Welcome, Uniti per la libertà

Welcome - Da Lampedusa alla Tunisia

Esc_Infomigrante_Roma

8 / 4 / 2011

Partiamo da un dato di fatto: abbiamo sempre avuto ragione. Le accuse di ideologismo mosse negli anni alle posizioni che i movimenti hanno assunto rispetto al fenomeno delle migrazioni internazionali si rivelano oggi più che mai false.

 In questi giorni il presidente Berlusconi si è appropriato di alcuni di quei discorsi attaccati tanto dai partiti di centro-destra che da quelli di centro-sinistra: “l’accoglienza è un dovere”, “dobbiamo accogliere gli immigrati perché siamo stati un popolo di emigranti”, etc. Noi lo abbiamo detto per anni, eppure venivamo tacciati di non tenere conto della realtà, del fatto che l’immigrazione fosse “oggettivamente” un problema che solo con la deriva securitaria e repressiva si poteva affrontare. Centro-destra e centro-sinistra sono stati, più che su ogni altro terreno, complementari nel costruire un immaginario da cui sembrava non ci fosse via d’uscita.

Non aspettavamo certo le dichiarazioni di Berlusconi per essere sicuri di avere ragione. Eppure la svolta improvvisa delle retoriche ufficiali ci offre un’occasione imperdibile per denunciare ed essere creduti rispetto al fatto che le “invasioni di migranti” e le “emergenze immigrazione” non sono dati di fatto, ma strategie politiche di gestione delle popolazioni.

Come campagna Welcome siamo stati a Lampedusa . Qui il primo dato che è emerso in maniera lampante è stato proprio questo: è stato il governo italiano a creare e rappresentare pubblicamente un’emergenza che non ci sarebbe stata. E lo ha fatto dirottando su quell’isola tutte le barche in viaggio verso l’Europa, non fornendo alcun tipo di servizio (docce, bagni, tende) ai migranti arrivati sull’isola, non dando nessuna risposta ai lampedusani. Se la situazione non è esplosa è stato solo grazie alla straordinaria solidarietà e lucidità che questi ultimi hanno dimostrato.

 Oggi Berlusconi e Maroni non riescono più a gestire l’emergenza che hanno prodotto e per questo tentano di allentare la tensione (e di non perdere troppo consenso in vista delle amministrative) concedendo la protezione temporanea a 23.000 migranti e provando ad abbassare i toni allarmistici con cui hanno per anni rappresentato la figura del migrante. Da questi giorni non più invasore, barbaro, portatore di malattie, ma persona alla ricerca della libertà e di migliori condizioni di vita.

 Sebbene si tratti di provvedimenti e discorsi che non risolvono in maniera definitiva, chiaramente, i problemi causati dalle retoriche e dalle politiche sulle migrazioni dell’ultimo decennio, siamo certamente di fronte a qualcosa che nessuno si sarebbe aspettato solamente un mese fa. Qualcosa che dimostra a tutti coloro che hanno guardato ai migranti soltanto con i paraocchi delle retoriche ufficiali che quando c’è la volontà politica accogliere è possibile, regolarizzare lo status giuridico delle persone è possibile, immaginare un futuro in comune che respinga la criminalizzazione dei fenomeni migratori è possibile.
Ora bisogna forzare questo spazio e non accettare nuovi criteri di clandestinizzazione, chi è arrivato fino a ieri era profugo chi arriva domani torna a essere clandestino. E ora bisogna estendere il diritto di circolare liberamente in Europa e contestare prese di posizione ad hoc, ancor più inopportune se si guarda, nello specifico, al passato coloniale della Francia, proprio in Tunisia.

 Sulla base di questi elementi e delle possibilità di trasformazione che in questo momento si stanno aprendo, dopo Lampedusa andremo in Tunisia. Lo faremo per capire, per chiedere perché le persone migrano, perché in questi giorni il fenomeno ha assunto queste dimensioni, per sapere cosa è successo durante la rivolta, cosa sta succedendo in questi giorni e cosa potrebbe succedere in futuro.

Andremo in Tunisia per visitare il campo profughi di Ras Jadir, al confine con la Libia e toccare con mano ciò che tanti giovani tunisini ci hanno raccontato a Lampedusa: che la Tunisia, nonostante non sia un paese ricco e si trovi ora in una situazione particolarmente problematica, ha accolto decine di migliaia di profughi libici (si dice circa 200.000), mentre l’Italia ha trattato in maniera disumana e senza alcuna pianificazione dell’accoglienza i 20.000 migranti tunisini arrivati finora. Se fosse un’emergenza la nostra, come dovremmo chiamare il flusso migratorio diretto verso la Tunisia che è ben 10 volte maggiore?
 Dopo Lampedusa andremo in Tunisia per chiedere e affermare soprattutto tre cose.
Primo.  Chiediamo che la protezione temporanea venga riconosciuta a tutti, quindi anche a coloro che arriveranno nei prossimi giorni. Gli unici rimpatri che consideriamo legittimi sono quelli dei migranti che vogliono autonomamente tornare a casa: non sono poche le persone che si sono infatti rese conto della reale situazione del nostro paese e vogliono tornare a casa loro. Diciamoci la verità, in Italia non ci vuole stare più nessuno. Basta pensare ai dati che riguardano la popolazione giovanile compresa tra i 20 e i 35 anni: se considerassimo solo questa fascia di età l’Italia non sarebbe un paese di immigrazione (come gridato a gran voce e rappresentato continuamente), ma un paese di emigrazione. I giovani scappano perché qui non c’è futuro.
Secondo.  Chiediamo che il reato di clandestinità, ostacolo spesso insormontabile per qualsiasi politica di accoglienza e per qualsiasi possibilità di integrazione, venga abolito per sempre. Proprio oggi la Cei ha chiesto a gran voce la stessa cosa.
Terzo.  Chiediamo l’apertura immediata di un corridoio umanitario che permetta alle persona in fuga dalle crisi nordafricane, mediorientali e centroafricane (pensiamo alla Costa d’Avorio) di arrivare in Europa in condizioni di totale sicurezza. I governi europei, Berlusconi e Maroni hanno la responsabilità politica e morale delle tragedie che avvengono in mare, come ieri e come tante altre volte, e hanno la responsabilità di impedire che succedano nuovamente. Questa stessa richiesta è stata fatta stamattina dalla Caritas.

 Andremo in Tunisia, infine, per dire che è questo il momento giusto per immaginare e costruire uno spazio Euromediterraneo dei diritti dove le vecchie frontiere si trasformino in ponti, dove il mare torni ad essere un mezzo di comunicazione e di collegamento tra i popoli e smetta una volta per tutte di funzionare da strumento di divisione e confinamento di alcuni. Solo uniti si può fare tutto questo. Solo uniti si può vincere.
Noi vogliamo essere uniti contro la crisi e per la libertà.

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