Cina - Scenari asiatici in tensione

La relazione contradditoria con la Corea, il conflitto con il Giappone

20 / 2 / 2013

Con Angela Pascucci affrontiamo oggi il tema della politica estera della Cina in particolare in Asia.

Partiamo dalle ultime notizie e cioè dal test nucleare nord coreano avvenuto il 12 febbraio scorso, che ha agitato gli animi nella regione dell’Est asiatico, che vive già tensioni molto forti.

E' il primo test del nuovo leader Kim Jong Un, succeduto al padre Kim Jong Il , morto all'improvviso nel dicembre del 2011.

Il giovane “rampollo” con questo test sembra deciso a continuare la politica paterna e del nonno Kim Il Sung. Le notizie diffuse dai nord coreani sono che la bomba sotterranea che è esplosa è più potente, più leggera di quelle sperimentate nei test precedenti (un primo test c'era stato nel 2006 ed un altro nel 2009). Quest’ultimo esperimento, se sono vere le affermazioni nordcoreane, dimostra che Pyongyang è pronta a montare una bomba nucleare su una testata di missile. A dicembre aveva già fatto inquietare il mondo il test di un missile a lungo raggio per mettere in orbita un satellite. Da lì erano già partite le prime discussioni all’Onu su nuove sanzioni che avevano visto la Cina condividere un atteggiamento duro nei confronti dela Corea del nord. Pare che i cinesi per tutto il mese di gennaio abbiano cercato di contrattare con i nord coreani affinché non procedessero al nuovo test nucleare e, di nuovo, non sono stati ascoltati.

Ci sono a questo punto due questioni da affrontare. La prima è la questione nucleare che riguarda un po' tutto il mondo.

Con tutta evidenza i nord coreani fanno capire che ritengono la bomba nucleare una assicurazione per la sopravvivenza del regime. Guardando a quello che è accaduto in Libia a Gheddafi e prima a Saddam Hussein in Iraq, la loro determinazione poggia sulla convinzione che il possesso di una bomba nucleare è un’assicurazione per la continuità del regime attuale, vista la tendenza che si è affermata nell’ultimo decennio a procedere ai cambi di regime, qualora questi non siano considerati in linea con l'etica o le idee della comunità internazionale.

Per uno stato debole come la Corea del nord, inoltre, la bomba è una forma di ricatto, ovvero un elemento di forza contrattuale.

E' chiaro che l'intera questione nucleare dovrebbe essere posta in un altro modo a livello internazionale. L'unico modo per disattivare una minaccia così terribile sarebbe il disarmo unilaterale per tutti e non la scelta di valutare la questione solo in base alla logica del “chi mi sta bene e chi no” per avere una bomba atomica o sviluppare energia nucleare. Questa considerazione sembra ben distante da ciò oggi avviene. Oggi l'attenzione si appunta soprattutto sul pericolo nordcoreano.

Anche i cinesi, evidentemente non impegnati in una contrattazione globale che cambi le regole sullo sviluppo del nucleare o sul suo congelamento globale, preferiscono vedere le cose nell’ottico della situazione geopolitica nell'area.

Già in passato Pechino aveva mostrato disappunto per le iniziative nucleari nord coreane senza troppo successo. E questo è il secondo punto e riguarda proprio il contesto della zona.

La Corea del Nord nell'area conta su un solo alleato, la Cina. La Cina a sua volta, che non è certo ben vista nell'area, non ha altro alleato che la Corea del Nord. Ma certi comportamenti, come quello dei test nucleari, dimostrano che la Cina non controlla totalmente la Corea del Nord, che a sua volta vuole far vedere a tutti che non è al guinzaglio della Cina.

In realtà la Corea del Nord dipende molto dalla Cina, nonostante quest'ultima abbia detto sempre di sì alle sanzioni, anche se nella versione soft. Il 70% dei generi alimentari arriva dalla Cina come anche l'80% degli approvvigionamenti energetici. Ma vi sono fonti secondo le quali la Corea del Nord sarebbe ricca di minerali rari, il cui ammontare sarebbe pari a 6.000 miliardi di dollari, e questo sarebbe uno dei motivi che tengono legata la Cina a Pyongyang. ( Why China Won't Give Up On 'Little Brother' North Korea, Adam Taylor, 17/2/2013, http://www.businessinsider.com/why-china-supports-north-korea)

In ogni caso, la Cina non può permettersi di perdere la Corea del Nord, e questo è un vero tallone d'Achille, per la capacità cinese di influire sul regime nordcoreano. Una prospettiva di riunificazione con la Corea del Sud non è vista con piacere dai cinesi che si vedrebbero ulteriormente accerchiati da Corea del sud, Giappone, e per interposte alleanze anche dagli Usa. Né potrebbe la Cina essere attratta da un’ ipotesi di crollo del regime nord-coreano, perché si vedrebbe invasa dai profughi in una situazione di caos incontrollabile. Né certo è attratta da uno prospettiva di guerra.

Per la Cina la situazione ideale sarebbe mantenere lo status quo lì, ed ovunque nel mondo. Ma muovendosi a 360 gradi in tutto il pianeta, e già solo crescendo come sta facendo, la Cina produce dei cambiamenti di equilibri di potenza e quindi non può pensare che tutto resti come prima. Si trova dunque imprigionata in un dilemma forte. Questo ultimo test, comunque, pare abbia scosso non poco i cinesi, che nei commenti scatenatisi sulla rete non sono andati tanto per il sottile. Uno dei commenti più diffusi tra gli è stato “ stiamo allevando un cane pazzo che finirà per morderci”.

Queste le contraddizioni del rapporto con la Corea nello scenario asiatico che si muove però dentro altre contraddizioni come quelle con il Giappone


La questione nordcoreana, che riesplode oggi, va vista nel contesto delle rinnovate tensioni cinesi con il Giappone e gli altri vicini asiatici. Le tensioni riguardano le rivendicazioni per il controllo delle isole Diaoyu/Senkaku, con il Giappone e di alcuni arcipelaghi del Mar della Cina meridionale (le isole Paracelso e Spratlys), con il Vietnam e le Filippine.

Le tensioni con il Giappone sono cresciute da quando quest'ultimo si trova in una situazione di crisi economica, (sono due decenni che il Giappone cresce con difficoltà e da poco più di un anno è stato scalzato dalla Cina come seconda economia mondiale). Inoltre le ultime elezioni hanno portato a leadership di destra e revansciste, come quella attuale del premier Abe, che hanno riattizzato la tensione nell'area. Uno dei punti di programma del governo attuale è cambiare la costituzione “pacifista” giapponese per arrivare a una nuova strategia militare di sicurezza nell'area. L’attuale Costituzione giapponese sostanzialmente ripudia la guerra, nel senso che il paese può usare la forza militare solo come mezzo di autodifesa in caso di aggressione. L’obiettivo dell’attuale governo è varare una modifica costituzionale che permetta al Giappone di avere un ruolo di autodifesa attiva e cioè intervenire non solo quando si è aggrediti ma anche quando si percepisce un pericolo alla sicurezza, non solo diretto verso il Giappone ma anche riferito a partner nell'area. Per cui il Giappone potrebbe intervenire militarmente anche se un alleato percepisce una situazione di pericolo. Questo cambiamento è una tendenza in atto da tempo (in questo senso i sette principi del pacifismo giapponese sono stati superati da un pezzo, si legga Matteo Dian, “Di fronte all’ascesa delle Cina il Giappone abbandona il pacifismo”, 11/5/2012, Limes on line) ed è una tendenza incoraggiata anche dalla strategia americana che dal 2010 ha molto chiaramente spostato il proprio asso di proiezione di potenza verso l'Asia. Dopo i disastri fatti con gli interventi in Medioriente, gli Stati Uniti hanno deciso da un paio di anni di accrescere la propria presenza militare nell'area del Pacifico. Obama stesso ha parlato degli Stati Uniti come una nazione del Pacifico. Questo interesse americano geostrategico nell'area, che anche prima ovviamente era molto presente e pervasivo, si è accentuato in questo ultimo periodo attraverso la strategia denominata del pivot, che consiste in un rafforzamento dei legami militari e diplomatici di Washington con i paesi dell’Asia-Pacifico. Un cambio di rotta targato Obama e che tutti hanno chiaramente letto in funzione di contenimento della Cina, la cui politica estera viene percepita dall’attuale amministrazione americana percepisce come più assertiva e aggressiva da almeno tre anni.

Tutto questo viene chiaramente avvertito dai cinesi, che vedono costruire intorno a loro strategie e alleanze militari molto più forti e coese di prima. Infatti il Giappone è entrato in un sistema americano di difesa missilistica, il West Pac, che lo pone in un’alleanza militare con gli Usa molto più forte che nel passato . La strategia del pivot in qualche modo rassicura Tokyo che qualsiasi cosa succeda nell'area gli americani saranno al loro fianco. Tutto questo rinfocola non poco le dispute territoriali e le tensioni nell'area.

I cinesi da parte loro non stanno certo a guardare, infatti stanno rivedendo la loro strategia militare e creando un sistema di difesa che impedisca agli eventuali missili americani di penetrare non solo nel loro territorio ma anche oltre una linea tracciata sul Pacifico lungo una prima linea di isole. Una barriera missilistica che, unita al progetto di costruzione di una flotta militare di acque profonde, depotenzierebbe le azioni militari americane e giapponesi.

Tutto questo scenario precipita nel rinnovato conflitto sulle isole, intorno alle quali si ipotizza ci siano dei grandi giacimenti di gas e petrolio, anche se non ancora non sono stati quantificati con precisione. (Le ultime cifre riguardanti le risorse nascoste sotto i fondali del Mar della Cina meridionale sono state diffuse il 7 febbraio scorso dall’Energy International Agency secondo la quale si tratterebbe di circa 11 miliardi di barili di petrolio e di 190mila miliardi di piedi cubici di gas, in riserve accertate e probabili. Fonte John Daly “China decides that South China Sea Oil is a National Asset, 18/2/2013, http://www.nakedcapitalism.com/2013/02/china-decides-that-south-china-sea-oil-is-a-national-asset.html).

Di fatto l’inasprimento del conflitto tra Cina, Giappone, Stati Uniti deriva dalla percezione che gli equilibri geostrategici dell’area stanno cambiando.

Queste riflessioni ci portano alla percezione della Cina del mondo asiatico.


Il territorio asiatico per la Cina è il territorio di riferimento. Non possiamo definirlo il “cortile casa” nell'accezione americana, che è piuttosto negativa, ma è l'area in cui la Cina sta proiettando, per ragioni di sicurezza ed economiche, la propria potenza. L'area asiatica su cui insiste la Cina svolge il 54% dei commerci al proprio interno. Se si guardano gli scambi commerciali tra la Cina e la regione asiatica che sono i più consistenti, quelli che vedono per la Cina una bilancia commerciale negativa, con un export asiatico superiore all’import cinese, che è unica al mondo. Il che vuol dire che la presenza cinese aiuta le economie dell'area con la sua forza. Del resto la Cina nel 1997 quando si è verificata la grande crisi economica asiatica, era intervenuta positivamente e mentre l'occidente abbandonava i paesi asiatici al loro destino provocando gravissime crisi economiche, soprattutto per la Thailandia e tutta l'area del sud est, la Cina ha deciso di non svalutare la propria moneta, fatto che che avrebbe aggravato la situazione. In quel momento sembrava che l'Asia potesse conquistare una propria autonomia di area. Ma è durato poco.

Le tensioni attuali infatti mostrano una sorta di schizofrenia della regione per cui per cui da una parte crescono i conflitti, le contese territoriale e dall'altra parte si rafforzano gli scambi commerciali.

Per esempio, tra il Giappone e la Cina c'è un interscambio commerciale di 350 miliardi di dollari che potrebbe essere messo a rischio, ed in parte è stato già messo a rischio, dalle tensioni. Assistiamo dunque a una divaricazione che a qualcuno (Evan A. Feigenbaum e Robert A Manning, “A tale of two Asias, In the battle for Asia's soul, which side will win -- security or economics? “, Foreign Policy 31/10/2012, http://www.foreignpolicy.com/articles/2012/10/30/a_tale_of_two_asias) ha evocato l’immagine di un’Asia Dottor Jekyl, virtuoso dell'economia, e un’Asia Mister Hyde, nascosto, pericoloso, nazionalista e bellico.