Egitto - Prove di spallata

È il giorno della «Marcia del milione», attesa al Cairo una massa enorme di persone da tutto il paese. L'esercito fa sapere che non sparerà contro chi manifesta. E Mubarak chiede al suo vice di aprire un dialogo. Ma nelle zone povere la popolazione è allo stremo

1 / 2 / 2011

«Siamo qui, stanchi dopo quattro notti trascorse all'aperto, ma pronti ad accogliere i fratelli che domani (oggi, ndr) da tutto il paese verranno a Piazza Tahrir per dare il colpo finale al dittatore Mubarak». Non ha dubbi Salma al Tarzi, una delle voci della rivolta popolare egiziana, del successo della «Marcia del milione» che potrebbe rivelarsi la spallata decisiva al raìs, visto che è strettamente collegata allo sciopero generale proclamato per domani dalla sinistra e dai sindacati indipendenti. Oggi si attengono al Cairo almeno un milione di egiziani, da Alessandria e Suez, dal Delta e dall'Alto Egitto, dai centri lungo il Nilo e dal Sinai. Una massa enorme che darà vita alla più imponente manifestazione popolare dalla crisi di Suez del 1956, quando l'intero Egitto scese in strada in sostegno del presidente Gamal Abdel Nasser deciso a procedere con la politica delle nazionalizzazioni nonostante l'aggressione militare straniera subita dal paese. Di fronte a un successo delle nuove massicce proteste, per Mubarak sarebbe impossibile restare aggrappato alla poltrona di presidente.
Ma l'appello a questa nuova eccezionale mobilitazione è anche un test per il Movimento 6 Aprile, protagonista della rivolta popolare, e per le forze politiche dell'opposizione. Il regime proverà in molti modi a contenere la partecipazione alla «Marcia del milione» e, domani, allo sciopero generale.
Mubarak in ogni caso appare meno fragile rispetto a qualche giorno fa quando, dopo le stragi compiute dalla polizia (oltre cento morti), si è ritrovato a pochi metri dal baratro. «Il suo obiettivo è evitare l'umiliazione delle dimissioni e dell'esilio e arrivare al termine del suo mandato alla fine del 2011», spiega l'analista Hani Shukrallah. A quel punto, aggiunge, dal suo punto di vista si realizzerebbe quell'«ordinato passaggio di poteri» in Egitto, sollecitato, almeno in apparenza, dal segretario di stato Usa Hillary Clinton.
Alle pressioni, anche americane, sino ad oggi Mubarak ha replicato realizzando solo un limitato rimpasto di governo, con la nomina di un nuovo premier (Ahmed Shafik) e un nuovo ministro dell'interno (Mahmud al Wagdi). Ha scelto, di fatto, anche un erede politico, il neo vicepresidente Omar Suleiman. E ieri lo ha incaricato di aprire un dialogo con tutte le parti politiche. Ma non è andato oltre, forte dell'appoggio delle Forze armate che fino a ieri sera non si erano espresse sul futuro dell'Egitto alimentando il sospetto di essere dalla parte di Mubarak. I soldati ieri hanno anche chiuso molte delle viuzze che portano su Piazza Tahrir, dove oggi dovrebbero convergere i dimostranti. Invece ieri sera i comandi militari hanno fatto sapere di ritenere «legittime» le richieste di chi scende in piazza e che i soldati non apriranno mai il fuoco su chi manifesta le sue idee politiche. Messaggi rassicuranti per l'opposizione alla vigilia di importanti raduni popolari.
Allo stesso tempo il regime con la nomina di ex generali nelle posizioni di premier e di ministro, tenta di assomigliare sempre di più a una giunta militare. E agisce a diversi livelli per indurre gli egiziani a mettere da parte l'idea delle dimissioni immediate di Mubarak. L'aver ritirato, all'improvviso, la polizia dalle strade del paese per tre lunghi giorni, ha costretto tanti egiziani a rinunciare alle manifestazioni e ad organizzare la protezione delle loro case da bande di malviventi che, in non pochi casi, sono stati identificati proprio come poliziotti in abiti civili. Ma Mubarak e il suo entourage mettono sotto pressione anche l'imprenditoria e il mondo della finanza tenendo chiuse le banche, il mercato azionario e favorendo, con la paura, la fuga dei turisti stranieri dal paese. L'economia egiziana perde 500 milioni al giorno da quando è cominciata la rivolta. Altri 500 sono i milioni di dollari ritirati da investitori internazionali in questi ultimi giorni. Gli economisti dubitano peraltro che l'Egitto abbia sufficienti riserve di valuta per affrontare questa crisi.
Ma sono soprattutto i poveri, milioni e milioni al Cairo e in tutto l'Egitto, a pagare il conto più alto dell'instabilità economica che il regime sembra favorire in vari modi per scoraggiare la popolazione a proseguire la protesta. Senza alcuna ragione apparente i prodotti alimentari di base, a partire dal pane, cominciano a scarseggiare e nei rioni più poveri della capitale file di centinaia di persone si sono formate davanti a forni e supermercati. Anche gli abitanti del quartiere povero di Basaten, ad esempio, come le migliaia di dimostranti che da giorni occupano Piazza Tahrir, intendono mandare in esilio Mubarak ma dopo l'euforia dei giorni scorsi adesso cominciano ad avere per la testa preoccupazioni più urgenti: tornare subito al lavoro e portare a casa la sera quanto serve per sfamare la famiglia. Gli egiziani poveri che non hanno risparmi o altre risorse per affrontare questo periodo di emergenza. «Adesso i bambini sono a casa, come me, non vanno a scuola perché è fermo tutto», spiega Hamed, un carpentiere residente a Basaten. Il padrone della bottega e suo capo ha fatto sapere che riaprirà solo quando si sentirà sicuro. «Da cinque giorni perciò sono senza lavoro e non ho soldi per comprare quanto serve a casa - aggiunge Hamed - e se non riaprirà la bottega il cibo sarò costretto a rubarlo». Mubarak, aggiunge, «ha dato tutta la ricchezza dell'Egitto ai suoi amici e noi a stento possiamo comprare il pane».
D'altronde a questa rivolta l'Egitto è arrivato più per ragioni economiche che politiche, anche se queste ultime hanno preso il sopravvento. Il 2010 è stato un anno di importanti lotte operaie, come non accadeva da anni, nonché della battaglia, vinta solo in minima parte, per l'aumento del salario minimo. Cominciarono a scioperare un anno fa i lavoratori della Salemco Textile Company, di Città 10 Ramadam, che trovarono all'improvviso chiusi i cancelli della loro fabbrica e quelli della Hebiraw Company for Pharmaceutical Raw Materials situata nelle free trade zone di Qena. Sit-in segnarono le proteste delle migliaia di operai della Mansoura Espagna Textile Company e della Amonsito Textile Company, a conferma della crisi profonda che sta attraversando il settore tessile, un tempio fiore all'occhiello dell'industria egiziana. Rivendicazioni parallele alle manifestazioni per esortare il premier «dimissionato» tre giorni fa Ahmed Nazif a dare attuazione alla sentenza emessa lo scorso 30 marzo dal Tribunale del lavoro che sanciva il diritto all'aumento del salario minimo. La montagna poi ha partorito il topolino. Il Garante egiziano per i salari, dopo mesi di scioperi dei lavoratori, ha proposto al Parlamento di alzare il salario minimo (fermo dal 1984) da 35 pound (5 euro) a 400 pound (circa 55 euro). Una beffa per milioni di egiziani poveri costretti a fare i conti con l'impennata dell'inflazione. Il costo di alcuni generi di prima necessità è cresciuto nell'ultimo anno del 22% e la riduzione dei sussidi statali, parallela al programma di privatizzazioni delle imprese pubbliche, hanno gettato nella disperazione un'ampia fetta della popolazione. Anche per queste ragioni la rivolta contro Mubarak e il suo regime deve produrre risultati concreti e immediati. La popolazione egiziana più povera ha un limitato margine di resistenza, a differenza del raìs dato per finito forse con troppo anticipo.

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