Beirut - Intervista a Lorenzo Trombetta, storico e giornalista

27 / 4 / 2014

Abbiamo incontrato Lorenzo Trombetta, giornalista ed esperto di politica mediorientale e corrispondente di diverse testate giornalistiche, con il quale abbiamo approfondito la connessione tra l'attualità libanese e la guerra in Siria

C'è chi presenta la situazione in Libano ovviamente come collegata a quella siriana, chi dice che l'influsso siriano porterà il paese ad una nuova stagione di tensione. Come vedi la situazione?

La stagione di tensione in Libano non si è mai arrestata. Dalla fine della guerra civile nel 1990/1991, è proseguita in maniera più o meno sanguinosa, ci sono degli scontri a livello locale, ma dopo tre anni e mezzo di violenze in Siria il sistema libanese ha retto all'ondata di profughi e di tensione. Continuano ad esserci degli episodi  locali, ma non c'è stata nessuna deflagrazione su scala nazionale del sistema libanese. Questo perchè sostanzialmente tutti i principali attori politici, confessionali, militari libanesi non hanno interesse proprio a innescare scintille che possano rivelarsi decisive nel far esplodere la situazione.

Potremo perciò dire che si agisce in un contesto in cui quel che avviene, avviene in Siria, ed è ovviamente collegato a quel che succede in Libano, ma viceversa si tende a mantenere qui una situazione di "stabilità" per quello che si intende in questo paese.

La "stabilità" è sempre molto instabile, precaria ma proprio grazie a questa precarietà, alla capacità dei vari attori, ai vertici ma anche alla base, di essere flessibili, di saper gestire momento per momento, di frenare e accelerare, di alzare la voce ed abbassarla, di dialogare e di mandare un messaggio politico più duro inviando qualche miliziano a scontrasi con altri, come momenti di un gioco molto abile, grazie a questa flessibilità il paese tiene.

Sostanzialmente vi è una stabilità che va continuamente rinegoziata tra i vari attori, ma l'interesse di tutti è quello di mantenere la situazione più possibile ferma. Avviene come quando tante persone vivono nella stessa casa: stanno strette, hanno problemi a condividere il bagno o la cucina, si lamentano, litigano tra loro ma alla fine vivono tutti dentro quelle mura e preferiscono rimanerci, senza che nessuno se ne vada definitivamente, senza rompere i piatti.

C'è un numero imponente che va considerato: quello dei siriani arrivati in Libano. Stiamo parlando di un milione di persone su una popolazione libanese di circa 4 milioni di abitanti. Un numero enorme che attraversa i confini. Come sta cambiando in questo contesto la società libanese?

Ancora è presto per cercare di capire i mutamenti profondi nella società libanese. Per quanto tre anni siano tanti, nel corso di processi storici è ancora presto per dare una risposta in questo senso.

Sicuramente pesa un afflusso di siriani, non soltanto profughi.disperati, ma di tutti gli strati sociali che passano o si fermano in Libano. Grazie anche alla capacità e alla solidarietà, ad una rete familiare, clanica che offre ospitalità e cerca di assorbire nei vari contesti locali la pressione dei nuovi arrivati, questa massa di siriani sembra diluirsi. Ci sono delle zone dove effettivamente la pressione sembra essere esplosiva, altre dove sembra essersi integrata in maniera quasi armonica con il contesto locale. A seconda dei periodi ci sono momenti in cui in una regione la situazione sembra deflagrare ed altri in cui tutto sembra tornare quasi alla normalità. In alcuni casi dobbiamo ricordare che questo milione di persone non è solo gente che viene dalla Siria e passa e/o rimane in Libano, a volte ritornano al loro paese. Il flusso varia a seconda della situazione in Siria sia militare che umanitaria: Sono diverse migliaia i siriani che periodicamente provano a tornare, alcuni rientrano poi in Libano, altri rimangono. Quindi sono numeri come in una figura a soffietto che si allarga  e si restringe a secondo della situazione. Stiamo parlando di un confine estremamente poroso.

Noi veniamo da un contesto in cui attorno all'Europa i confini sono ben definiti e non attraversabili facilmente invece tu descrivi il confine tra Libano e Siria come poroso e "mobile": alcuni lo usano per transitare ed andare da altre parti, alcuni lo attraversano e poi ritornano. Perchè è cosi poroso?

Storicamente Siria e Libano, come noi li conosciamo come stati nazionali formalmente indipendenti, nascono da un disegno franco-britannico. I francesi in particolare hanno disegnato il confine tra Libano e Siria in maniera abbastanza arbitraria ritagliando quelle che erano le regioni ottomane del Levante. Parliamo di un secolo fa, del 1914, 1916, 1920, non tanto indietro nel tempo della storia. Hanno disegnato questo confine in territori che non erano divisi in quella zona. Regioni che continuano ad essere trasversali a questo confine, delle genti che normalmente, da secoli, avevano il pozzo d'acqua dove oggi è il Libano e il gregge in Siria, la moglie in Libano e la madre in Siria. 

Perchè, dopo generazioni, dovrebbero considerare un confine che poi peraltro sul terreno in molte aree non è mai stato demarcato?

Se vi capiterà troverete zone dove qui è la Siria, qui è il Libano ma non c'è nessun segnale che lì è Libano e lì è Siria, è un unicum, un continuum. A volte ci sono delle barriere geografiche, una catena montuosa, un fiume ma in altri casi il fiume è un ruscello che viene attraversato dai bambini correndo sui ciottoli. E' così difficile riconoscere la differenza tra questi due paesi in quelle zone frontaliere, che si spiega semplicemente la continuità tra questi.

All'interno della questione di chi arriva dalla Siria c'è la scelta del governo libanese di non cristallizzarne la presenza in campi profughi, che normalmente è la forma  in cui si dà la prima accoglienza a chi sfugge da un  territorio di conflitto.

Tutti i leader politici libanesi, ma anche un po' l'opinione pubblica, ha in mente il ricordo dell'esodo dei palestinesi nel '48, nel '67, e poi nelle varie riprese successive. La vulgata, poi necessariamente non è così, ma la percezione popolare è che comunque gli stranieri, che siano palestinesi o che siano siriani, o comunque profughi, costituiscano un problema sociale, economico, politico e confessionale; quindi che possano alterare l'equilibrio locale, ma anche nazionale di questo paese, gestito da un confessionalismo politico molto marcato. Ecco perchè pensare di installare un milione o comunque centinaia di migliaia di siriani in una specifica regione, in un campo, che poi diventerà una tendopoli e dopo una baraccopoli e poi magari una città annessa ad un'altra grande città, rappresenta nell'immaginario dei politici e della base un incubo. Ecco perchè hanno preferito fino ad adesso vivacchiare grazie alla solidarietà delle comunità locali che hanno assorbito in modo più o meno egregio questa pressione. 

Nella visita che abbiamo fatto al campo di Sabra e Shatila oggi ci dicevano che oltre alla storica presenza dei profughi palestinesi nel campo vivono altre persone migranti. Esiste una migrazione extra mediterranea?

Esiste moltissimo: Ricordiamo il Corno d'Africa, le Filippine. il sud est asiatico, il Sudan. Parliamo di migranti provenienti da moltissime aree non arabe, non necessariamente musulmane ma comunque provenienti da varie regioni considerate più povere del Libano. La maggior parte di questi migranti sono badanti, svolgono i lavori più umili che i libanesi non vogliono più fare. Anche qui come da noi in Europa ci sono delle categorie per cui il sudanese è spesso il portiere o il lavascala, la filippina è la domestica. La filippina cristiana è la domestica presso i cristiani, mentre delle domestiche di paesi musulmani come il Pakistan vanno a servire nelle case dei musulmani. Anche qui il confessionalismo dei migranti è molto interessante. Un po' come avviene nei paesi del Golfo, dove la migrazione indiana, del sud est asiatico, delle Filippine, dal Corno d'Africa è molto marcata. Dagli anni novanta c'è stata una crescita esponenziale di questo tipo di migrazione. 

La tua attenzione sulla Siria è di lunga data. Sappiamo che è difficile brevemente raccontare quel che sta succedendo, ma puoi rappresentare in poche frasi l'attuale situazione, di cui non si parla abbastanza?

Dobbiamo sempre distinguere il livello meramente politico-militare da quello sociale ed economico. Nei nostri media si mette sempre risalto sulla questione politico militare in particolare sulle armi chimiche. Ma rimanendo in ambito politico-militare in Siria si combatte una guerra con armi convenzionalissime. Ieri semplicemente un nuovo raid aereo su Aleppo (e gli arei li ha soltanto il regime e quindi è difficile parlare di narrative contrastanti) ha ucciso circa 28 persone tra cui donne e bambini con un arma convenzionalissima come quella del bombardamento aereo. 

Il regime di Asad e i suoi alleati nella regione e in generale nell'ambito internazionale hanno riconquistato importanti porzioni di territori che vanno dalla regione costiera di Latakia  e Tartus fin verso Damasco, il centro del regime, passando per Homs, che è la principale vittoria del regime. 

Abbiamo poi una regione nordorientale dominata dal cancro qaidista. Si tratta di miliziani che dicono di ispirarsi ad Al Qaida ma hanno disobbedito più volte agli ordini  dei vertici dell'organizzazione stessa ed operano esplicitamente come una forza di contro-insurrezione. Di fatto sul terreno si registra una convergenza di interessi espliciti tra queste forze qaidiste identificate nello Stato islamico dell’Iraq e del Levante, Isis, l'acronimo inglese. Arrestano attivisti del movimento non violento, attivisti siriani antiregime. combattono contro ribelli antiregime, arrestano giornalisti, catturano giornalisti, arrestano e uccidono operatori umanitari, di fatto fanno il lavoro sporco che Asad non è riuscito a fare in quelle regioni o preferisce  non fare anche perchè nella percezione occidentale è molto meglio che il cattivo sia un qaidista con la barba piuttosto che un presidente in giacca e cravatta che ha studiato un anno e mezzo a Londra. 

I ribelli - questa grande definizione in cui si può mettere qualsiasi cosa dentro, miliziani, guerriglieri, terroristi ognuno può divertirsi con la terminologia che vuole - sono un fronte variegato, frammentato. Come non può che essere vista la storia degli ultimi quaranta, cinquant'anni in Siria. Il fronte armato riflette la frammentazione, la pluralità, la varietà di posizione che ci sono anche nell'ambito delle opposizioni politiche storiche sia quelle in esilio (non sono stati certo a Parigi o a Istanbul per loro piacere esiliati da tanti anni ) che quelle in patria, tollerate fino a un certo punto, visto che ci sono arresti ogni mese. 

Dall'altra parte c'è una frammentazione ed una mancanza di coordinamento, di coerenza, di sostegno anche esterno perchè il sostegno occidentale all'insurrezione non si è dimostrato decisivo e anche l'appoggio dei paesi arabi del Golfo, della Turchia è stato scoordinato ed influenzato da agende che hanno avuto a che fare poco con la causa dei siriani liberi ma molto con una radicalizzazione confessionale ed una militarizzazione  che ha consentito ad Asad di legittimare la repressione in maniera violenta. Di fatto c'è una situazione di stallo in ambito politico militare, in generale sul terreno a medio termine vediamo un avanzamento delle forze lealiste.

L'altro aspetto che spesso non appare nei nostri media è che esiste una Siria civile che lotta a vari livelli contro diversi attori che sono sul terreno, per ricostruire il paese, per renderlo migliore di quello che era prima del 2011, per proporre dei valori diversi, la cittadinanza, la pluralità di voci, il principio di una società che può essere trasversale al di là dell'appartenenza confessionale, comunitaria. Certo sembrano delle gocce in un oceano, delle voci nel deserto ma una generazione di siriani, che ha per lo più un età compresa tra i venti e i quarant'anni, la generazione nata e cresciuta sotto il regime, ha dimostrato fin dal 2011 ed ancora oggi lo dimostra, ovviamente quando a parlare sono le armi è più difficile far sentire la loro voce. Questa società civile emergente, e sottolineo emergente, perchè non può essere altro che tale dopo cinquant'anni di lobotomizzazione politica, resiste, prova con varie forme a ricostruire il paese. Questo è un messaggio che è un dato di fatto che c'è sul terreno ma viene poco raccontato perchè come avviene nei media è sempre più importante parlare di un episodio violento, di un attentato che di una storia di ricostruzione e di speranza. E queste ci sono.

Sulla guerra in Siria pesano come dicevi prima attori internazionali. In questi momento di forti tensionii, basta pensare all'Ucraina e alla Crimea, questi nuovi scenari pesano sulle vicenda siriana. C'è qualcosa che accade in Siria che avviene per dire qualcos'altro?

Sì questo avviene e non è certo una novità. La Siria è da sempre al centro di equilibri mediorientali, regionali ed internazionali . La guerra per la Siria si combatteva prima in maniera non guerreggiata. Dal 2011 in maniera esplicita o meglio dal 2012 - perchè prima nel 2011 c'era un unico attore militare esplicito sul terreno che reprimeva le manifestazioni popolari  - c'è stata una esplicita militarizzazione anche della rivolta, quindi gli attori si sono moltiplicati con il passare del tempo. 

Oggi la guerra è guerreggiata ma la lotta per il potere in Siria è anche una lotta per il potere non soltanto a Damasco, ma per il potere, per la gestione delle risorse e del territorio anche più vasto della questione siriana. Ricordiamo che l'invasione angloamericana dell'Iraq sia stato un momento di questa lotta per il Medioriente, come la guerra civile libanese, parliamo di vent'anni fa, è un altro momento di questa questione, di questo interventismo, di questa interferenza straniera. Non è assolutamente una novità che oggi in Siria, ieri in Libano, l'altro ieri in Iraq ed ancor oggi in Iraq, ci siano dei territori che servono a mandare messaggi, fare guerre, esercitare pressione che devono avere ripercussioni in maniera molto, molto lontana. Durante la guerra civile libanese si diceva "si fa l'amore a Beirut e si partorisce in Cina" per far capire quanto un evento politico libanese, un paese piccolino quanto l'Abruzzo, avesse eco in questioni molto, molto lontane. Anche oggi la guerra siriana è il riflesso e, allo stesso tempo, causa di eventi su scenari ben lontani dalla Siria.

"Sulle rotte dell'Euromediterraneo" in Tunisia, Turchia e Libano organizzate da:
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