Effemeride e il rito di Occupy

Riflessioni sul movimento Occupy di New York

26 / 9 / 2012

É appena passato il primo anniversario di Occupy Wall Street a New York .

Durante le settimane precedenti all'evento, molti media locali si sono chiesti quale sorpresa avrebbero preparato "i ragazzi e le ragazze di Zuccotti Plaza" per commemorare il loro anniversario. La città, però, ha dimostrato una notevole mancanza di interesse per la questione. Non ci sono state ne sorprese nè condizioni particolari.  Come se il riferimento Occupy si fosse disconesso rapidamente dal comune. Quello che nacque come una sorpresa inaspettata capace per settimane di strappare possibilità al potere percorre già il cammino della norma. Occupy ha fatto parte del paesaggio. Come un musical di Broadway che ha avuto il suo momento di gloria. Paradossalmente, nella città che produce 23.600 tonnellate di rifiuti al giorno, niente resta residuo. New York è soprattutto velocità e fugacità.  A Occupy è successo come alla ragazzina che  Tiqqun, propone come modo per analizzare il tipo di socialità predominante ai nostri giorni: soccombe di fronte al predominio di ciò che è insignificante e anedottico. 

Tuttavia, Occupy Wall Street possiede un carattere polisemico: denota differenti realtà. Tra questi, il più positivo è stata la qualitá di connettore: Occupy ha reso possibile l'incontro di molte persone tra loro molto diverse. Alcuni di loro, fuori della logica dell'evento, si sono unite per attivare dei processi. Il loro scopo fondamentale è che questi processi siano condivisibili da chiunque. Sono come gli“Whos”, i piccoli microscopici protagonisti di uno dei fumetti del Dr. Seuss.

Può essere che come nel racconto possano essere ascoltati solo dall'elefante Horton, ma loro continuano a costruire nell'anonimato distribuito della città. Inncarnano un movimento stile "ologramma": sanno che nel piccolo ci sta anche il grande. Alcuni si muovono come uno sciame in alleanze inverosimili nelle parrocchie di  Brooklyn. Altri, aprono spazi di discussione  nel Queens, tra il migrante privi di documenti, la lavoratrice del sesso, lo studente indebitato e l'adolescente madre sola del barrio. La cosa interessante è che se uno si guarda intorno attentamente li vede da tutte le parti. Lontani dal limite inattaccabile del  segno.

Altri degli abitanti originali di Zuccotti Plaza, si sono impegnati nel fare di Occupy un'identità.

"Tutto ciò che è stato vissuto direttamente vissuto una volta si è trasformato in una mera rappresentazione", diceva Debord parlando dello spettacolo.L'ossessione per l'azione mediatica  e l'insistenza sui dispositivi ideologici hanno tracciato un confine: dentro gli attivisti, fuori tutti gli altri. I più devono funzionare come pubblico: la sua missione è solo guardare. Purtroppo,  questa logica ha un carattere egemonico ed è diventata ufficiale in Occupy Wall Street. Per questo Babak, un amico iraniano dei molti che ci siamo fatti nelle piazze durante l'ultimo anno, è triste. Dice che le celebrazioni di Occupy hanno svelato il loro carattere di rito. Durkheim ha definito il rito come "regole di condotta che prescrivono come l'uomo dovrebbe comportarsi con il sacro". Babak ama la vita e ama ridere.  Per questo, quando aveva tre anni, è venuto con la sua famiglia dall'Iran agli Stati Uniti per sfuggire proprio al "sacro". A Babak adesso non piace Occupy. Dice che un'effemeride rimanda sempre a ciò che è stato, non a qualcosa che sta ancora accadendo. Effemeride deriva da"effimero": passeggero, che dura poco.L'anniversario di Occupy Wall Street ha in realtà certificato l'atto del suo fallimento.

La morte di Occupy Wall Street ha a che fare principalmente con la riproduzione di tre degli elementi fondamentali che spiegano gli attuali contesti esistenziali:  iperrealtà, egocentrismo e privatizzazioni. Baudrillard spiega l'iperrealtà como la simulazione di qualcosa che non esiste. Umberto Eco lo definisce come una falsità autentica. In questo gli attivisti di Occupy si mostrano simmetrici alla classe politica: il campo del politico è per loro una sorta di parco a tema. É anche una passerella.

"Amo lo spazio pubblico come sfera per le performances, mi piace la combinazione dei corpi nello spazio." Ha detto  un giovane attivista intervistato dal New York Times quando gli é stato chiesto il motivo del suo impegno in Occupy.È interessante notare che l'intervista è stata pubblicata nella sezione moda del giornale. Il titolo dell'articolo era: "Cosa indossare per la protesta." Alcuni giorni prima dell'anniversario di Occupy Wall Street, New York, ha celebrato la sua Settimana della moda. Barneys, uno dei negozi più lussuosi della città, ha dato lo slogan perfetto per l'evento:  "Love Yourself". Slavoj Zizek aveva già messo in guardia su questo durante la sua visita a  Zuccotti Park  un anno fa: "Non innamoratevi di voi stessi". Gli attivisti non lo hanno ascoltato. Il sogno a occhi aperti suole rendere impossibile l'ascolto di chi non la pensa allo stesso modo. Il narcisismo attivista ha finito per privatizzare Occupy: l'altro non ha spazio e sta al di fuori. Un dato: New York è la cità Babele per l'antonomasia, ma Occupy Wall Street è  dannatamente bianco. "Dis-colonizziamo il movimento", é ció che hanno proposto in un dipinto due adolescenti afro-americani nell'autunno dello scorso anno. Purtroppo hanno perso. Il codice di Occupy è diventato chiuso: si mostra come un software proprietario.

John Stuart Mill ha proposto una chiave per comprendere la logica della relazione tra movimento e la società."Tutti i grandi movimenti sociali devono sperimentare tre fasi differenti: ridicolo, discussione, adozione". Il dubbio merito degli attivisti ufficiali di Occupy  è proprio l'inversione di questa sequenza. Quando è nato,  New York ha adottato quasi immediatamente il movimento. Nel momento in cui gli attivisti hanno tracciato le loro frontiere, la maggior parte delle persone comuni ha cominciato a starne fuori e a metterlo in discussione. Il grottesco del suo linguaggio e le sue estetiche iperideologizzate cominciano oggi a sfiorare il ridicolo. L'anno scorso un' attivista soleva passeggiare per Zuccotti Park passeggiando a seno scoperto. Un giorno una signora anziana arrivata dal Bronx gentilmente la invitò a coprirsi con una camicia. L'attivista le rispose con alterigia: "Che c'è, le mie tette ti danno fastidio?". La signora rispose: "No, è solo che mi fai pena. Non ti rendi conto che nessuno qui ti sta guardando? ". A differenza di quello che è successo alla maggior parte abitanti di New York, a me ha colpito l'effemeride di Occupy Wall Street. Mi ha reso triste come Babak. Non avrei mai immaginato che l'immagine della donna esibizionista di Zuccotti  Park arrivasse a definire la versione ufficiale del movimento.