Tripoli-Roma, gli effetti di un folle matrimonio

Eni, Unicredit e Impregilo trascinano Piazza Affari nel baratro. Il mercato italiano paga più di tutti le relazioni con il dittatore libico

22 / 2 / 2011


Il motivo principale
, fino a smentita, per cui il governo italiano tentenna e non critica apertamente l'operato di Gheddafi in questa ultima settimana è rintracciabile nei listini della Borsa di Milano.

PeaceReporter si è interrogata in questi giorni sulla natura ordinaria dei bollettini emanati dalla Farnesina. La risposta è arrivata stamattina: non appena il ministero degli Esteri italiani ha lanciato l'avviso di emergenza, sconsigliando i viaggi in Libia "a qualsiasi titolo" e le mega aziende italiane  hanno richiamato in Italia i dipendenti e i loro famigliari, la Borsa di Milano è andata a picco trascinata dai titoli di Eni (- 5,01), Saipem (- 4,06), Finmeccanica (- 2,37), Impregilo (- 6,09), Astaldi (- 4,65) e Unicredit (- 6,09)*.
È una conseguenza tutta italiana e lo si capisce confrontando i 3,59 punti percentuali lasciati sul terreno dalla Borsa di Milano. Anche i mercati europei sono in calo ma, come spiegato a PeaceReporter da un trader finanziario, si tratta di una flessione fisiologica: Francoforte perde l'1,41; Parigi l'1,47; Londra solo 1,05. Andando nei confronti di settore, in quello energetico la francese Total lascia l'1,80 (a fronte del 5 per cento di Eni) e la Bnp Paribas l'1,94 (contro il 6 per cento di Unicredit).

L'Italia è il paese europeo più esposto nei confronti della Libia. Tripoli si è infiltrata nelle trame della finanza e dell'economia italiana grazie a patti scellerati mediati dalla politica: la Banca centrale libica (Cbl) e il fondo sovrano Lybian Investment Authority (Lia) possiedono il 6,5 per cento dei titoli Unicredit - il che rende Tripoli il principale azionista dell'istituto di credito. La vice presidenza di Unicredit occupata da Farhat Bengdara - presidente della Cbl - la dice lunga sul peso libico all'interno della banca. Il gigante energetico Eni è il primo investitore straniero in Libia: dai giacimenti petroliferi libici dipende il 12,5 per cento della produzione totale del gruppo e l'ad Paolo Scaroni ha recentemente annunciato investimenti per 25 miliardi di euro. Impregilo ha firmato contratti per il valore di un miliardo di euro. Il fondo Lia ha partecipazioni nel capitale di Finmeccanica pari al 2 per cento.

Adesso gli investitori sono preoccupati e gli altri azionisti, quelli importanti, hanno paura. Perché sanno che Gheddafi lotterà "fino all'ultima pallottola", che prima di affondare darà fuoco ai pozzi petroliferi.

L'Italia ha accolto il Colonnello Gheddafi arrivato con i suoi forzieri, come il salvatore dell'economia italiana. È comprensibile, allora, che Frattini vesta i panni di "ambasciatore libico" a Bruxelles - dove invita i suoi omologhi a non interferire nella rivolta in atto - e al telefono con il Segretario di Stato Usa Hillary Rodham Clinton, aggiornandola sui tentativi di mediazione del governo libico con i rivoltosi della Cirenaica. È comprensibile che l'onorevole Fabrizio Cicchito inviti alla moderazione e al "senso di equilibrio" che - lo ripetiamo - sarebbe stato più utile quando si sceglieva Gheddafi come partner strategico. È comprensibile che il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi - che pure, scavando nelle scatole finanziarie, ha degli interessi privati in Libia - non intenda "disturbare" il Colonnello.

Non è più tempo di parlare solo alla pancia degli italiani: sarebbe comprensibile, ma anche auspicabile, che le opposizioni - da Pierluigi Bersani ad Antonio di Pietro, fino a Futuro e Libertà - chiedano conto e dimissioni del governo non per le notti di Arcore e le cortigiane, ma per il ruolo di sensali che Berlusconi&Co hanno avuto in questo folle matrimonio.

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