Fonte: Corriere.it 23.12.09

Yamaha di Lesmo, accordo raggiunto. Gli operai scendono dal tetto dopo 6 notti

Una giornata di intense trattative, poi l’intesa. L’azienda chiederà la cig per tutti i dipendenti. Intervento dei pompieri e della Protezione civile

23 / 12 / 2009

MILANO - State scendendo? «Sì, proprio adesso. Ci sono i pompieri, la scala è ghiacciata. Ci stanno aiutando loro. È finita, è finita, è finita». Mezzanotte e trequarti di ieri. Al telefono c’è Emanuele Colombo, uno dei quattro operai della Yamaha Italia. In sottofondo rumore di voci, pioggia. Qualcuno grida «olé», o così pare di sentire. Nello stabilimento si assemblano la moto dal nome Ténéré, come il deserto. Al secondo e ultimo piano dello stabilimento c’è l’ufficio del presidente della Yamaha Italia, Hiromu Murata, giapponese. Quando una delegazione di lavoratori era entrata nell’ufficio per chiedere notizie sui licenziamenti, Murata aveva chiesto scusa e, raccontano, s’era messo a piangere. Da una settimana Murata non si vedeva più.


Per una settimana (era cominciato tutto mercoledì scorso) in cima allo stabilimento ci sono stati due tende e quattro sacchi a pelo. Nei sacchi, altrettanti operai: Paolo Mapelli (39 anni), Colombo (31), Martino Sanvito (27) e Jarno Colosio. Jarno al collo ha una sciarpa del Milan. «Gliel’ho messa io. Ha la stessa età, 21 anni, di mio figlio, morto pochi mesi fa», ha detto il 51enne Angelo Caprotti dal campo base a ridosso del cancello della Yamaha Italia. Sede a Gerno, frazione di Lesmo, quaranta chilometri da Milano e quattro da Arcore. Tutto è dunque finito in nottata, con la situazione sbloccatasi quando pareva ormai arenata: arriverà la cassa integrazione, salvo colpi di sorpresa e ripensamenti. Tutto era iniziato una settimana fa, quando la Yamaha aveva annunciato la decisione di trasferire l’assemblaggio in Spagna, decretando il licenziamento di 66 operai.

Al campo base c’erano una roulotte, bidoni dove bruciava della legna, il peruviano Rubio (uno dei 66, l’unico straniero) che armeggiava al barbecue, qualche politico locale venuto in gita. Nel 2001, ha raccontato Colombo, entrò in Yamaha e si fidanzò. Nel 2009, «mi sono lasciato e mi manderanno via. Un anno tremendo. O forse no. Stiamo tirando fuori il carattere. Noi, del marchio Yamaha, siamo sempre andati orgogliosi. Ci vantavamo con gli amici. Non volevamo arrivare a questo punto. Siamo stati obbligati. Per avere la cassa integrazione abbiamo dovuto fare il cinema». In quota ci sono state febbre, tosse, bronchiti. Fette di pizza, piatti di minestra. Bottiglie di grappa. Mazzi di carte. Tutte cose salite e scese grazie a un cestino azionato da una corda. Ai piedi dello stabilimento, alto una decina di metri, si incontravano gli impiegati della Yamaha (i tagli aziendali non li hanno coinvolti); qualcuno liberava il passaggio pedonale dalla neve, per non dar fastidio ai clienti in visita. Dal campo base alla fabbrica corrono duecento metri.

Le guardie all’ingresso, trincerate dietro imonitor delle telecamere, lasciano passare personale, clienti e, degli operai, soltanto quelli che andavano a portare i generi di conforto ai quattro. Ogni tanto, con quelli della security si è litigato un po’, li accusavano di esser troppo zelanti per compiacere il padrone. Abbiamo sentito un guardiano quasi piange: «Vi capisco. Ma un giorno sono andato al lavoro e c’erano i cancelli chiusi. Licenziati senza avviso. Ho trovato questo posto alla Yamaha, me lo tengo strettissimo». Oggi a Roma vertice annunciato dal ministro Sacconi, per ratificare l’accordo raggiunto nella notte. Presenti i vertici aziendali e i sindacati, con in testa il mite e tenace Gigi Redaelli (Cisl). Alla Yamaha gli operai guadagnano «1.200 euro». La sede di Gerno ospita anche il reparto corse, quello della scuderia di Valentino Rossi. «Gli abbiamo scritto, non s’è fatto sentire», dice Angelo Caprotti. Sua moglie, per la cronaca, è uno dei 66 operai. Nel tempo libero Jarno Colosio corre in moto; Martino Sanvito gioca a calcio in prima categoria, difensore; Paolo Mapelli sta con i suoi animali, serpenti; Emanuele Colombo prende i sentieri di montagna, adora le vette e le grandi sfide.

Andrea Galli