Catalogna – Il martello del 155 batte sulla Catalogna indipendente

28 / 10 / 2017

E fu così che lo spettro dell’articolo 155 smise di aleggiare nel dibattito pubblico e calò sulla realtà. Seguendo ogni passo del copione che già aveva programmato, il governo Rajoy ottiene nel pomeriggio l’approvazione necessaria, grazie al voto congiunto in Senato dell’alleanza “costituzionalista” creata con il PSOE e Ciudadanos, e con le sole opposizioni di Podemos e del Partido Nacionalista Vasco, per la revoca temporanea dell’autonomia regionale della Catalogna. Con il provvedimento, il governo di Madrid ha destituito il Presidente della Generalitat Carles Puigdemont, il Vicepresidente Oriol Junqueras, tutte le alte cariche delle Consellerías catalane, dei funzionari delle ambasciate all’estero, del direttore generale della polizia catalana Pere Soler e di tutti gli uffici collegati alle istituzioni di cui sopra. Se le misure erano largamente prevedibili, la sorpresa è arrivata con l’annuncio della data per le prossime elezioni regionali, che sono state decise per il 21 dicembre di questo anno. In un periodo brevissimo che punta a mostrare il lato buono di Rajoy e ad adottare in maniera meno invasiva l’esautorazione di un governo regionale, così la carta giocata dagli spagnolisti è la convocazione di una nuova chiamata alle urne per battere sul piano istituzionale la coalizione indipendentista. Forse ci saranno altre carte da giocare, vista la connivenza tra potere politico e giudiziario in questa vicenda, ma per adesso sembra essere tanto miope quanto appare come strategia politica. Di sicuro, poco annacqua la pesante dose di autoritarismo e di Ragion di Stato che negli ultimi due mesi è aumentata senza alcun limite per volere dell’insieme dei poteri nazionalisti: questa rimane pur sempre la prima volta che il 155 viene applicato nella storia della Spagna della Costituzione del ’48. L’articolo 155, del resto, è una di quelle disposizioni giuridiche che richiama senza troppi giri di parole la possibilità di dichiarare uno stato d’eccezione andando in deroga a tutte le procedure formalmente accordate dalla Costituzione, appoggiandosi sulla fuoriuscita dal quadro di legalità di una situazione, come può essere una dichiarazione di secessione. Un potere che, una volta accordato al governo, non lascia a nessun’altra istituzione o iniziativa cittadina il diritto di contrapporsi alle decisioni, chiedere appello o modificare quanto attuato, centralizzando senza alcuna mediazione le decisioni sugli enti locali regionali. 

Rajoy si giustifica aggrappandosi ai fatti di cronaca recenti, che fino all’inizio delle settimana passata sono consistiti in uno scambio di comunicati e di lettere tra il governo di Madrid e la Generalitat senza alcun incontro formale accordato. Alla mancata ritrattazione del discorso del 10 ottobre sulla sospensione temporanea dell’indipendenza di Puigdemont - famoso per aver sortito le reazioni più contrarie nel giro di un minuto -, Rajoy ha lavorato per ottenere il consenso di Rivera e di Sanchez (i segretari di Cs e del PSOE) al fine di approvare il 155; l’obiettivo era quello di accordare con una alleanza ad hoc vasta tale operazione per compattare tutto il fronte “costituzionalista”. Nel frattempo, però, il 16 ottobre una nuova sentenza della magistratura mette in stato di arresto Jordi Cuixart e Jordi Sánchez, rispettivamente i due Presidenti delle associazioni cataliniste ANC e Omnium, organizzazioni che hanno costituito una delle spine dorsali della mobilitazione civile attorno al referendum. L’accusa sarebbe riguarderebbe i fatti del 20 di settembre, quando decine di migliaia di persone hanno occupato le strade della Laietana e della Rambla de Catalunya a seguito dell’arresto dei 14 alti funzionari della Generalitat per l’organizzazione del referendum del 1 di ottobre. Ciò che viene loro contestato è sedizione perché in quell’occasione diversi agenti della Guardia Civil sono rimasti asserragliati dentro la Consellería dell’Economia per ore e, alla fine, ci sono state colluttazioni tra i manifestanti e i Mossos d’Equasdra. Sempre il 16 ottobre anche il capo dei Mossos Trapero viene sottoposto a misure cautelari per negligenza rispetto ai suoi doveri di responsabile dell’ordine pubblico. Questi ultimi avvenimenti, accaduti a ridosso dell’ultimatum lanciato dal governo centrale per permettere a Puigdemont di ritrattare, hanno acuito la grave rottura tra Barcellona e Madrid. L’unica via di uscita eventuale è stata dunque proposta dai socialisti del PSC (sezione catalana del PSOE), i quali si sono detti disponibili a non sostenere l’approvazione del 155 nel caso in cui Puigdemont avesse indetto nuove elezioni. La strategia è stata messa al vaglio del Govern nonostante i dissapori e le divergenze dentro la stessa coalizione di Junts pel Sí (che guida la regione) e della CUP, perché rappresentava una sorta di anticipazione degli effetti del 155 prendendo Rajoy in contropiede ed evitando il sequestro dell’autonomia. Del resto, la convinzione era ed è che l’azione repressiva e autoritaria di Madrid abbia polarizzato ancor di più le posizioni indipendentiste o in generale dei democratici che chiedono di avere il diritto alla decisione (l’opzione del cosiddetto referéndum pactado), ragione per cui delle nuove elezioni con tutta probabilità favorirebbero un’altra coalizione indipendentista. Ciononostante, l’intransigenza del Partido Popular, ormai più simile ad un’azione punitiva a oltranza che ad una pretesa restaurazione dell’ordine costituzionale, ha scartato l’ipotesi di rinuncia al 155. Saltato il banco della mediazione, giovedì Puigdemont, dopo diversi rimandi della conferenza stampa, ha accordato con la sua coalizione e la CUP un documento da far passare nel Parlament catalano per avviare il processo costituente la nuova repubblica. Poche ore prima della discussione di oggi nel Senato madrileno, il Parlament (con assenti il PP, Cs e PSC) ratifica il documento e viene ufficialmente dichiarata l’indipendenza con una larga maggioranza palese (a eccezione di Podem che ha votato segretamente) tra le acclamazioni e l’entusiasmo dei manifestanti accorsi fuori dalla seduta. 

Cosa succede adesso? È difficile prevederlo e, almeno dal punto di vista istituzionale, non pochi occhi attenti vedono nella dichiarazione di indipendenza un atto simbolico che punta a catalizzare ulteriormente il sentimento indipendentista in contrapposizione al governo centrale e in vista dei prossimi passi futuri. Lo scenario di uno scontro serrato tra apparati burocratici e istituzioni catalane e spagnole, fintanto che rimane circoscritto su questo piano, non sembra destinato ad andare avanti molto, considerando la forza militare (ricordiamo che le migliaia di agenti straordinari della polizia nazionale sono tuttora di stanza a Barcellona) e amministrativa di Madrid. Se è vero che su iniziativa della CUP è stato lanciato un appello alla disobbedienza istituzionale da parte dei funzionari affinché non si compia concretamente il 155, d’altra parte ci sono tutti i presupposti perché nei prossimi giorni abbiano luogo nuovi arresti e condanne, a partire dalla Presidentessa del Parlament Carme Forcadell che ha ufficializzato la dichiarazione di indipendenza.  

Ora più che prima, non è possibile lasciare il tema dell’indipendenza ad un significante vuoto, al netto della sua caratterizzazione repubblicana e privo di contenuti specifici. La definizione del progetto, l’orizzonte di una nuova comunità di diritto formalizzata da una nuova costituzione non è più rimandabile per almeno due motivi: in primo luogo, permette a chi non si è schierato perché escluso dal discorso (come la popolazione migrante intra- e extra-europea) di avvicinarsi e far vivere la causa indipendentista vedendo in questa un allargamento dei propri diritti e libertà; in secondo luogo, perché se un certo tipo di contenuti di sinistra radicale si diffondono capillarmente nella società e vivono nei movimenti a difesa dell’indipendenza, i rapporti di forza che possono spingere per una loro affermazione tra la cittadinanza e nelle basi fondamentali del nou país hanno maggiori possibilità di essere determinati. Naturalmente, per fare questo si avrà bisogno di una fase di movimentazione che si doti delle sue organizzazioni senza subire necessariamente i tempi e l’agenda anche delle istituzioni catalane, capendo dove sapere rompere con le classi dirigenti e neoliberali catalane propulsori dell’indipendenza. I comitati di difesa dei referendum e dei quartieri presenti in tutta la Catalogna, dove convivono i movimenti libertari, le associazioni, i vicini e la CUP, possono essere un utile strumento che si sta già radicando in varia misura sul territorio. Sabato scorso queste organizzazioni hanno stilato una carta d’intenti comune dove si dicono disposti a difendere il risultato del referendum, la democrazia e il diritto all’autodeterminazione dei catalani. Negli scorsi giorni, sia per l’incarcerazione dei due Jordi, sia per l’allerta riguardo ad un possibile colpo di mano di Puigdemont nel chiamare le elezioni, i comitati hanno animato le piazze e partecipato attivamente ai momenti di mobilitazione. Un’altra forza, oltre quella dello Stato, che si ritroveranno a contrastare sarà la piaga falangista e fascista, riemersa nella penisola perché ha visto uno spazio da occupare nel dibattito pubblico sull’unità nazionale. Al di là della loro presenza scarsa in Catalogna, in diversi momenti hanno fatto una vera e propria calata a Barcellona con la scusa della manifestazioni anti-indipendenza, come quella del 7 di ottobre, e in altre città spagnole hanno iniziato a promuovere iniziative di intimidazione a politici e movimenti vicini alla causa catalana. 

Un nuovo atto della politica spagnola si è aperto. Vada come vada nell’immediato futuro, ci sono le condizioni perché i prossimi giorni possano rappresentare un’opportunità per chi vede nell’indipendenza una pratica di emancipazione e di liberazione. La strada è irta e scoscesa, impossibile nascondercelo. Ma, magari, seguendo un altro copione scritto nei tempi e con la mano di chi vuole più diritti, democrazia e libertà di tutti/e, si troveranno i modi migliori per affrontarla.