Elezioni in Marocco - Alta astensione e vittoria degli islamisti

13 / 10 / 2016

Venerdì 7 ottobre hanno avuto luogo le elezioni parlamentari in Marocco e i risultati ufficiali sono ormai stati annunciati. Il Partito della Giustizia e dello Sviluppo (PJD secondo l’acronimo francese) – islamista moderato e guidato dal Primo Ministro uscente Abdelilah Benkirane – ne è uscito con una confortevole maggioranza relativa del 31,6%. 

Si colloca secondo il centrista Partito Autenticità e Modernità (PAM) con il 25,8% dei voti. È notevole il crollo rovinoso del principale partito di centrosinistra, la storica Unione Socialista delle Forze Popolari (USFP), che si colloca quinto con un misero 5%. Esiti deludenti – 0,5% – anche per la più radicale Federazione della Sinistra Democratica (FGD).

La novità assoluta di questo scenario consiste nel bipolarismo piuttosto netto dei risultati. La scena politica marocchina era stata infatti storicamente caratterizzata da una straordinaria balcanizzazione elettorale, basti pensare che alle parlamentari del 2007 al PJD era bastato il 10,9% per aggiudicarsi la maggioranza relativa.

Si è cominciato a notare un cambiamento con le elezioni del 2011, tenutesi in anticipo sotto la spinta del Movimento 20 Febbraio, che consegnarono al PJD ben il 27% dei voti. Le fortune del PJD si inscrivevano nel più generale successo degli islamisti nelle elezioni post-Primavera Araba. Ma non sorprende troppo che in Marocco tale successo sia duraturo.

Tutti gli altri partiti, e quelli provenienti dal movimento di liberazione nazionale in modo particolarmente marcato, hanno perso qualsiasi tipo di credibilità rispetto ai propri fondamenti teorici e si sono ormai ridotti a poco più che macchine clientelari il cui successo è alla mercé delle esigenze politiche del regime.

Secondo gli osservatori, le recenti tornate elettorali marocchine sono state corrette. Questo significa che – nonostante la diffusione della compravendita di voti – i risultati ufficiali rispecchiano grossomodo la scelta degli elettori. Non si può tuttavia parlare di elezioni libere, dato che in Marocco vengono regolarmente violati una serie di diritti civili e politici (libertà di stampa, di manifestazione, di riunione, ecc.) normalmente considerati come necessari alla democrazia parlamentare. E, soprattutto, il parlamento eletto deve tuttora lasciare al palazzo le nomine dei ministeri strategici e le decisioni chiave della vita politica del paese.

Il palazzo stesso ha grande potere di favorire un partito piuttosto che un altro tramite aiuti economici, mediatici, ecc. Se nei decenni passati la strategia del regime era stata quella di incoraggiare la frammentazione partitica ed elettorale per evitare l’emergere di rivali che potessero minacciarne il controllo dei vertici dello stato, questa architettura si è incrinata con le mobilitazioni del 2011. In altre parole, il regime ha dovuto concedere al PJD la possibilità di presentarsi alle elezioni dispiegando tutto il suo potenziale organizzativo e permettergli poi per la prima volta nella storia di guidare l’esecutivo. Questo in cambio della condanna del Movimento 20 Febbraio da parte del PJD. Il bipolarismo emerge allora come ripiego per arginare l’ascesa del PJD.

Il PAM è stato emanato dal palazzo nel 2008 proprio come contrappeso agli islamisti, e diversi sono stati gli interventi del regime in suo favore nel corso della campagna elettorale. I casi più eclatanti sono stati la difesa pubblica da parte del re stesso del fondatore del PAM e suo amico d’infanzia Fouad Ali El Himma (1) e la comparsa di una misteriosa marcia “spontanea” a Casablanca contro l’islamizzazione della società, secondo molti organizzata in realtà dal Ministero dell’Interno (2).

Il bipolarismo che va delineandosi è tutto concentrato sul cleavage modernista-religioso, senza che venga messa in discussione la linea economica fedele a FMI e Banca Mondiale o l’assetto istituzionale dello stato. È per questo che la sinistra radicale marocchina – in particolare Annahj Addimocrati e gli eredi del Movimento 20 Febbraio – ha sottolineato che si tratta di una falsa possibilità di scelta e che non essendoci nemmeno i requisiti minimi delle democrazie parlamentari l’astensionismo è l’unica alternativa. Da qui le iniziative per il boicottaggio delle elezioni e la diffusione dell’hashtag #mamsawtinch, non votiamo. A dimostrazione della carenza di diritti civili di base, il 29 settembre è stata attaccata una manifestazione pacifica per l’astensionismo e la stessa sorte è toccata a un corteo contro la riforma delle pensioni il 2 ottobre (3).

Resta il fatto che il tasso di affluenza dichiarato dai media non ha superato il 43% degli iscritti alle liste per il voto. Ma dato che molti cittadini non sono nemmeno iscritti a tali liste, è probabile che il tasso di affluenza reale sia stato ancora più basso (4).

(1) http://www.reuters.com/article/us-morocco-politics-idUSKCN11K2DG

(2) http://www.huffpostmaghreb.com/2016/09/19/marche-anti-pjd-divise-presse-marocaine_n_12081906.html

(3) http://telquel.ma/2016/10/02/rabat-marche-contre-reforme-retraites-reprimee-les-forces-lordre_1516974

(4) https://nawaat.org/portail/2016/10/07/au-maroc-le-boycott-aussi-fait-sa-campagne/