Catalogna – L’incudine e il martello contro l’indipendentismo

27 / 3 / 2018

Le scene di domenica sera a Barcellona e l’accanimento giudiziario contro gli esponenti politici del pròces indipendentista non possono che provocare una sola reazione: sdegno. Non è il tempo di lasciare ad ambiguità la giusta risposta al governo di Mariano Rajoy, al potere giudiziario incarnato dal giudice Pablo Llarena e alla gestione di piazza dei Mossos d’Esquadra e della Policía Nacional. 

La torsione autoritaria della Spagna, in linea con tutte le prove tecniche di governo nel resto d’Europa e con il pugno di ferro contro i movimenti sociali, prende la forma dell’incudine e del martello: da una parte l’aggressività dei corpi polizieschi e la dimostrazione muscolare della forza militare, dall’altra la facciata dello Stato di diritto che si difende dietro ai suoi principi costituzionali. Nel mezzo, l’indipendentismo catalano. 

Nelle ultime settimane di regime del 155 diversi rappresentanti legati al pròces sono stati colti dall’impatto del martello, senza poter fuggire dalla superficie dell’incudine. Anna Gabriel (CUP) e Marta Rovira (ERC) sono esiliate politiche in Svizzera; Clara Ponsatí, Luís Puig (JxCAT) e Meritxell Serret (ERC) sono rifugiati in Belgio; Carles Puigdemont, l’ex President, è stato detenuto domenica dalla polizia tedesca, ed è tuttora in attesa che decidano sulla sua estradizione. A questi nomi si aggiungono quelli dei politici che venerdì mattina sono stati posti in carcere da una decisione da Llarena: Jordi Turull, Josep Rull, Raül Romeva, Dolors Bassa e Carme Forcadell, ex presidentessa del Parlament; tra i nomi c’è anche quello di Rovira, riuscita a fuggire perché in possesso del suo passaporto. Una sentenza che ha avuto ben poco di neutrale, non solo perché ha reiterato il pregiudizio politico verso gli indipendentisti, ma anche per le sue tempistiche. Llarena ha deciso di tradurre in prigione Turull proprio quando le varie forze politiche indipendentiste, chiamate a formare un Governo a seguito delle elezioni di dicembre, si erano accordate per concedergli l’investitura. Sono mesi, difatti, che il nuovo presidente del Parlament, Roger Torrent, cerca di indire sessioni dei deputati affinché venga eletto un governo regionale prima del termine temporale previsto dallo statuto della Catalogna, dopo il quale è obbligatorio chiamare nuove elezioni. Ma tutte le proposte da parte della coalizione degli indipendentisti, da Puigdemont a Jordi Sànchez, sono state osteggiate da Madrid e dai giudici a causa dei procedimenti penali aperti contro di loro. Turull, per quanto indagato, sarebbe potuto comparire fisicamente alla cerimonia di investitura non essendo né ricercato, né imprigionato. Evidentemente, allo Stato spagnolo questa soluzione non è andata a genio. A riprova di ciò, basti dare un’occhiata alle condanne che parlano di ribellione comminate da Llarena a 13 dei 28 individui incriminati per il processo di indipendenza. Il reato, che si può applicare solo in caso di atti di violenza, è lo stesso che è stato usato contro i responsabili del colpo di Stato dell’81 e i militanti delle organizzazioni della lotta armata. Llarena attribuisce alle 13 persone la paternità dei disordini avvenuti qualche giorno prima del referendum di ottobre, potendo così associare episodi di “violenza” agli imputati. 

È così che domenica, al termine di un fine settimana iniziato venerdì sera con delle cariche e degli accerchiamenti dei Mossos d’Esquadra contro i manifestanti scesi in piazza dopo l’ennesima stretta penale, sono stati convocati due appuntamenti di mobilitazione. Il primo, convocato dalle associazioni catalaniste di ANC e di Omnium, ha radunato diverse decine di migliaia di persone che hanno attraversato tutta la Rambla fino ad arrivare in zona Barceloneta, ai piedi del Consolato tedesco, per richiedere la liberazione di Puigdemont. I Comités de Defensa de la Repùblica (CDR), invece, hanno incrociato il corteo per poi dirigersi fino alla Delegazione del Governo di Barcellona, accanto al Passeig de Gràcia. La strategia dei CDR, nati sull’impulso della mobilitazione attiva dal basso e radicata nei quartieri/paesi di tutta la Catalogna, voleva accerchiare il palazzo di rappresentanza di Madrid per provare ad occuparlo in segno di protesta. Nel momento in cui i manifestanti hanno provato ad avvicinarsi o a forzare i cordoni a mani alzate, i reparti antidisturbios dei Mossos – che, per moltissime e moltissime catalani, hanno cessato di essere «la meva policía» come veniva intonato nei cortei di ottobre - hanno caricato ed evacuato i presidi a colpi di manganelli, spari in aria di proiettili di gomma e caroselli delle camionette lanciate a tutta velocità sulle persone per strada. La notte è poi proseguita con un inseguimento e caccia all’indipendentista fin dentro i bar e i locali della zona dell’Eixemple, con il chiaro intento di aumentare il numero dei fermi tra coloro che, nel frattempo, avevano bloccato l’arteria della Diagonal. Durante l’intera giornata si sono registrate cariche anche a Lleida e altre azioni di blocco del traffico in tutta la regione. Lunedì mattina i dati ufficiali della giornata di domenica hanno parlato di 9 fermi e 69 feriti per le cariche della polizia, nonché un numero imprecisato di persone identificate. 

Torrent ha chiamato un fronte unitario per disfarsi del 155 e togliere dallo stato d’eccezione la Catalogna. Questo appello a tutti i partiti che non si schierano con Rajoy – JxCAT, ERC, CUP e Catalunya en Comù -, ai sindacati e alle associazioni del territorio vuole cercare una via d’uscita dalla spirale repressiva. Come ormai è evidente ai più, la Catalogna è diventato uno scenario da prove generali di soffocamento del dissenso. Se le forze istituzionali e non anticapitaliste ne hanno consapevolezza, non è ancora chiara quale sarà la loro strategia. In ogni caso, i CDR e la partecipazione sociale alle sue convocazioni stanno acquisendo sempre più autonomia decisionale e di iniziativa rispetto alle scadenze delle organizzazioni della società civile catalana e delle istituzioni. Un segno, questo, di determinazione e di rottura all’interno dello stesso movimento indipendentista. Forse da questa tensione che procede dal basso sarà possibile trovare delle risposte radicali in opposizione alle misure da transizione democratica incompiuta dello Stato spagnolo – una necessità che dovrebbero fare propria i movimenti del Paese, così come quelli dell’intera Europa caduta nel vortice del ciclo reazionario.