Ferguson: messaggio dalla società civile

29 / 11 / 2014

C’è un certo ottimismo liberale riguardo alla razza negli Stati Uniti, e il verdetto del gran giurì di ieri sera, ha smascherato il compiacimento che ne è alla base. Per decenni abbiamo osservato come l’eredità dei movimenti anti-razzisti sia stata incanalata verso l’avanzamento economico e politico di individui come Barack Obama e del cantante e attore Bill Cosby. E li abbiamo visti condurre l’attacco contro i movimenti sociali e le comunità emarginate: oggi sono coloro che esortano alla moderazione.

Nessuna sfida seria è sorta ora per questa cooptazione dell’eredità anti-razzista. Nell’ambito del mondo universitario e all’interno dei movimenti sociali, gli intellettuali e gli attivisti ci hanno reso completamente impotenti. Abbiamo ridotto la politica al controllo del nostro linguaggio, alla soddisfazione discutibile di provocare la colpa nei bianchi. E abbiamo permesso che il nostro presente diventasse l’età di Oscar Grant, Troy Davis, Trayvon Martin, e Mike Brown.

C’è una ribellione che sta avendo luogo a Ferguson, che si è estesa a Chicago, Philadelphia, New York e Oakland, e questa ribellione dimostra che è ora che ci svegliamo. Tanto tempo fa  i movimenti contro il razzismo sono arrivati a capire che non bastava dare spazio a chi aveva la pelle nera o marrone nel sogno americano della mobilità sociale; era necessario fare una richiesta di potere – il Black Power, e tutti i movimenti militanti di Chicanos (americani di origine messicana) e le comunità asiatico americane che sono comparse a fianco di questo. L’azione che ha avuto luogo nelle strade ieri sera, ci dovrebbe ricordare   il significato universale e continuo di questa storica rottura.

La famosa analisi di Malcolm X del “Negro di casa”  (lo schiavo che lavorava nella casa del padrone, n.d.t.) nel “Messaggio alla gente comune”, non è stata semplicemente una risposta retorica a individui che tendevano al compromesso liberale. E’ stata una complessa analisi del ruolo strutturale svolto dalla leadership nera, e della sua repressione dell’azione autonoma di massa. “Vi controllavano,” ha detto Malcolm. “Vi  frenavano ; vi tenevano sulla piantagione.”

L’analisi di Malcolm è stata interrotta nel 1965 dalla sua uccisione da parte dei nazionalisti culturali della Nazione dell’Islam, con i quali aveva rotto dopo essersi collegato a movimenti  anti-coloniali in Africa e in Asia, costantemente evocati nei suoi discorsi. Aveva approfondito la sua analisi strutturale della supremazia dei bianchi e del sistema economico su cui poggiava. 

Come ha dimostrato Ferruccio Gambino, non ci sorprende quando guardiamo alla vita di Malcolm X come lavoratore – prima come facchino, o come uno degli assemblatori finali nello stabilimento di assemblaggio della Ford Wayne, dove ha scoperto la tensione  tra l’antagonismo dei lavoratori verso il datore di lavoro e il controllo imposto dai burocrati del sindacato.

“E’ impossibile che un bianco creda nel capitalismo e non creda nel razzismo,” Malcolm X ha detto in un dibattito del 1964. “Non si può avere  il capitalismo senza razzismo. 

E se trovate una persona così, e vi capita di farla entrare nella conversazione e loro hanno una filosofia che vi rassicura che non hanno questo razzismo nella loro mentalità, di solito sono socialisti oppure la loro filosofia politica è il socialismo.”

Quando il Partito della Pantera Nera ha portato a termine l’analisi di Malcolm, la ha estesa al nazionalismo cultuale che essi chiamano “nazionalismo della braciola di maiale” [pork-chop nationalism] (all’epoca erano considerate uno dei cibi più popolari tra gli Afro-Americani) – un’ideologia che sosteneva che riscoprire una certa cultura africana unitaria avrebbe portato spontaneamente alla liberazione nera. 

La sua massima traiettoria sono state figure come “Papa Doc” Duvalier , dittatore di Haiti –questa ha cancellato le contraddizioni politiche ed economiche all’interno della comunità nera. 

Il “nazionalismo rivoluzionario” delle Pantere è stato necessariamente socialista – come Huey P.Newton si era espresso, “se sei un nazionalista reazionario non sei un socialista e il tuo obiettivo finale è opprimere il popolo.” 

Ha detto che il Partito Pantera Nera doveva tracciare una “linea di demarcazione” tra la “borghesia nera” e “i neri poveri.”

Come ha notato Angela Davis, “Non mi sorprende quell’aspetto del movimento nazionalista nero, il lato culturale, che ha trionfato perché questo è l’aspetto del movimento che era più commercializzabile.” 

La Davis mostra la connessione del movimento con l’ascesa di una classe media nera,” e ci ricorda che la “tradizione di lotta antimperialista, anticapitalista….è una tradizione per la quale si deve lottare e che va rifatta continuamente.”

La politica dell’identità è spesso sembrato un fenomeno progressista innocuo, anche se piuttosto privo di senso dell’umorismo. 

Però, dato che i giovani di colore continuano a essere messi in prigione o a essere uccisi dalla polizia, dato che le comunità nere sono tenute in stato di povertà immorale, dato che i lavoratori immigrati continuano a essere sfruttati in condizioni di lavoro oscene , e dato che il nostro primo presidente nero continua a intraprendere guerre imperialiste, diventa più chiaro che una politica che ci unisce a Obama e a Cosby non è semplicemente inadeguata – è criminale. 

Fa parte dell’eredità reazionaria di nazionalismo culturale, ed è stata alimentata dalla crescente disuguaglianza economica del capitalismo che il movimento del Potere nero ha condannato in modo così energico.

La rivolta in reazione al verdetto di Ferguson è un segno che una dirigenza collaborazionista non può mai cancellare la società civile. 

Quando l’azione autonoma infiamma le piazze, chi di noi si preoccupa della giustizia ha la responsabilità di seguirne l’esempio – è ora che proclamiamo ancora una volta che la lotta contro il razzismo richiede un movimento di massa contro il capitalismo, e quando le persone che sono sfruttate e dominate, prendono l’iniziativa di agire, questa possibilità va presa in considerazione.

Asad Haider è un redattore della rivista Viewpoint e dottorando all’Università della California, sede di Santa Cruz, ed è un attivista nell’UAW 2865 (il sindacato che rappresenta i lettori universitari, i tutor, e altri nei campus dell’Università della California.