Esperimenti alla cinese. Un ibrido «pericoloso»

1 / 5 / 2012

In che cosa consisteva l’esperimento Chongqing [Cq]?

Modem China del novembre scorso dedicava al tema un numero monografico che ne sottolineava gli aspetti più politici.

L’introduzione di Philip Huang (dell’università di California e della Renmin di Pechino) poneva con chiarezza la questione: il libero mercato e la proprietà privata non sono inconciliabili con un ruolo forte delle imprese statali, anzi è possibile creare nuove sinergie. Questa la scommessa di Chongqing la cui riuscita poteva rappresentare «un cambiamento di direzione» per la Cina. Il connubio pubblico-privato vedeva da una parte un’estrema apertura agli investimenti dall’ altra un ruolo centrale delle imprese pubbliche e un impegno forte sull’equità sociale.

Le due anime del modello si incarnavano anche in due persone diverse. L’aspetto imprenditoriale nel sindaco, Huang Qifan, un passato di successo nello sviluppo di Pudong, l’area speciale di Shanghai e l’aspetto politico-ideologico nella figura baldanzosa di Bo Xilai, arrivato nel 2007 quando alla municipalità era lo stato dato lo status di area di sperimentazione per integrazione dello sviluppo urbano e rurale. Con una marcia in più, e appoggi a Pechino, Huang Qifan aveva costruito i presupposti di un piano ambizioso che voleva fare di Chongqing il più grande centro di produzione elettronica chimica e automobilistica del paese. Con tasse al minimo, terra, elettricità e acqua a prezzi stracciati, manodopera a buon mercato e qualificata sfornata dalle università locali, ha attirato l’americana Hp, le taiwanesi Foxconn e Acer, la tedesca Basf e la Ford-Chang’ an. Poi ha siglato un accordo con Kazakhstan e Russia per il passaggio di una ferrovia di trasporto merci che dal Sichuan, attraverso l’Asia centrale, la Russia e la Germania consente alle merci prodotte a Cq di arrivare all’hub di Rotterdam con due settimane di anticipo rispetto a qualunque altro porto cinese. Sotto questo aspetto il modello non era diverso da quello delle aree costiere con cui era entrato in aperta competizione. A contraddistinguere Cq era invece l’intreccio economico, politico e sociale. Elemento cardine era la rivalutazione della terra, un processo che riguarda su immensa scala tutta la Cina, dove avanza tra la corruzione dei governi locali e gli abusi degli immobiliaristi. Ma a Cq il meccanismo si voleva diverso: i profitti della terra rivalutata grazie ai progetti di sviluppo del governo non sarebbero andati ai privati ma alle imprese statali. Queste, salvate dalla bancarotta, erano state divise in 8 corporation che, dicono i bilanci ufficiali, facevano ora profitti grazie alla rivalutazione della terra. Questi venivano poi reinvestiti in case popolari, autostrade, ponti, metropolitane, ferrovie che facevano aumentare ulteriormente il valore dei terreni. Tanto che, sempre secondo i dati ufficiali, il valore del capitale pubblico era salito dai 20 miliardi del 2002 ai 130 del 2009. Connessi alla rivalutazione delle terre e all’industrializzazione, i grandi progetti di urbanizzazione che prevedono di trasformare entro il 2020 in residenti urbani 10 milioni di contadini (dei 22 che conta una municipalità di 33 milioni di abitanti). L’enorme progetto prevedeva un cambiamento di residenza (hukou) per i migranti interni che, esperimento con rari precedenti in Cina sarebbero diventati in poco tempo cittadini a parte intera, con assistenza sanitaria scuola per i figli, sussidi di disoccupazione, pensione e case a basso costo. Prezzo da pagare: la rinuncia ai diritti d’uso della terra nella propria zona di origine. Inoltre, per mantenere l’equilibrio fra terre arabili e terreni da sviluppare per l’urbanizzazione si era anche elaborato un complicato meccanismo: chi nella propria area riconvertiva alla coltivazione un pezzo di terra (ad es. abbattendo un fabbricato agricolo) otteneva un certificato messo poi all’asta tra i costruttori che così ottenevano un terreno urbano equivalente su cui edificare.

Il combinato disposto aveva messo il turbo all’economia della municipalità cresciuta nel 2010 del 17,1% e nel 2011 del 16,4%. È a questo scenario che, mentre va a una guerra feroce contro la criminalità l’ambizioso Bo Xilai dà un marchio rosso dichiarando di voler promuovere la giustizia sociale con una redistribuzione più equa della ricchezza prodotta.

Ma è l’apparato ideologico ad attirare l’attenzione. Spettacoli di canzoni rivoluzionarie, invio di slogan attraverso sms, l’obbligo per funzionari e quadri di partito di andare fra i contadini richiamano alla mente le campagne di massa maoiste.

È così, affermava Bo Xilai, che si ricostruisce la civiltà spirituale di un paese preda di crasso mercantilismo e vuoto ideologico.

Angela Pascucci

Tratto da http://foglianuova.wordpress.com/

Pubblicato in Alias Il manifesto 28 aprile 2012