Francia - En Marche ! Verso la dittatura della governance

26 / 4 / 2017

Sarà Macron contro Le Pen. Il progetto politico neoliberista porta a casa un risultato elettorale tra i più desiderabili, che apre ad un secondo turno ideale per la ricomposizione del fronte repubblicano e socialista attorno al neonato partito di Macron contro l’estrema destra lepenista. E lo fa a partire da uno sconvolgimento radicale del sistema partitico-politico che dominava in Francia dal 1958, dalla scelta di costruire il processo democratico attorno all’elezione presidenziale. 

Continuità di un’agenda politica che si iscrive quindi nella rottura materiale di un intero paradigma: sprofondano i partiti socialista e repubblicano, le storiche formazioni politiche di governo della V Repubblica che per la prima volta non accedono al duello presidenziale; svettano su tutte l’affermazione in testa di Emmanuel Macron (23,9 %) e la progressione vertiginosa di Mélenchon (19,5%), suffragati da un elevato tasso di partecipazione che si attesta attorno al 79%, contraddicendo le previsioni sondaggistiche che indicavano un potenziale astensionismo di 40 punti percentuali. La fine di un ciclo storico che si accompagna ad una chiara affermazione del Front National che con il 21,4 % dei voti capitalizza un bacino più ampio di potenziali elettori, 7, 6 milioni di voti, un record  che gli permette di accedere al secondo turno. 

Emmanuel Macron, ministro fino all’estate dello scorso anno di Hollande, dopo esser stato consigliere e segretario generale aggiunto all’Eliseo e aver concepito la Loi travail aveva dimissionato per fondare il partito En Marche proprio quando Hollande annunciava il suo ritiro dalle prossime elezioni. Con un progetto nato dal nulla ma ampiamente sostenuto dal sistema si presenta oggi con buone probabilità come il prossimo Presidente della Repubblica rivendicando un’ opzione centrista (in realtà dall’agenda politica di una destra pura a guida Medef, la Confindustria francese e Eurogruppo) e raccogliendo i voti che Francois Fillon ha solidamente conquistato nonostante una campagna demagogica costruita, nella bufera giudiziaria, contro giustizia e media. È un dato da centrare: sono più di 15 milioni (oltre il 40%) gli elettori che si riconoscono nelle differenti velocità di un progetto liberista in dialogo e complicità con la governance europea. Un’agenda che ora può facilmente approfittare dell’opposizione unica del Front National per guadagnare compattezza e guardare ad un orizzonte tattico di governo. 

Una continuità con il programma politico del futuro ex-governo Hollande si afferma e ne rinforza il consenso virando a decisamente a destra. 

Un’opzione politica che approfitta, tra gli altri, di un disastro del Partito Socialista che con Hamon raggiunge un risultato del 6,5%, vicino soltanto al minimo storico del 5% che nel ’69 raggiunse Gaston Defferre. La base del partito che dalle primarie ha progressivamente disertato le fila di Hamon, dopo che una buona parte aveva già costituito un bacino di voto per Macron, è ora parte di uno scacchiere complesso in vista delle legislative. Una delle debolezze della formazione politica di Macron si situa difatti nella costruzione di una maggioranza parlamentare. È in questo spazio che si inserirà il tentativo interno al partito, a guida Le Guen, vicino a Valls, di riscalare la vetta e formare una coalizione parlamentare che intervenga a sanare la prospettiva di un centrodestra senza maggioranza parlamentare e di un Presidente in cerca di stabilità. 

A sinistra Mélenchon (che non ha comunque superato il quarto posto, come nel 2012) si pone come perno di una possibile ricostruzione della sinistra che guardi ad un’integrazione di NPA (Nouvel parti anticapitaliste), Lutte ouvrière ed ecologisti, e forse dell’elettorato di Hamon, che in realtà sembra aver giocato da barrage a destra, vista l’ampia migrazione di voti verso il Front de Gauche. Una sfida su cui il candidato della France Insoumise non si è espresso ma che si materializzerà nei prossimi mesi in vista delle legislative di giugno, laddove quattro anni fa fallì platealmente nonostante il posizionamento alle presidenziali. Il tribuno, reduce da un risultato inaspettato, dovrà fare i conti con la contraddizione approfondita dal suo programma (soprattutto su Europa, immigrazione e politica internazionale) che, se da un lato lo avvicina ad un ampio elettorato citoyen francese, dall’altro gli impedisce di rappresentare quella forza dei movimenti sociali che esattamente un anno fa è insorta nelle strade, bruciando masse di profitti e rivendicando autonomia.

La polarizzazione Macron-Le Pen vede l’ipotesi di un governo di estrema destra ancora scongiurata dalla compattezza di classe espressa dal centro-destra e dalla governance europea. La candidatura vincente di Macron testimonia inoltre della forza di un apparato di potere capace di guadagnare consenso e scranni in maniera inedita rispetto alla storia delle democrazie rappresentative: le lunghe carriere di militanza politica, il sostegno di una forte struttura partitica e il chiaro posizionamento nella cartografia destra/sinistra si infrangono contro una candidatura decisa in qualche quartier generale a un anno dalle elezioni e architettata attraverso una massiva mobilitazione di media e capitali e la costruzione di un partito-start up ex nihilo. Si tratta della nuova forma del Politico, alla quale è proibito fermarsi, se si vuole scoprire sotto il velo delle piattaforme 2.0 la continuità col progetto di politica economica neoliberista che sembra, in Francia, riuscire ad affrancarsi dall’obsoleto sistema partitico trovando (nuove) forme di ri-organizzazione. Leggere questa continuità significa rinunciare alla retorica che vedrebbe la governance europea genericamente in crisi, per riconoscere la tattica di classe messa in campo nella sua complessità: governare sussumendo  la crisi in maniera sempre più centralizzata e antidemocratica, dunque più efficace. Si tratta di un esercizio teorico obbligato, in uno scenario dove le elezioni più che portatrici di venti di liberazione, sembrano affermare con la forza dei numeri la stabile avanzata del nemico. 

La campagna elettorale inconsistente, spettacolo demente tra scandali e personalismi drammatizzati, e un primo turno carico di tensione, ma soprattutto molto rumore per nulla. Gli elettori, nella perplessità generalizzata, hanno voluto scardinare l'asse della decomposta alternanza Repubblicano-socialista in un paese dove di fatto ha vinto la frattura sociale, una spaccatura netta tra provincia e metropoli attraversata a sua volta da un marcato (oltre il 35%) assenteismo alle urne nei quartieri popolari. Mentre il partito-impresa di Macron assorbe i voti del mondo degli auto e micro-imprenditori, nella terra nullius della riconversione industriale delocalizzata ci si affida al partito-patria. Il mito nazionale, vecchio vizio che torna a galla ad ogni elezioni nell'immaginario francese continua a presentare una Francia che non esiste.  Scongiurare la minaccia frontista al ballottaggio rivela l'impotenza dell’intera classe politica di questo paese. Né Macron, né Le Pen potranno ottenere una legittimità dal voto, gli orizzonti dell'uno come dell'altra sono chiusi e incapaci di far fronte alla profonda crisi sociale e a quella ambientale, la scelta tra "patria e padrone" potrebbe prefigurarsi più come terreno di conflitto che di consenso. 

Con la corsa di Macron, oggi candidato dei perdenti, verso il baratro, rendersi "ingovernabili" diventa necessario, alla fine la scritta sul muro del 1° maggio 2016  "non ci sarà un'elezione presidenziale" è stata profetica.

E infatti domenica 23 aprile, suonate le 20, è comparso in un angolo di Parigi (di fronte a un bar riempito di sostenitori di Mélenchon, e nel mezzo di una piazzetta animata da un’assemblea di quartiere nata ai tempi del movimento contro la loi travail, impegnata in quel momento a mettere un po’ di grigliata a disposizione di chi volesse farsi un panino) l’appello “A Bastille, adesso!”.  Lo schermo televisivo rivolto sulla piazza aveva appena comunicato i vincitori del primo turno, Macron e Le Pen. In una decina di minuti, poco meno di metà della piazza si svuota, i più giovani occupano la strada e partono in corteo per Bastille, dove sono radunati già dalle sei di pomeriggio due o trecento manifestanti che hanno cercato di bloccare il traffico nella piazza, poi circondati e caricati dalla polizia. Le forze dell’ordine cominciano a spostarsi per le strade dell’est della città seguendo diversi gruppi che provano a bloccare  alcune strade tra Bastille e République,  a Belleville e all’incrocio del metrò Stalingrad, con transenne, bidoni della spazzatura, travi e oggetti abbandonati dai perenni traslochi cittadini: si alzano le barricate annunciate alla vigilia del primo turno elettorale. I numeri di chi scende in piazza, scriverà qualcuno più tardi sui media indipendenti della città, sono un po’ più bassi che nel 2007, in occasione dell’elezione di Sarkozy. Complice lo stato d’emergenza, complici i flashball spianati ad altezza uomo e i lacrimogeni che iniziano a piovere su Bastille e République prima ancora che faccia buio. I gruppi di manifestanti sono mobili e determinati, resistono fino a tarda notte continuando a perturbare il traffico e a far esplodere fuochi d’artificio sui camion dei CRS. 

A Parigi si conta una cinquantina di fermi. Ma a Parigi fanno eco a Rennes, Toulouse, Rouen e altre città del paese, dove chi ha preso la piazza lo ha fatto nonostante il divieto di manifestazione imposto dalla blindatura della giornata elettorale. Ci sono testimonianze di giornalisti intimiditi violentemente da militari in borghese: colti nell’atto di documentare l’uso di flashball senza divisa o numeri di identificazione, i militari hanno accusato un giornalista indipendente di mettere in pericolo la sicurezza delle rispettive famiglie esponendoli a ritorsioni terroriste, e gli hanno distrutto il materiale di lavoro.  Già da oggi e per i giorni a venire, sono chiamate a Parigi, Nantes e in altre città francesi le prime assemblee di coordinamento per attraversare queste due settimane che preparano al secondo turno elettorale, e gli studenti hanno iniziato i primi blocchi in alcuni istituti superiori.