«Siamo qui, stanchi dopo quattro
notti trascorse all'aperto, ma pronti ad accogliere i fratelli che
domani (oggi, ndr) da tutto il paese verranno a Piazza Tahrir per dare
il colpo finale al dittatore Mubarak». Non ha dubbi Salma al Tarzi, una
delle voci della rivolta popolare egiziana, del successo della «Marcia
del milione» che potrebbe rivelarsi la spallata decisiva al raìs, visto
che è strettamente collegata allo sciopero generale proclamato per
domani dalla sinistra e dai sindacati indipendenti. Oggi si attengono al
Cairo almeno un milione di egiziani, da Alessandria e Suez, dal Delta e
dall'Alto Egitto, dai centri lungo il Nilo e dal Sinai. Una massa
enorme che darà vita alla più imponente manifestazione popolare dalla
crisi di Suez del 1956, quando l'intero Egitto scese in strada in
sostegno del presidente Gamal Abdel Nasser deciso a procedere con la
politica delle nazionalizzazioni nonostante l'aggressione militare
straniera subita dal paese. Di fronte a un successo delle nuove massicce
proteste, per Mubarak sarebbe impossibile restare aggrappato alla
poltrona di presidente.
Ma l'appello a questa nuova eccezionale
mobilitazione è anche un test per il Movimento 6 Aprile, protagonista
della rivolta popolare, e per le forze politiche dell'opposizione. Il
regime proverà in molti modi a contenere la partecipazione alla «Marcia
del milione» e, domani, allo sciopero generale.
Mubarak in ogni caso
appare meno fragile rispetto a qualche giorno fa quando, dopo le stragi
compiute dalla polizia (oltre cento morti), si è ritrovato a pochi metri
dal baratro. «Il suo obiettivo è evitare l'umiliazione delle dimissioni
e dell'esilio e arrivare al termine del suo mandato alla fine del
2011», spiega l'analista Hani Shukrallah. A quel punto, aggiunge, dal
suo punto di vista si realizzerebbe quell'«ordinato passaggio di poteri»
in Egitto, sollecitato, almeno in apparenza, dal segretario di stato
Usa Hillary Clinton.
Alle pressioni, anche americane, sino ad oggi
Mubarak ha replicato realizzando solo un limitato rimpasto di governo,
con la nomina di un nuovo premier (Ahmed Shafik) e un nuovo ministro
dell'interno (Mahmud al Wagdi). Ha scelto, di fatto, anche un erede
politico, il neo vicepresidente Omar Suleiman. E ieri lo ha incaricato
di aprire un dialogo con tutte le parti politiche. Ma non è andato
oltre, forte dell'appoggio delle Forze armate che fino a ieri sera non
si erano espresse sul futuro dell'Egitto alimentando il sospetto di
essere dalla parte di Mubarak. I soldati ieri hanno anche chiuso molte
delle viuzze che portano su Piazza Tahrir, dove oggi dovrebbero
convergere i dimostranti. Invece ieri sera i comandi militari hanno
fatto sapere di ritenere «legittime» le richieste di chi scende in
piazza e che i soldati non apriranno mai il fuoco su chi manifesta le
sue idee politiche. Messaggi rassicuranti per l'opposizione alla vigilia
di importanti raduni popolari.
Allo stesso tempo il regime con la
nomina di ex generali nelle posizioni di premier e di ministro, tenta di
assomigliare sempre di più a una giunta militare. E agisce a diversi
livelli per indurre gli egiziani a mettere da parte l'idea delle
dimissioni immediate di Mubarak. L'aver ritirato, all'improvviso, la
polizia dalle strade del paese per tre lunghi giorni, ha costretto tanti
egiziani a rinunciare alle manifestazioni e ad organizzare la
protezione delle loro case da bande di malviventi che, in non pochi
casi, sono stati identificati proprio come poliziotti in abiti civili.
Ma Mubarak e il suo entourage mettono sotto pressione anche
l'imprenditoria e il mondo della finanza tenendo chiuse le banche, il
mercato azionario e favorendo, con la paura, la fuga dei turisti
stranieri dal paese. L'economia egiziana perde 500 milioni al giorno da
quando è cominciata la rivolta. Altri 500 sono i milioni di dollari
ritirati da investitori internazionali in questi ultimi giorni. Gli
economisti dubitano peraltro che l'Egitto abbia sufficienti riserve di
valuta per affrontare questa crisi.
Ma sono soprattutto i poveri,
milioni e milioni al Cairo e in tutto l'Egitto, a pagare il conto più
alto dell'instabilità economica che il regime sembra favorire in vari
modi per scoraggiare la popolazione a proseguire la protesta. Senza
alcuna ragione apparente i prodotti alimentari di base, a partire dal
pane, cominciano a scarseggiare e nei rioni più poveri della capitale
file di centinaia di persone si sono formate davanti a forni e
supermercati. Anche gli abitanti del quartiere povero di Basaten, ad
esempio, come le migliaia di dimostranti che da giorni occupano Piazza
Tahrir, intendono mandare in esilio Mubarak ma dopo l'euforia dei giorni
scorsi adesso cominciano ad avere per la testa preoccupazioni più
urgenti: tornare subito al lavoro e portare a casa la sera quanto serve
per sfamare la famiglia. Gli egiziani poveri che non hanno risparmi o
altre risorse per affrontare questo periodo di emergenza. «Adesso i
bambini sono a casa, come me, non vanno a scuola perché è fermo tutto»,
spiega Hamed, un carpentiere residente a Basaten. Il padrone della
bottega e suo capo ha fatto sapere che riaprirà solo quando si sentirà
sicuro. «Da cinque giorni perciò sono senza lavoro e non ho soldi per
comprare quanto serve a casa - aggiunge Hamed - e se non riaprirà la
bottega il cibo sarò costretto a rubarlo». Mubarak, aggiunge, «ha dato
tutta la ricchezza dell'Egitto ai suoi amici e noi a stento possiamo
comprare il pane».
D'altronde a questa rivolta l'Egitto è arrivato
più per ragioni economiche che politiche, anche se queste ultime hanno
preso il sopravvento. Il 2010 è stato un anno di importanti lotte
operaie, come non accadeva da anni, nonché della battaglia, vinta solo
in minima parte, per l'aumento del salario minimo. Cominciarono a
scioperare un anno fa i lavoratori della Salemco Textile Company, di
Città 10 Ramadam, che trovarono all'improvviso chiusi i cancelli della
loro fabbrica e quelli della Hebiraw Company for Pharmaceutical Raw
Materials situata nelle free trade zone di Qena. Sit-in segnarono le
proteste delle migliaia di operai della Mansoura Espagna Textile Company
e della Amonsito Textile Company, a conferma della crisi profonda che
sta attraversando il settore tessile, un tempio fiore all'occhiello
dell'industria egiziana. Rivendicazioni parallele alle manifestazioni
per esortare il premier «dimissionato» tre giorni fa Ahmed Nazif a dare
attuazione alla sentenza emessa lo scorso 30 marzo dal Tribunale del
lavoro che sanciva il diritto all'aumento del salario minimo. La
montagna poi ha partorito il topolino. Il Garante egiziano per i salari,
dopo mesi di scioperi dei lavoratori, ha proposto al Parlamento di
alzare il salario minimo (fermo dal 1984) da 35 pound (5 euro) a 400
pound (circa 55 euro). Una beffa per milioni di egiziani poveri
costretti a fare i conti con l'impennata dell'inflazione. Il costo di
alcuni generi di prima necessità è cresciuto nell'ultimo anno del 22% e
la riduzione dei sussidi statali, parallela al programma di
privatizzazioni delle imprese pubbliche, hanno gettato nella
disperazione un'ampia fetta della popolazione. Anche per queste ragioni
la rivolta contro Mubarak e il suo regime deve produrre risultati
concreti e immediati. La popolazione egiziana più povera ha un limitato
margine di resistenza, a differenza del raìs dato per finito forse con
troppo anticipo.
Egitto - Prove di spallata
È il giorno della «Marcia del milione», attesa al Cairo una massa enorme di persone da tutto il paese. L'esercito fa sapere che non sparerà contro chi manifesta. E Mubarak chiede al suo vice di aprire un dialogo. Ma nelle zone povere la popolazione è allo stremo
1 / 2 / 2011
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