattiva madre”.

Diciamo che una donna non è meno madre delle altre se non ha il latte, se fatica ad allattare o se sceglie di non farlo.

Se tutto questo comincia ad accadere lo dobbiamo a donne coraggiose che per prime hanno messo nero su bianco esperienze e vissuti intimi e personali che hanno permesso ad altre donne di poterne parlare, di sentirsi meno sole e abbandonate.

Tutto questo è un inizio verso una rivoluzione culturale che deve ancora darsi nella sua completezza ma che è qualcosa di enormemente potente e dirompente nel panorama attuale.

Non smettiamo dunque di aprire spazi di libertà, continuiamo a spingere sempre di più e a pretendere che il corpo e il vissuto delle donne siano rispettati in ogni aspetto della vita.

Se è vero che la libertà e la dignità degli esseri umani non hanno prezzo, allora cominciamo da noi.
Riprendiamoci i nostri diritti, ciò che ci appartiene, ad ogni costo.

di Federica Pennelli

Redattrice di “Global Project”, membro dello “Spazio salute popolare” di Padova, da anni consulente in comunità terapeutiche e cliniche a sostegno della genitorialità.

Per info:

https://ovoitalia.wordpress.com/violenza-ostetrica-faq/