France, zone à défendre

25 / 5 / 2018

Da quasi tre mesi i movimenti sociali in Francia producono un turn-over di azioni sia in piazza che nei luoghi di studio o sul posto di lavoro, con scioperi articolati sulla base di un'agenda ormai stagionale.

Nonostante la costante disinformazione e la censura dei media, l'attacco persistente di Macron e del "suo mondo" contro lavoratori, studenti, precari, immigrati, la brutale repressione e la violenza inaudita della polizia, le piazze sono sempre più animate e la partecipazione è molto attiva. Milioni di persone si oppongono alla visione politica del governo-impresa di Macron, per le quali la prospettiva di una marcia forzata della  privatizzazione della propria vita è incompatibile con l'esistenza stessa. Per una grande parte della società francese, la lotta quotidiana è diventata una questione di sopravvivenza, da Calais a Parigi, da Briançon a Bure, nei quartieri popolari come a Notre-Dame-des-Landes.

Le date e gli eventi che segnano le piccole e grandi tappe della mobilitazione a livello nazionale sono così numerose che per evocarle tutte bisognerebbe passare all'archiviazione del presente. Qui ci limitiamo a sottolineare alcuni tra i molteplici aspetti e qualcuno tra i momenti più significativi di queste ultime settimane di maggio.

Un maggio 2018 che si caratterizza sia per la radicalità delle pratiche di lotta con azioni a raggio sempre più largo - dalle assemblee durante gli scioperi, quelle delle occupazioni, gli interventi nei quartieri e quelle contro le espulsioni di ogni natura - che per la densità delle questioni politiche messe in campo, la loro "convergenza" fortemente discussa, l'aspettativa di "coagulare" in piazza, la dinamica dell'autodifesa che si diversifica con l'aumento insensato della prova di forza dello Stato e di fatto il divieto di manifestare. La capacità di reagire nella comunicazione, il rigore nell'uso delle immagini insieme alla creatività del linguaggio restituiscono l'intensità delle lotte, la dimensione delle pratiche politiche e della loro composizione sociale, meglio di qualsiasi resoconto che ambisca a definire i margini di un "fronte sociale".  Chi attraversa queste lotte sa che, prima di tutto, deve opporsi allo stato d'emergenza permanente, a un modello di controllo e di pressione mediatico-politica che si materializza in vere e proprie operazioni militari, una presenza repressiva costante che si rinnova in ogni occasione di dissenso. Modello che attraversa il territorio francese, e che spiega la volontà incontenibile di contrastare lo "Stato di diritto" che esprime ogni "zad".

Arrestare e perseguire penalmente centinaia di manifestanti perché «si radunano con l'intenzione di commettere delle infrazioni minori (multabili) o dei reati contro beni e persone» senza prove, senza alcun motivo se non quello di possedere del siero fisiologico, di coprirsi il viso e il corpo per proteggersi dalla pioggia di lacrimogeni e dall'uso "preventivo" di armi da guerra "di bassa intensità" - come le granate multi-task a frammentazione lanciate a grappolo in mezzo alla folla - è un metodo sempre più pericoloso per dissuadere ogni forma di opposizione. Quest'ultima settimana è iniziata con la mutilazione di un difensore della ZAD a NDDL contro l'espulsione e la militarizzazione della "zone à défendre" in seguito ad un lancio di granata GLI-F 4, oggi in ospedale dopo l'amputazione della mano destra.

«La speranza qui è in piazza»

Contemporaneamente, 180 manifestazioni si svolgevano in tutto il paese, organizzate dai nove sindacati che rappresentano i lavoratori dei servizi pubblici, "specie minacciata", uniti in piazza contro la politica dell'«austerità che imperversa da qualche decina di anni, ma che con Macron si veste ideologicamente per attaccare frontalmente e distruggere i diritti sociali e collettivi» producendo quel "nuovo mondo" fatto di precarietà. Una riforma del governo che intende sopprimere 120 mila posti e congelare i salari, parallela all'attacco allo Statuto dei ferrovieri con la riforma della SNCF, privatizzando il servizio e "modernizzando" la professione per rendere conto non ai cittadini ma agli azionisti. Già oggi 1 funzionario su 4 ha un contratto precario dopo anni di impiego.

In Francia, la grande risorsa del servizio pubblico statale e amministrativo a livello territoriale è anche una risorsa umana, sociale, non finanziarizzabile. In moltissimi comuni, i contratti precari superano quelli a durata indeterminata.

Negli ospedali, il personale denuncia «la complicità per le prossime morti annunciate, nei pronti soccorso avvengono a decine tutti i mesi» , molti dirigenti ospedalieri e medici d’urgenza non riescono più a gestire la situazione per carenza di personale e di materiali, dichiarano di «non poter fare le economie che esige continuamente il ministero della sanità», la cui ministra Agnès Buzyn chiede ai medici generalisti di farsi carico delle urgenze per decongestionare gli ospedali. Ma ci sono 5000 medici generici in meno dal 2012 a causa della mancata regolazione della professione. 

Funzionari, precari della sanità, dei servizi municipali e dell'educazione, insegnanti e personale educativo insieme agli studenti contro la Legge ORE hanno invaso in massa le piazze. Il 22 maggio a Parigi, 30 mila persone hanno manifestato da Place de la République à Place de la Nation. A partire da Place de la Bastille nei pressi della Gare de Lyon, il percorso del corteo è stato ostacolato dagli idranti e dagli interventi di CRS e della BAC che hanno causato molti feriti e arresti.

Nel tardo pomeriggio un centinaio di studenti liceali e universitari ha raggiunto il liceo Arago a place de la Nation per riunirsi in assemblea e occupare lo stabilimento, nel quadro dell’ampia mobilitazione che si oppone all'introduzione della selezione e alla riforma della maturità e dell’università. Gli occupanti, un centinaio, tra cui una quarantina di minori e quattro giornalisti, sono stati sgomberati di forza e posti in stato di fermo, successivamente dispersi su una decina di commissariati, dove hanno subito in media 40 ore di custodia, la garde à vue francese che sempre più spesso si traduce in comparizione immediata, processi per direttissima e fedine penali sotto ricatto attraverso il rappel à la loi, cartellino giallo distribuito a pioggia negli ultimi due mesi. Analogamente alla progressiva militarizzazione delle manifestazioni, quest’intervento espone all’arbitrario delle prefetture, incoronate dallo stato di emergenza, segmenti sociali fino ad ora relativamente al riparo: almeno la metà delle famiglie dei giovanissimi sequestrati, è stata lasciata per ore senza notizie, e la maggior parte di queste ha ricevuto soltanto una notifica durante le 48 ore di fermo, per poi scoprire condizioni di custodia indegne, come le cinque ore trascorse in cinquanta in un autobus della polizia, senza luce né possibilità di accesso ai bagni. Una ritorsione simile a danno degli studenti liceali non aveva agito neanche duranti i blocchi del 2016 e segnala l’ intenzione di stroncare sul nascere l’attivazione dei licei, all’avvicinarsi della maturità (18-21 Giugno) e in piena fase di selezione della piattaforma Parcoursup.
Alle 18 dello stesso giorno infatti era atteso il battesimo di fuoco della piattaforma, nell’anno zero della normativa Parcoursup. La riforma Vidal introduce un aspro processo di selezione dell’accesso all’università: i maturandi sono chiamati a esprimere un limite massimo di 10 preferenze senza poterle gerarchizzare, in attesa del giudizio delle commissioni universitarie che sono chiamate a selezionare disponendo di criteri in buona sostanza autonomi, funzionali alla valutazione dei dossier (cv, lettera di motivazione, voti e note dei professori). Per far fronte ai limiti del vecchio algoritmo (APB), la ministra anziché ricorrere a misure tecniche per coniugare il libero accesso alla penuria di risorse e capacità nelle università, cosa che APB aveva seppur parzialmente garantito, ha deciso di intervenire sul piano politico lasciando che siano le formazioni a scegliere gli studenti, e non viceversa, destinando tra l’altro gli studenti non selezionati al mercato del lavoro. E per farlo, il ministero ha nascosto, dietro la necessità di reintrodurre il “fattore umano” nella selezione, l’arbitrario e l’opacità dei criteri generali, di fronte ai quali ciascun stabilimento farà da sé. Ad oggi, quel fattore umano ha determinato in un quarto delle università l’accesso garantito per tutti, talvolta esplicitando la decisione, altre volte impedendo la tenuta delle commissioni previste.

Dopo il fiasco iniziale – per più di un’ora la piattaforma è rimasta inaccessibile, in sovraccarico per le troppe connessioni simultanee – gli studenti hanno cominciato a visualizzare l’esito delle prime selezioni. Degli 810 mila candidati, soltanto in 436 mila hanno ricevuto una risposta, mentre in 63 mila hanno espresso la propria preferenza definitiva. Secondo la ministra Vidal, i due terzi degli studenti riceveranno la totalità dei giudizi sulle candidature prima della maturità, prospettiva poco attendibile per la gran parte degli osservatori. I giudizi consistono di quattro voci (“Si”, “no”, “si condizionale”, “in attesa”) che anziché semplificare il calvario dei candidati lo prolungano: la stragrande maggioranza è “in attesa” che gli studenti idonei rinuncino, con una tempistica in previsione molto lenta non esistendo a monte una gerarchizzazione delle preferenze necessaria ad automatizzare gli scorrimenti. In questo scenario di ansia programmata, suona quasi come un insulto la sospensione del funzionamento della piattaforma durante i giorni della maturità; l’impatto esistenziale del dispositivo, in queste fasi di attesa, classifiche e numeri, comincia a rendere visibile la sua portata e a far proliferare nei licei iniziative, assemblee e blocchi che fin ad ora avevano tardato a innescarsi, nonostante l’effervescenza generale.

Sul fronte universitario la mobilitazione ha ripreso vigore dopo una serie di numerosi sgomberi che hanno interrotto esperienze di autonomia e occupazione in crescita, senza pero riuscire a riavviare la routine universitaria, in pieno periodo di partiels, gli esami di fine semestre. Basti pensare che a Tolosa, una delle prime facoltà francesi occupate, soltanto oggi, a venti giorni dallo sgombero, la facoltà riapre le sue porte con decine di agenti di sorveglianza tra i corridoi e il perimetro della facoltà. E mentre in diversi dipartimenti gli esami sono convalidati a priori, con voti concordati tra docenti e studenti, nella maggior parte delle facoltà bloccate i dirigenti delocalizzano gli esami. Parte quindi la caccia ai luoghi della valutazione, con cortei e iniziative quotidiane di blocco delle sale affittate; non manca, anche in questo contesto la compagnia delle forze dell’ordine, che pattugliano i locali scelti e il più delle volte reprimono violentemente le contestazioni, come a Nanterre e a Nizza settimana scorsa. In quest’ultima nuove iniziative investono il campus in seguito alla minaccia di morte da parte del presidente ai riguardi di uno studente sindacalista, ripreso in un video diffuso dal collettivo Sauve ta fac 06. In alcuni casi, persino alla Sorbonne che è tendenzialmente al riparo dal sabotaggio degli esami per il numero di stabilimenti di cui dispone su Parigi, gli studenti consegnano di concerto le copie in bianco e si dichiarano in sciopero sulle stesse. Tutti gli esami previsti in settimana nelle sedi di Paris 4 e 6 sono rimandati a data da definirsi in seguito ai numerosi blocchi e, stabilimenti come l’Ehess e Nanterre rilanciano la mobilitazione con nuove occupazioni. Nel frattempo nella facoltà di Paris 8 Saint Denis alla periferia nord di Parigi, dove da quattro mesi è in corso un’occupazione da parte di migranti e sans-papiers in lotta, nessun esame si è svolto tra le mura, e tutte le delocalizzazioni sono state intercettate e impedite dagli studenti che occupano lo stabilimento da ormai due mesi. I luoghi della contestazione citati coprono una minima parte della mobilitazione universitaria in corso, che sembra vivere una nuova ondata, in opposizione agli esami, nel tentativo di recuperare gli spazi violentemente sgomberati. Il rifiuto della legge ORE investe un nodo cruciale del programma di riforma sistemica del governo Philippe-Macron, sul piano soggettivo in quanto attorno ad esso si riunisce la jeunesse liceale e universitaria tanto delle metropoli quanto delle periferie, e oggettivamente per la sua capacità di rendere visibile un progetto che mira al rafforzamento delle frontiere economiche, territoriali e razziali attorno cui si articola la riproduzione sociale in Francia. Di fatto il coefficiente di mobilità che il sistema universitario francese garantiva, negli ultimi quarant’anni di crescita delle disuguaglianze, è neutralizzato dall’ introduzione degli imperativi della domanda e dell’offerta nel mondo della formazione.

Sabato 26 maggio, una "marea popolare" organizzata da una cinquantina di organizzazioni politiche e sindacali con associazioni ( LFI-La France Insoumise, Génération s, PCF-Parti communiste français, Nouveau Parti anticapitaliste-NPA, EELV-les vertes, CGT, solidaires-Sud, FSU, UNEF,  Attac, Fondation Copernic, DAL, ecc.) farà convergere in molte città francesi l'insieme dell'opposizione al riformismo dell'inflessibile governo Macron. Lo scorso 5 maggio durante la "Fête à Macron" che ha portato in piazza cinquantamila persone a Parigi e migliaia di altre nel paese, il responsabile della CGT, Martinez, aveva dichiarato che «preferiva i partiti che sostengono il movimento sociale e che non tentano di esserlo al posto nostro» ricordando, en passant, che il sindacato non manifesta durante il fine settimana.

In effetti, la Festa di compleanno del governo Macron è stata cooptata dal partito di Mélénchon, LFI, sbarcato con striscioni, bandiere tricolori, adesivi e propaganda da campagna elettorale, pilotando la folla da un autobus come da una nave ammiraglia, mezzo ha permesso ai rappresentanti di partito di seguire il corteo come un presidio mobile. Vetrina mal vista dalla maggior parte dei partecipanti che hanno criticato la strumentalizzazione politica di tutti i partiti che parassitano i movimenti sociali. Alla fine, i partiti dell'opposizione hanno allontanato l'insieme dei sindacati. La presenza della CGT alla manifestazione del 26 maggio è quindi una novità definita "storica" per il sindacato che dal 1990 sottolinea l'indipendenza dal PCF e dai partiti. Gli stessi organizzatori riconoscono l'anomalia della configurazione che intende «sostenere le lotte contro il governo Macron" con un appello a manifestare in modo "festivo e familiare" per far fronte all"urgenza sociale». Un classico esorcismo rivolto al cortège de tête sempre più affollato, veriegato, e anche più determinato.

La continuità della mobilitazione viene riaffermata dai movimenti sociali che si compongono e ricompongono dal 2016, dal Comité Adama contro le violenze della polizia ai collettivi di lotta nei quartieri popolari, dal Pink Bloc ai comitati di solidarietà con i migranti, poi la Zad, i collettivi sans-papiers, le associazioni a sostegno a Gaza e della Palestina,  molte realtà del lavoro, tra cui il Comitato del personale ospedaliero, della formazione universitaria e liceale, della produzione culturale e artistica, studenti, lavoratori precari, disoccupati.  

Il rapporto di forza si presenta sia politico con la contabilità di presenze in piazza che preoccupa più la prefettura che i sindacati o i partiti le cui fila sono ridotte di volta in volta, condannate ad una marginalità, che di gestione della piazza, militare per quanto riguarda le forze dell'ordine. Più le pratiche consensuali di conflitto vengono messe in discussione dal governo, più si legittima l'espressione "democratica" riducendola al risultato nelle urne, voto elettorale o referendario d'impresa, più l'autoritarismo del potere si manifesta e più le forme di azione si radicalizzano.

I sindacati e i partiti non fanno più "massa" dal 2010, contro la riforma delle pensioni di Sarkozy, sono dunque costretti a riconoscere che da vent'anni i governi non hanno mai fatto retromarcia, solo qualche timido passo indietro. Tranne nel 2006, quando il governo rinunciò, parzialmente, all'introduzione del CPE, (contratto di primo impiego) in seguito a una formidabile stagione di lotta. 

Oggi che molte barriere sono saltate e che da tempo le barricate hanno preso il posto della liturgica passeggiata di protesta, l'ipotesi di una "convergenza" delle lotte concepita a tavolino non è credibile. Resta la dispersione e la frammentazione, il moltiplicarsi delle lotte, la connessione tra movimenti nelle sue plasmatiche forme, dalle reti sociali consolidate storicamente a quelle più recenti sedimentate contro la riforma del codice del lavoro, Loi Travail. L'azione collettiva c'è ed è permanente, attraversa ogni angolo di Francia, confini inclusi.

I migranti partecipano alle mobilitazioni in quanto lavoratori, abitanti dei quartieri popolari che difendono il servizio pubblico negli ospedali, nei trasporti, nell'educazione, lottano contro la Legge sull'asilo e sull'immigrazione che dovrà essere esaminata il prossimo 6 giugno al Senato. Il 2 giugno ci sarà una mobilitazione per il ritiro della Legge su asilo e immigrazione.

La lotta contro la politica razzista e criminale del governo Macron non deve dimenticare Ismaïl Deh, sans-papiers in Francia da 18 anni, morto il 1 Maggio in seguito ad un intervento della polizia mentre stava vendendo paccottiglia per turisti davanti al Château de Versailles.