Una soluzione per il climate change?

Elezioni in Canada - Political and climate change?

Vincono i liberali con più del 39%. La questione climatica al centro della battaglia elettorale.

21 / 10 / 2015

La vittoria del giovane Justin Trudeau, quarantunenne e figlio d’arte dei liberali, è stato un duro colpo per i conservatori canadesi. La stampa internazionale plaude,infatti, al risultato elettorale perché finalmente produce una novità dopo anni di governi conservatori, di cui l’ultimo guidato da Harper, e perché costituisce un evento inaspettato: soltanto qualche mese fa i sondaggi davano il Liberal Party al terzo posto, addirittura dietro al New Democratic Party di Thomas Mulcair, posizionato a sinistra.

Ma quanto rappresenterà un cambiamento questa nuova elezione? Una domanda che ci apprestiamo a svincolare da qualsiasi patina ideologica, ben consapevoli che la retorica del “nuovo”, del “giovane”, del “rottamatore” ha tuttavia un’eco che riverbera su tutti e due i lati dell’Atlantico.

Trudeau è figlio del vecchio Presidente del Canada Pierre Elliot Trudeau, leader del partito liberale che un tempo aveva la guida indiscussa del Paese e da sempre vicino ai Democratici statunitensi. E’ salito al comando del partito dopo le primarie del 2013 con una preferenza dell’80%, facendosi immagine della classe media canadese, proprio quella parte di società che stava iniziando a subire i colpi dell’accetta dell’austerità soprattutto per quanto riguardava le tasse e l’accesso al sistema universitario. La sua campagna elettorale per le federali di domenica ha creato una linea di continuità tra l’eredità lasciata dal padre e il suo volto nuovo: non è stato secondario presentare un programma che richiama al keynesismo per bocca di un politico che, prima di entrare a far politica, ha esercitato la professione dell’insegnante di teatro e si è dedicato alla boxe.

Un passato, tra l’altro, duramente attaccato da Harper la cui strategia comunicativa si è basata sulla ridicolizzazione dell’inesperienza e dell’aspetto pop dell’avversario. Il punto di forte di Trudeau, invece, è  stato non solo attirare personalità con un grande consenso attorno a loro, come la giornalista Christya Freeland, ma anche condensare il voto di rifiuto per Harper. Con i 140 caratteri di un tweet, ha riassunto bene la situazione Naomi Klein: “ Parliamo di realtà: #exln42 è stata molto più una sobria Harperfobia piuttosto che una frivola Trudeaumania”. La rinascita dei Liberali, che hanno rischiato l‘estinzione nelle elezioni del 2011, va quindi attribuita ad una reazione antitetica al pugno di ferro di Harper negli ultimi anni.

Il Canada sotto il governo conservatore ha infatti escluso dal welfare pubblico le fasce più deboli della popolazione garantendo una rendita ed un profitto per i grandi proprietari delle multinazionali e delle imprese. Sul versante dell’accoglienza, Harper ha operato una politica di respingimento dei rifugiati e di criminalizzazione delle differenze etniche nel Paese, un esempio tra tutti il divieto per le donne di portare il velo durante le cerimonie pubbliche. Il conservatore è scivolato per l’opinione pubblica proprio sul caso di Aylan, il bambino deceduto sulle coste turche, la cui famiglia ha fatto richiesta di asilo in Canada. Senza contare inoltre il massiccio investimento dell’esercito canadese nelle operazioni della coalizione anti-ISIS in Siria, giudicato negativamente dalla vigoroso ala pacifista del Paese. Dal punto di vista economico i numerosi tagli e la caduta del prezzo del petrolio hanno portato alla stagnazione economica, al contrario delle promesse di crescita fatte dal governo canadese. La proposta, giusto due settimane prima delle urne, di approvare il Patto trans-pacifico che interessa gli Stati Uniti, il Canada, il Messico, il Giappone, il Vietnam e l’Australia, ha causato un effetto backfire per Harper: le industrie delle automobili che contano più di centomila operai in Ontario (una delle regioni più popolate) hanno contestato questa decisione perché la riduzione delle tasse di dogana comporterebbe un aumento della competizione esterna, facendo rischiare moltissimi posti di lavoro. Il duro colpo all’immagine pubblica di Harper è stato dato infine dallo scandalo di corruzione che ha coinvolto molti senatori conservatori, tra cui il capo dello staff dell’ormai ex Presidente.

Il programma liberale ha puntato tutto su una nuova fase di apertura per i rifugiati ed uno sviluppo economico fatto di grandi opere e infrastrutture, allentando la stretta dell’austerità sul bilancio. Questo ha permesso di parlare di unità nazionale, di comprendere le categorie canadesi che hanno bisogno di un rifinanziamento degli istituti della previdenza nazionale. Un discorso nuovo fatto appunto da un personaggio nuovo.

Ma siamo davvero di fronte al cambiamento? Per renderseene conto, basta vedere cosa pensa il liberale sulle tematiche ambientali, al centro dello scontro elettorale.

Da una parte Trudeau è passato spesso dall’Alberta, la regione in cui vige il dominio delle grandi industrie del petrolio, da sempre attaccate al voto conservatore per mantenere intatti i loro privilegi di estrazione delle risorse e rendita finanziaria.

Dall’altra Harper ha reso i grandi big dei combustibili fossili (parliamo di Shell, Nexen, BP) una sorta di paria e ha praticamente assicurato l’estrazione dalle sabbie bituminose dell’Alberta di petrolio senza alcun tipo di limite alla faccia della devastazione ambientale. Basta vedere quanti miliardi il Partito conservatore ha speso per le campagne pubblicitarie e le relazioni pubbliche delle compagnie petrolifere. Harper è la rappresentazione della destra negazionista, ciò che Klein nel suo ultimo libro descrive come coloro che associano delle politiche di regolazione economica a tutela del clima come il volto del socialismo. Del resto, il Canada nel 2011 è uscito dal protocollo di Kyoto (perché un “progetto socialista” a detta di Harper…), rendendo il Paese ben lontano dall’adempiere gli obblighi di riduzione di emissioni per il 2020. La comunità scientifica di climatologi è stata censurata e silenziata dalle nuove leggi sulla televisione che hanno ridotto le interazioni tra scienziati e media. Un lasciapassare per costruire quell’enorme oleodotto nominato Keystone XL, che dovrebbe attraversare il Canada per arrivare fino agli Stati Uniti provocando sulla sua via land grabbing, morte della flora e dighe artificiali di acqua tossica.

Cosa vuole fare il neo-eletto Presidente di fronte a tutto questo? Trudeau è favorevole all’oleodotto e non si è opposto alla costruzione di altri nelle diverse regioni del Canada, eccetto che per il Northern Gateway. La sua idea non è cambiare radicalmente le politiche sul clima, ma garantire un’estrazione sicura in modo che le risorse vadano sul mercato. Allo stesso tempo, si fa garante di una proposta di riduzione delle emissioni per la prossima conferenza del Cop21 a Parigi.

Come fare a realizzare tutto questo e a volere una riduzione delle emissioni, senza inimicarsi i mercati e le compagnie dei combustibili fossili? Per quanto sia positiva la proposta di portare il G20 ad abbandonare i sussidi per le risorse fossili (assai improbabile, per altro), non è possibile affermare la volontà di continuare con l’estrazione dalle sabbie bituminose e ridurre le emissioni. E’ ciò da cui proviene la rendita capitalista fatta sull’energia del pianeta.

Per dare ancora una volta ragione a Klein, questa visione di Trudeau si integra perfettamente con il suo progetto di investire 200 milioni di dollari canadesi per gli attori dell’industria rinnovabile: gli stessi che magari sono azionisti anche delle aziende degli stabilimenti che procurano gas naturale e petrolio, oppure che costruiscono dall’altra parte del pianeta delle riserve naturali per avere la legittimità di inquinare il clima a casa loro. O peggio ancora, quelle aziende che semplicemente puntano sul gas naturale come perenne transizione, dicendo di utilizzare tecniche più costose ma mene tossiche, per quanto pericolose per l’ambiente. Big Green e Big Business vanno a braccetto, e si saziano con i soldi pubblici degli investimenti.

This changes everything.

Per avere un vero cambiamento è necessario ripensare a tutto, non possiamo continuare a trovare mezze soluzioni, come Trudeau e in generale l’atteggiamento dei leader che si riuniranno a dicembre a Parigi. E non saranno di certo i liberali – benché “nuovi” e “giovani” – a trovare soluzioni per salvare il pianeta dal vertiginoso surriscaldamento.