A Hong Kong si alza l’urlo di Occupy

Cina. Universitari in piazza per chiedere democrazia. Un movimento che pare essere sfuggito di mano agli organizzatori

27 / 9 / 2014

di Simone Pieranni

Secondo i rap­pre­sen­tanti di Occupy Cen­tral, ieri a Hong Kong ci sareb­bero state almeno 50mila per­sone in piazza. Ci sono stati scon­tri con la poli­zia, che ha usato lacri­mo­geni e spray al pepe­ron­cino, alcuni arre­sti (36 per­sone sono state poi rila­sciate). Pechino, ad ora, non ha risposto.

  Innan­zi­tutto, i motivi della pro­te­sta: da una set­ti­mana sono in corso mani­fe­sta­zioni di stu­denti, per richie­dere sostan­zial­mente che nel 2017 il «chief exe­cu­tive», il primo mini­stro dell’ex colo­nia, possa essere eletto con metodi demo­cra­tici. Su que­sto argo­mento, nei mesi scorsi, era stato anche indetto un refe­ren­dum infor­male, per deli­be­rare la forma attra­verso la quale eleg­gere il rap­pre­sen­tante. 

Pechino ha tenuto duro, riba­dendo la sua teo­ria di «un paese, due sistemi», che tra­dotto nella pra­tica signi­fica che a Hong Kong una for­mula «simile» alla demo­cra­zia basta e avanza. Ovvero, il primo mini­stro con­ti­nuerà ad essere eletto da un comi­tato di grandi elet­tori, in gran parte con­trol­lato da Pechino. Il gesto sim­bo­lico di un’elezione, per il Pcc è suf­fi­ciente. Per molti stu­denti e atti­vi­sti di Hong Kong, no.  Ma natu­ral­mente c’è dell’altro. 

Negli anni scorsi Hong Kong ha vis­suto un momento eco­no­mico par­ti­co­lare: Pechino ha spinto su Shan­ghai e l’isolotto di Pudong come hub finan­zia­rio nazio­nale, finendo per cal­pe­stare i piedi pro­prio agli affari di Hong Kong. La comu­nità busi­ness dell’ex colo­nia si è pre­oc­cu­pata, ma ha capito fin da subito che per­dere il treno cinese sarebbe troppo rischioso. Tanto vale, dun­que, accet­tare il sistema poli­tico impo­sto da Pechino, pur­ché si pos­sano con­ti­nuare a fare affari. Hanno patito i lavo­ra­tori: non a caso gli addetti por­tuali, ad esem­pio, entra­rono in mobilitazione.  Oltre alla demo­cra­zia, quindi, la par­tita è ben più ampia. Que­sto ha finito per creare situa­zioni para­dos­sali, piut­to­sto tipi­che dell’isola: la comu­nità finan­zia­ria non ha appog­giato Occupy Cen­tral, temendo una rea­zione troppo dura da parte di Pechino. 

E ieri, per­fino gli orga­niz­za­tori delle pro­te­ste, sono apparsi in dif­fi­coltà di fronte alla mani­fe­sta­zione, come se fosse sfug­gita di mano. Tanto che hanno annun­ciato uffi­cial­mente di aver «rin­viato» le azioni di disob­be­dienza civile pre­vi­ste. La ten­sione è altis­sima, la poli­zia di Hong Kong in alcuni casi è inter­ve­nuta, in altri ha addi­rit­tura rimosso alcune bar­riere, per con­sen­tire il pas­sag­gio di una massa di mani­fe­stanti che nelle ore serali aumen­tava a vista d’occhio.  

Alle richie­ste di demo­cra­zia di stu­denti e atti­vi­sti, infatti, si affianca un sen­ti­mento anti cinese che negli ultimi anni è tra­ci­mata in accuse pesanti tra «con­ti­nen­tali», i cinesi, e gli abi­tanti dell’ex colo­nia. È ipo­tiz­za­bile che anche lo spi­rito di molti appar­ten­tenti alla poli­zia, alla fin fine, sia fon­da­men­tal­mente anti cinese. A Hong Kong si respira in modo evi­dente la volontà di con­si­de­rarsi diversi dai cinesi, di rimar­care pro­fonde dif­fe­renze, alcune delle quali sto­rid­scono la super­fi­cia­lità occi­den­tale. Ad esem­pio il fatto di sen­tirsi «più cinesi dei cinesi», avendo man­te­nute intatte tra­di­zioni smem­brate in Cina (come ad esem­pio i carat­teri tra­di­zio­nali). 

Sen­ti­menti che uni­scono, in que­sto caso, Hong Kong all’altro grande pro­blema «esterno» di Pechino, ovvero Taiwan.  Pechino ha fatto sapere il pro­prio pen­siero, per ora, solo attra­verso alcuni com­menti sui media uffi­ciali. Il Glo­bal Times ha rila­sciato un edi­to­riale nel quale si accusa aper­ta­mente Washing­ton di inge­renze negli affari interni cinesi, a seguito della sco­perta di incon­tri e dia­lo­ghi tra fun­zio­nari ame­ri­cani e rap­pre­sen­tanti di Occupy. Niente di più facile: gli Usa da sem­pre lavo­rano ai fian­chi la Cina sul tema dei diritti umani e della demo­cra­zia e Hong Kong per­mette abili mano­vre, pro­prio gra­zie alle pos­si­bi­lità che il «sistema misto» per­mette. Quando ci fu il refe­ren­dum infor­male e ven­nero annun­ciate mani­fe­sta­zioni, la Cina fece capire che non avrebbe esi­tato a spe­dire i pro­pri mili­tari per tenere sotto con­trollo la situazione.

 Una minac­cia che i rap­pre­sen­tanti di Occupy ricor­dano; forse, anche per que­sto motivo, ieri hanno pro­vato a cal­mare i pro­pri attivisti.  E men­tre Hong Kong affronta una pro­te­sta come non si vedeva da tempo (ci sarà da capire se la com­po­ne­nente sociale dei lavo­ra­tori si unirà alle pro­te­ste) in Cina si discute di mili­ta­riz­za­zione della poli­zia. Una sorta di minac­cia incom­bente sull’ex colo­nia, qua­lora le cose doves­sere pren­dere una piega defi­ni­ti­va­mente poco gra­dita a Pechino.

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