Francia - I nostri mostri

25 / 3 / 2016

Arrestato in Belgio l'uomo più ricercato d'Europa, l'unico sopravvissuto tra i terroristi che hanno compiuto gli attentati del 13 novembre a Parigi. Abdeslam, francese, è stato catturato nel quartiere dove è cresciuto e dove abitava con i suoi familiari alla periferia di Bruxelles.  Oggi è in cella nel carcere speciale di Bruges con richiesta francese di estradizione mentre si convive con il terrore degli attentati.  Sollievo? Durato 48 ore. Mentre il grottesco esercizio di propaganda poliziesca non lascia tregua, ministri, portavoci di prefetture, servizi speciali, giudici istruttori orchestrano la riaffermazione di una politica europea che si nutre di terrorismo pensato come un'altrove da combattere, esterno e  distinto da un "noi cittadini" vittime del terrore e guidati dalla paura. I popoli europei che per reazione si battono con l'arma della compassione nazionale e con una birra e un concerto nei luoghi colpiti dal dramma e dal lutto mentre una rassicurante smart occupation  invade i nostri spazi, tutti. 

Pensare i fatti di terrorismo di questi ultimi anni senza tenere conto della situazione mediorientale e dell'immigrazione recente diretta in Europa vuol dire occultare gli interlocutori tutt'altro che virtuali di una generazione di giovani musulmani, originari dell'immigrazione del XX secolo nei paesi europei. Riferimenti e sentimenti che sono cambiati parallelamente alla contro-riforma dell'islam a sud dell'Europa, alla disintegrazione dei territori nazionali in Africa del Nord e centrale a profitto di sistemi clanici, e alle guerre civili nei paesi del Medio-Oriente. Le "primavere arabe" ci hanno parlato di questa trasformazione politica in atto come dell'aspirazione democratica delle società nordafricane e mediorientali. Questi cambiamenti e le loro conseguenze politiche sono state assimilate dai giovani di origine magrebina o saheliana nelle cités e nelle banlieues di Francia come nei quartieri popolari delle grandi aree urbanizzate in Europa. Un passato incompiuto che resta presente. 

Allo stesso tempo, pensare ad una ipotetica quanto aleatoria "comunità musulmana" come riferimento per un cambiamento sociale e politico in Francia vuol dire nascondersi la realtà: un movimento di giovani musulmani, oggi in Francia, non esiste. Come non esiste in Belgio o in Olanda o nei paesi del Nord-Europa. Non c'è una soggettività politica "musulmana" in Europa che si riconosca in un fantomatico destino "comune".  

Gli autori degli attentati in Francia sono cresciuti nei quartieri popolari, alcuni hanno conosciuto il carcere, tutti dichiarano il loro "odio" per il sistema di vita "occidentale". Ma sarebbe un errore vedere questi soggetti come dei marginali diventati salafiti che si convertono al Djihad e infine diventano martiri di un califfato. Un dato: in Francia i giovani che hanno accesso agli studi universitari e al diploma e quelli che invece non ne hanno accesso, significativamente "arabes" o "noirs", formano ancora due mondi separati ma un terzo dei militanti islamici francesi non vive nell'esclusione sociale. La deriva non è lineare come appare, le correnti dell'islam radicale non si appropriano di un serbatoio sociale disponibile e sempre presente senza l'azione diretta e il concorso della politica di un governo nazionale. 

La cultura e la pratica religiosa attraversano intimamente la società francese, oggi ne caratterizzano addirittura l'identità al punto da offuscare altri riferimenti condivisi di libertà e di diritto. Adottare un comportamento estremo come il sacrificio umano, proprio e altrui, una fede identitaria che sia religiosa, nazionalista e xenofoba o no, fa parte di un'esperienza che non deriva da una scelta personale ma coinvolge una "rete" di relazioni e  che non può essere isolata dal contesto politico in cui avviene.  Come in passato con l'indifferenza alle proteste della prima generazione di immigrati e poi con la politica repressiva e di occupazione coloniale dei quartieri a fronte delle sommosse nelle banlieues - oggi "securitaria" in ogni angolo del territorio francese - le successive politiche di "integrazione" non ha fatto che provocare irreversibili crisi sociali. La segmentazione e la divisione del corpo sociale sono ormai un fatto costituente, recentemente sancito a livello parlamentare.

Non c'è nessuna ambivalenza o ambiguità nella politica francese ma solo continuità. 

I fatti di terrorismo, che includono gli ormai innumerevoli attacchi a scuole confessionali, sinagoghe e moschee, cimiteri o altri luoghi che hanno un valore simbolico, sono coerenti con questa continuità garantita da Sarkozy come da Hollande nella chiusura ideologica della "mixité"  e della "laïcité", nella perseveranza a negare poi contrastare con le armi del potere, compresi gli strumenti amministrativi e giudiziari, una società asimmetrica e aperta, che cambia.  

Mentre organizzava la grande kermesse citoyenne per la "libertà di espressione", il governo ancora stordito dagli attacchi al giornale satirico "Charlie Hebdo" e al supermercato cacher, nonché dal rifiuto in massa del "je suis charlie"  nei quartieri e nelle scuole di mezza Francia, aveva riconosciuto un "apartheid territoriale, sociale, etnico". 

Dieci mesi dopo, lo stesso governo recupera un consenso perso con le politiche economiche (confermato dall'impennata del Front National alle elezioni regionali) grazie alla dimostrazione di forza militare e parlamentare contro il terrorismo. L'"unità nazionale" con le politiche delle destre. Il "je suis Paris" dimenticando le fratture e le tensioni che covano in casa e nel resto del paese oltre il periferico della capitale.  Si spiega così l'anatema del governo contro ogni parola, dai quartieri alle università, che tenti di capire, di analizzare i dati (carenti) e di leggere a realtà per chiamare in causa i responsabili politici.  Perché interferire in un dibattito politico diventato binario significa automaticamente "giustificare il terrorismo". 

Gli attentati disegnano una mappa sociale e politica della Francia.

Di fronte a ragazzini che si fanno o vanno a farsi saltare in aria, inutile dare spiegazioni quando per auto assolversi e respingere ogni responsabilità basta colpire nel mucchio. E' più facile costruire una terribile narrazione che chiude i soggetti, autori-attori, in una sorta di determinismo quasi biologico presentandoli come esaltati, assetati di vendetta o psicopatici senza storia. 

Mettere una distanza là dove socialmente e culturalmente non c'è, dove non c'è "diversità", parola sventolata dalla gauche, che deve essere "integrata". Non basta "ripulire" i quartieri, organizzare festival e vernissages mentre si chiudono le moschee.

Ma per il primo ministro Valls non servono argomenti, il suo discorso si accontenta di cifre: i pericoli 'numero 1' in Francia sarebbero "2029"! Perché non 2030, oppure 20300? Rassicurati i citoyens. Perché in Francia e in Belgio il capitale di simpatia per l'orrore è aumentato dopo gli attentati? Silenzio.  In Francia non si può più disturbare parlando di "egalité", di politica educativa, di politica della formazione e del lavoro, di politica urbana, di ripensare la laicità. Il segnale forte di debolezza politica non è lo stato d'emergenza ad oltranza ma le dimissioni della ministra della Giustizia, Christiane Taubira a fatto compiuto. 

Il terrorismo è figlio  di una Francia martire di sé stessa.

L'accanimento come l'accecamento più grave riguarda il fatto religioso che si manifesta nello spazio pubblico.  Non si tratta di affrontare una fenomenologia dell'indottrinamento, neanche di analizzare movimenti reazionari come quello contro il matrimonio gay, ma di riconoscere un sistema culturale e non ideologico di riferimento coscienti che il dibattito teologico appartiene al medioevo.

Fatto religioso significa prima di tutto credere nei testi quando esistono e nei simboli considerati nella loro sacralità. Il sacro non è legge ma cultura ovunque ci sia libertà di espressione e di culto. Nell'idea di libertà che abbiamo ereditato, l'autorità della legge non viene esercitata negando l'espressione di culto perché la religione, che esercita un altro tipo di autorità, anche sul corpo, si trasforma - dalla notte dei tempi - in arma di liberazione e la legge in strumento di oppressione.  

La religione come organizzazione strutturata capace da sempre di mobilitare su cause sociali e politiche è stata pericolosamente trascurata nella république che esercità un'autocrazia  sul principio di laicità, rigore che si basa su un concetto astratto e rudimentale di pratica religiosa. 

Che non è osservata e capita, rispettata o ignorata, ma considerata come una patologia sociale, un malessere che occulta la realtà dei conflitti, economici prima di tutto. 

Per la gauche la questione religiosa è un dato d'archivio. Come sorprendersi dell'irruzione più spontanea che improvvisa di un fatto religioso che è stato rimosso ma tutt'altro che assente nella società francese?  E' così il mondo in Francia è stato diviso in cattolici integralisti di destra, e fondamentalisti musulmani su cui emerge il "citoyen" laico che contrasta con sacri valori l'antisemitismo e l'islamofobia immaginando un unico Dio morto e sepolto.

ll fanatismo, che passi all'atto o no, ha a che fare con la realtà sociale ma soprattutto produce e può dare origine a sistemi di rappresentazione, se questi non vengono interpretati all'azione si sostituisce la reazione. E' per questo che il potere censura ogni cambiamento, che i cittadini sono numeri e che i migranti non sono esseri umani ma contabilità spiccia, come ha detto uno dei rifugiati a Calais: "Siamo trattati peggio dei cani, ma non cani europei, cani africani perché i cani europei sono trattati meglio di noi".