Canada - “Non vogliamo soldi, vogliamo giustizia”. Contro i mega impianti della Petronas, i First Nations si appellano alle Nazioni Unite

18 / 5 / 2016

Terzo articolo della rubrica, a cura di Paola Rosà, sullo sfruttamento delle risorse energetiche in Canada e sul prevedibile raddoppio della produzione petrolifera e le conseguenti devastazioni che colpiranno il Nord-Ovest del Paese.

Una delegazione di First Nations a New York parla al Forum Permanente delle Nazioni Unite sulle questioni legate ai popoli indigeni: «Noi non venderemo a nessun prezzo il nostro futuro legato al salmone». A due giorni dall'intervento del governo Trudeau, che a sorpresa ha siglato la Dichiarazione ONU sui diritti dei popoli indigeni del 2007 (prima strenuamente osteggiata, oltre che dal Canada, da USA, Australia e Nuova Zelanda), i Capi della Costa Ovest denunciano il mancato rispetto delle promesse di Trudeau e chiedono aiuto all'ONU. 

Si sposta su uno scenario internazionale ed occupa il Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite il conflitto tra le tribù del Nord Ovest e il governo Trudeau, e l'anomala tempistica – frutto evidente di un calcolo più di immagine che politico - non fa che confermare il gap che permane fra parole e fatti, diplomazia internazionale e politica interna. Mentre infatti la delegazione dei First Nations della Costa Ovest, giovedì 12 maggio, lanciava al Forum Permanente ONU sulle questioni indigene il suo appello a difesa del territorio e dell'ambiente, ancora risuonavano nel palazzo gli applausi che due giorni prima avevano salutato la storica accettazione del governo Trudeau della Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni, quella stessa dichiarazione che nel 2007, approvata da 143 Paesi, era stata bocciata dal Canada insieme a USA, Australia e Nuova Zelanda. 

Nell'arco di due giorni le aule dell'ONU che hanno ospitato le delegazioni canadesi hanno riecheggiato di due versioni antitetiche della realtà, e solo le prossime settimane potranno decretare chi aveva ragione. Ma la vicinanza temporale delle due visite a New York – martedì il governo che dichiara ufficialmente di voler rispettare i diritti di autogestione dei nativi, e giovedì i nativi che denunciano la violazione delle competenze territoriali sullo sfruttamento delle risorse – non può non essere il risultato di una strategia, che sia mediatica, di distrazione affabulatoria, o di intenzionale denigrazione dell'avversario. Difficile pensare che per il governo Trudeau giocare d'anticipo, e di prossimità, sulla denuncia delle tribù sia stata una semplice casualità, e che invece non dovesse servire, come poi è stato, a disinnescare la prevedibile indignazione internazionale che avrebbe accolto l'intervento dei nativi, e a “coprire” mediaticamente l'altra notizia. Coprire nel senso di nascondere, di offuscare. Per ottenere invece una più ampia copertura mediatica : si parla di “giornata storica”, di “standing ovation da parte dei delegati ONU”, di plauso unanime. Mentre due giorni dopo la stessa enfasi non accompagna, sui media mainstream, la denuncia di quei tre aborigeni avvolti nei loro paramenti tradizionali. Denuncia che invece, anche se non riesce a sovrastare il battage governativo, non può non preoccupare le alte sfere di Ottawa. 

A quel governo che ora si è impegnato a garantire "il controllo dei popoli indigeni sullo sviluppo che riguarda loro stessi e le loro terre", il capo dei Gitwilgyoots Murray Smith lancia un messaggio chiaro: illustrando al Forum Permanente il progetto della Petronas (gasdotti dall'est sino alla costa, mega impianto per il raffreddamento del gas, pontili e strutture di carico per le navi cisterna), ha detto: «La nostra gente non è stata consultata a dovere. Quando ne abbiamo sentito parlare l'anno scorso abbiamo sottoposto al voto l'offerta miliardaria di compensazioni, e il nostro popolo ha respinto l'offerta, perché non ci sono soldi che possano compensarci della perdita del nostro salmone. Ma la compagnia e il governo provinciale hanno ignorato la nostra decisione». 

Al Forum dell'ONU i First Nations della Costa Ovest chiedono solidarietà e sostegno nella lotta per la difesa della terra: "Non vogliamo soldi, vogliamo giustizia".

Nella documentazione a sostegno della loro denuncia, i nativi ricordano le contestazioni già fatte alla valutazione di impatto ambientale che ha approvato i mega impianti della Petronas: non c'è stata alcuna consultazione con gli aborigeni che vivono lungo lo Skeena River e alcuni gruppi sono stati esplicitamente esclusi dalle consultazioni, tanto che un membro dei Gitxsan sta per appellarsi alla Corte Suprema della British Columbia contro i permessi già concessi al gasdotto che da Hudson's Hope porterebbe per 900 chilometri il gas da raffreddare negli impianti a Lelu Island. Il gasdotto attraverserebbe 34 chilometri di territorio dei Madii Lii e questo causerebbe un significativo e inaccettabile rischio ambientale. Altri ricorsi sono preparazione. 

Oltre a sottolineare come le emissioni di gas serra aumenterebbero del 20%, il documento riprende i contenuti della lettera che più di 130 scienziati hanno inviato lo scorso marzo alla ministra dell'Ambiente: la valutazione di impatto ambientale sarebbe carente sotto il profilo scientifico, non valuterebbe l'impatto del progetto sui pesci, in particolare sul salmone, e lascerebbe molte domande senza risposta, aderendo acriticamente alle conclusioni dei tecnici ingaggiati dall'azienda. 

«Respingendo al mittente la promessa di un miliardo di dollari in cosiddetti benefit – ha dichiarato il Chief – abbiamo voluto dire al mondo che il popolo Lax Kw'alaams non si può comprare. Non venderemo mai il nostro futuro basato sul salmone, a nessun prezzo». «Vi chiediamo di dire al nostro Primo Ministro di tener fede ai suoi impegni presi nei nostri confronti; ditegli che può cominciare già adesso, sostenendoci nel nostro sacro dovere di proteggere la nostra terra».

QUI il video della protesta delle tribù del Nord Ovest (quelli che stanno occupando l'isolotto di Lelu Island per impedire i megaimpianti del gas liquefatto), che si è presentata al Forum Permanente dell'ONU sulle questioni dei popoli indigeni e ha lanciato un appello, contro il governo e contro i megaprogetti.

Il ricorso all'ONU è solo la più recente delle iniziative di un movimento che si sta compattando e sta acquisendo consensi. L'accampamento su Lelu Island, dove dall'agosto 2015 gli attivisti si sono installati per ostacolare i rilievi dei tecnici della Stantec a supporto della Petronas, si sta ampliando, oltre alle tende e ai camper c'è ora una casupola costruita dai volontari e si sta progettando una struttura tradizionale in legno di cedro. Gli attivisti cercano gente per darsi il cambio, organizzano eventi per raccogliere fondi, fanno rete con le tribù dell'interno e con i nativi statunitensi della costa che nella zona di Seattle sono riusciti a vincere un ricorso contro il terminal carbonifero di Cherry Point. Forse il vento sta cambiando, si chiedono, senza abbassare la guardia. «Stiamo uniti, questa è la nostra terra, e noi la difendiamo a nome di tutti».

Il testo dell'intervento (in italiano)