Attorno alla Corea del Nord: le manovre nell'area

Gli interessi geopolitici tra Cina ed Usa

13 / 4 / 2013

Con Angela Pascucci parliamo degli scenari descritti nella puntata di Osservatorio Cina dedicati alle tensioni nell'area asiatica che si sono poi materializzate nella vicenda coreana.

Eravamo rimasti, il 12 febbraio, - vedi articolo "Gli scenari asiatici" - al test nucleare sotterraneo condotto dalla Corea del nord, il quale era stato preceduto a dicembre da un test missilistico. Iniziative che, percepite come una nuova sfida del “regno eremita”, hanno fatto alzare di nuovo la tensione internazionale e che hanno provocato la risoluzione del’Onu che imponeva sanzioni economiche sottoscritta stavolta anche dalla Cina. Una delle poche volte in cui anche Pechino si è unita all'applicazione delle sanzioni finanziarie nei confronti della Corea del Nord. Decisione che segnala un mutamento della situazione.

A questo si è aggiunto poco dopo, alla fine di marzo, l'inizio delle manovre congiunte Usa - Corea del Sud. Manovre imponenti ed anche prolungate, iniziate a fine marzo e che termineranno a fine aprile. Lo sottolineo perchè pochi ne parlano, o sottovalutano questo elemento, quando descrivono la situazione. Ci sono circa 40.000 militari impegnati in queste manovre. Gli Usa hanno fatto sfoggio di armamenti avanzati: oltre ai classici B52 sono stati usati anche gli Stealth B2, bombardieri che sfuggono alle intercettazioni radar oltre che i caccia F22.

A questo punto Pyongyang, già ben avviata sulla strada di una nuova sfida internazionale dal nuovo leader Kim Jong-un, figlio di Kim Yong-il, che evidentemente pensa di doversi “fare le ossa” e presentarsi alla comunità internazionale (oltre che dare dimostrazione di forza all’establishment militare interno), annuncia la rottura dell'armistizio del 1953 e praticamente dichiara lo stato di guerra con Seul. (Va ricordato che non è mai stato firmato un Trattato di pace fra le due Coree).

Comincia così l'escalation della retorica nordcoreana, con le minacce di Armageddon atomica, di attacco alle basi americane e sudcoreane. Nel frattempo viene anche chiuso ( fatto mai accaduto prima) il complesso industriale di Kaesŏng una specie di Zona Economica speciale congiunta con la Corea del Sud, attiva dal 2004, dove sono installate 120 imprese sudcoreane e dove lavorano 53.000 nordcoreani (per un totale di 80 milioni di dollari di salari e 2 miliardi di merci prodotte). Viene anche annunciato il riavvio delle attività al sito nucleare di Yongbyon, il cui fermo era stato uno dei maggiori risultati dei colloqui a sei, interrottisi nel 2007.

In effetti stiamo assistendo a un’escalation in uno scenario piuttosto preoccupante, e ora si attende un attacco missilistico da parte della Corea del Nord. Pyongyang ha avvertito gli addetti delle ambasciate straniere di andarsene e ai turisti di abbandonare il paese perché a partire da mercoledì scorso ogni momento sarebbe stato buono per l’avvio di un attacco nord coreano. Si cerca di capire quando ciò potrà effettivamente avvenire. C’è chi pensa al 15 aprile, anniversario della nascita di Kim Il-sung, fondatore della dinastia Kim, ma un momento “perfetto” avrebbe potuto essere anche venerdì, quando in visita a Seul sono andato il capo della Nato, Fog Rasmussen, e il nuovo segretario di stato americano John Kerry, che poi ha proseguito per Pechino. Queste le date ipotizzate per l’attacco annunciato, che ha indotto il comando congiunto americano e sudcoreano ad alzare il livello di allerta a 2, equivalente a “minaccia vitale”.

Possiamo dire anche che i momenti di tensione forte con la Corea del Nord non sono mai mancati. Uno degli ultimi si è verificato nel 2010 quando l’artiglieria di Pyongyang aveva bombardato un’ isoletta sudcoreana, Yeonpyeong, poco a sud della linea limite che separa le due Coree, provocando la morte di due marines e due civili sudcoreani. La causa, secondo Pyongyang, manovre militari condotte tropp a ridosso della zona limite. L’attacco tuttavia non aveva provocato reazioni forti.

Ora si profila uno scenario preoccupante ma il tutto è un po’ surreale. Perché tutti, media in prima fila, gridano all’allarme nucleare pur sapendo benissimo che la Corea del Nord non è ancora in grado di lanciare un attacco atomico, tantomeno contro gli Stati Uniti. Con il test nucleare di febbraio era stata fatta esplodere una bomba potente ma di piccole dimensioni, in gradi di essere montata su una testata di missile. Ma un simile ordigno non è nella dotazione normale dell’armamento nordcoreano. Inoltre è risaputo che anche i missili a più lunga gittata nordcoreani possono arrivare a malapena a Guam, nel mezzo del Pacifico, dove il comando americano ha già schierato portaerei e sistemi di difesa anti missile. Gli stessi comandi americani e sudcoreani hanno annunciato che non interverranno con i sistemi antimissile se dovessero rendersi conto che gli ordigni nordcoreani finiranno dentro il mare senza colpire nessuno.

Dunque tanto rumore per nulla?

Probabilmente no, perché come ha dichiarato il segretario dell'Onu, Ban Ki moon gli eventi potrebbero sfuggire di mano considerata la situazione di alta tensione. Ed in effetti quello che è in atto nella penisola sudcoreana, con le manovre congiunte in corso, per certi versi è un vero dispiegamento bellico. Si potrebbe, quindi, innescare uno scontro non nucleare ma convenzionale, con scenari di manovre belliche di vario genere che sono stati prefigurati in alcune analisi come quella, accurata ed inquietante, pubblicata sul sito di Foreign Policy (http://www.foreignpolicy.com/articles/2013/04/03/tell_me_how_this_starts).

Restano poi tutti gli altri elementi di cui avevamo parlato precedentemente.

La Cina è di nuovo sotto pressione. Tutti le si rivolgono ritenendo che spetti innanzitutto a Pechino premere in modo decisivo sulla Corea del Nord, della quale è praticamente l’unica alleata, per far desistere Kim Jong-un da quella che viene considerata una irrazionale follia.

La Cina da parte sua in questa fase si è innervosita non poco con i nordcoreani.

Il Ministro degli esteri Wang Yi ha dichiarato che non consentirà “piantagrane” alle porte del paese. Lo stesso presidente Xi Jinping ha avvertito che la Cina non consentirà a nessuno di “creare il caos” per interessi egositici.

Questa volta, secondo quanto riportato dalla Reuters, la Cina qualche sanzione economica l'ha cominciata ad applicare: l'export verso la Corea del Nord è diminuito del 13% nel primo trimestre dell’anno e sarebbero stati tagliati alcuni rifornimenti energetici vitali. I dati doganali mostrano che la Cina non ha esportato greggio in Nord Corea nel mese di febbraio mentre alcuni media sud coreani hanno riportato che la Cina avrebbe rifiutato di rinnovare i visti agli operai nord coreani che lavorano nelle fabbriche di Dandong, città cinesi di frontiera. (http://www.reuters.com/article/2013/04/08/us-korea-north-china-idUSBRE9370BO20130408)

Al tempo stesso però, secondo quanto scrive l’Economist nel suo numero del 6-12 aprile, i conti della famiglia Kim, che sarebbero depositati in due banche di Shangai, non sono stati toccati e la Cina avrebbe detto, anche in sede Onu, che quei beni non sarebbero rientrati nel pacchetto delle sanzioni. Il che in effetti sarebbe equivalso a una dichiarazione quasi di guerra nei confronti del regime di Pyongyang.

La strategia cinese, in questa fase di disappunto notevole per Pechino, può essere spiegata con la necessità di colpire abbastanza duramente Pyonyang per indurla in qualche modo a rientrare dentro un percorso di normalità e cercare di riavviare il dialogo a più voci, senza tuttavia provocare o destabilizzare troppo il regime di Kim.

La Cina è irritata e molto preoccupata per quello che abbiamo già detto in un precedente Osservatorio. Infatti, anche se gli Stati Uniti insieme al Giappone e alla Corea del Sud continuano ad affermare che spetta ai cinesi muoversi per disinnescare Pyongyang, la situazione attuale va in realtà molto a favore di Washington. Gli Usa, al di là delle preoccupazioni contingenti di un conflitto, che per inavvedutezza o inesperienza del giovane leader nordcoreano potrebbe esplodere e dilagare, vedono confermata la loro strategia di rimpegno in Asia. E' la strategia, che avevamo già descritto come del “pivot”, cioè il rafforzamento delle alleanze innanzitutto militari con i vicini della Cina, vale a dire il Giappone e la Corea del sud. Il rimpegno americano viene infatti costantemente giustificato dalla presenza della imprevedibile minaccia rappresentata dalla Corea del Nord, quando di fatto lo sanno anche le pietre che l’obiettivo è stare sul collo della potenza cinese, che tra un po' competerà pienamente, anche sul piano militare.

Si può dunque affermare che in qualche modo c'è una convenienza, più o meno generale, a mantenere la Corea del Nord in questo suo stato di “paria”, di stato canaglia irrazionale e imprevedibile.

Quindi la palla, come dicono tutti gli osservatori un po' più attenti e meno superficiali, non è nelle mani della Cina ma in quelle degli americani. E' a loro che Kim Jong-un si sta rivolgendo perché, sulla base di questa nuova strategia di nuovo impegno americano in Asia, riconoscano un ruolo alla Corea del Nord. La riconoscano e le diano garanzie di sicurezza partendo però dal fatto che la Corea del Nord vuole diventare una potenza nucleare e non si siederà di nuovo a nessun tavolo di negoziato se la condizione dovesse essere quella di una rinuncia preventiva a questa possibilità.

E qui torna un aspetto che ho già sottolineato in passato e che torno a ripetere, perché è fondamentale per arrivare al governo giusto di un mondo sempre più multipolare. L’aspetto a cui mi riferisco è la questione del nucleare e delle regole che la governano.

Per quanto riguarda la Corea del nord, ma non solo, la domanda è: quanto è contenibile o disciplinabile un paese i cui governanti sono convinti che l’armamento atomico sia l’unica strategia di sopravvivenza a loro disposizione, sia come mezzo di pressione sia come mezzo di difesa? E questa è la convinzione con tutta evidenza ereditata da Kim Jong un dal padre e dal nonno e che lo spinge a considerare la capacità nucleare una strategia non negoziabile. Quindi l’obiettivo della de-nuclearizzazione, premesso dagli americani come la condizione necessaria per un riavvio dei colloqui con Pyongyang, appare una chimera almeno finché il regime sopravvive. Ma, come in loop logico, se l’obiettivo degli Stati uniti e dei loro alleati nell’area è l’abbattimento del regime dei Kim (come questi ultimi sono convinti che sia) non si arriverà mai a capo di nulla e l’instabilità nell’area rischia di andare fuori del controllo di coloro che la coltivano.

Del resto (pensano i Kim ma non solo loro) se l’Iraq di Saddam o la Libia di Gheddafi fossero stati muniti di armi atomiche, nessuno li avrebbe toccati. Quindi di nuovo la comunità internazionale si trova in una situazione in cui deve risolvere un problema di regole di convivenza e sicurezza che non ammettono disparità o asimmetrie. Il nucleare o ce l’hanno tutti o non ce l’ha nessuno, soprattutto dopo i conflitti scatenatisi negli ultimi 20 anni.

Quanto alla popolazione nord coreana, che merita un rispetto ben più grande di quello concessole dai cinici calcoli geostrategici, si gioverebbe molto di più di una “normalizzazione” che rompesse l’isolamento del paese e innestasse nuove dinamiche interne, piuttosto che di un brutale regime change che la priverebbe di ogni capacità di controllare il proprio destino.