Francia - Né vittime né colpevoli

Mercoledì 19 lo STRASS ha indetto un presidio contro la legge di penalizzazione dei clienti della prostituzione. Diritti e welfare degno accessibile a tutt* sono le rivendicazioni delle/dei sex workers.

6 / 12 / 2013

 In Italia non è facile parlare di lavoro del sesso. E' molto difficile concepirlo come una scelta consapevole e autodeterminata, anche per il tipo di discorso che un certo femminismo istituzionale ha sempre fatto sulla questione. Non sono troppo lontane le date lanciate dal Se non ora quando?, infarcite di moralismo e ideologia rispetto alla sessualità e a come questa venga vissuta dalle donne (e non solo).

Nessuno vuole negare la realtà problematica della prostituzione che in alcuni Paesi europei esiste, dove per l'appunto si vedono molte giovani ragazze costrette alla schiavitù, senza alcun diritto, da parte di padroni, che fondano il loro profitto sulla precarietà e la ricattabilità a cui le leggi sulla cittadinanza e le migrazioni condannano da moltissimo tempo.

 E tuttavia, colpisce la velleità con cui si cerca di agire sulla questione, cioè ordinanze per il decoro urbano e multe - strumenti dati ai governanti cittadini dal famoso pacchetto sicurezza Maroni – il cui effetto è spostamento del problema, marginalizzazione, aggravamento delle condizioni di sicurezza (quella vera, non quella per il controllo sociale) di chi è sex worker. Insomma, le “soluzioni” che hanno dato in Italia si riferiscono a tutto quello che può esserci di restrittivo senza implementare una possibile libertà di scelta e tutela per chi esercita la prostituzione.

La situazione francese presenta tutta un'altra sfaccettatura e percezione sociale rispetto al lavoro del sesso. La prima è il suo aspetto legale, nel senso che esiste un vero e proprio disciplinamento giuridico che permette di fare la dichiarazione dei redditi in base alla propria attività, come un lavoro autonomo, e di conseguenza obbliga a pagare tutte le imposte anno per anno. Questo ha permesso di far sì che il lavoro del sesso potesse essere scelto come professione, dove la possibilità della prestazione viene decisa dal/dalla sex worker, secondo un preciso tariffario e in una condizione di tutela per la propria protezione e salute all'interno di uno spazio fisico abitativo. Ma se non esercita per le strade, come fanno a lavorare? Attraverso annunci su siti e giornali, anch'essi pagati come per qualsiasi pubblicità. Ovviamente, persiste sempre il problema umano della tratta e dello sfruttamento nei confronti dei/delle migranti provenienti per la maggior parte dal Sud America, Nigeria e paesi dell'est costretti a stare per le strade di alcuni arrondissement di Parigi. Una situazione sociale che è sempre evidenziata e attaccata dalle/dai sex worker indipendenti, proponendo delle soluzioni che concernono la modificazione  dei diritti sociali e dell'accesso al welfare. 

Ciononostante, il governo francese socialdemocratico ha deciso – con una legge molto simile alle ordinanze italiane – di attaccare le/i lavorat* del sesso, incidendo pesantemente sui loro diritti e sulla possibilità di essere indipendenti. La legge votata mercoledì 19 dal Senato è volta alla  “penalizzazione dei clienti”: qualsiasi persona che vuole avere una prestazione da una prostituta, può ricevere una multa fino a 1500 euro con tanto di maggiorazione se recidiva; tutti gli annunci e i canali internet tramite cui  vengono offerte le prestazioni, solitamente con dominio estero, vengono bloccati in quanto potrebbero comparirvi anche quelli relativi alle vittime della tratta; viene istituito un fondo per la “protezione e l'accompagnamento sociale delle prostitute”; la possibilità di avere un permesso di soggiorno di sei mesi per le clandestine che vogliano uscire dal lavoro sessuale. La legge, sostenuta dal Ministro dei Diritti delle donne Vallaud-Belckacem, ha l'obiettivo esplicito di “lottare contro la prostituzione”, considerata tout court una violazione dei diritti umani delle donne. 

Lo STRASS  (Syndacat du Travail Sexuel) ha fatto un'attenta analisi della legge, evidenziando diversi cortocircuiti. Innanzitutto, la legge riguarda solo le donne (biologicamente intese), trascurando una realtà molto più trasversale di chi esercita la professione stimata essere il 25% della totalità e legandola solamente al sesso femminile. 

Molto rilevante è l'aspetto giuridico: in conformità con l'universale di égalité francese, la prostituzione rimane legale, quindi chi esercita non è colpevolizzato. Ma come ogni universale, gli articoli della legge in questione creano delle inclusioni differenziali. Infatti, chiudendo tutti canali tramite cui vengono promosse le prestazioni, il lavoro del sesso indipendente e autonomo viene reso difficile se non impossibile, costringendo le/i sex worker a riversarsi per le strade nelle zone più marginali della città, visto che i clienti possono incorrere in queste sanzioni. 

In secondo luogo,  se durante il governo Sarkozy si aveva un processo di colpevolizzazione delle sex worker, il sessismo democratico della legge votata mercoledì le definisce come vittime da dover salvare. Il fondo creato per l'uscita dal lavoro del sesso verrà distribuito a delle associazioni giudicate “qualificate” dallo Stato; le stesse associazioni che per anni, denuncia lo STRASS, hanno cercato di redimere le/i lavorat* del sesso e portato avanti una campagna di abolizione della prostituzione in generale. Sicuramente, non sarà compito delle associazioni preoccuparsi della consapevolezza o della scelta del lavoro del sesso; il nesso di identità che fanno è tra prostituzione e schiavitù, senza interrogarne le condizioni di esistenza e considerare quali fattori sociali determinano la tratta e la prostituzione per strada.

La disposizione, invece, del permesso di soggiorno per le vittime di tratta si inserisce in un contesto dove le espulsioni sono all'ordine del giorno, dove ai migranti o a chi risiede sul territorio da molto tempo non viene garantito l'accesso ai diritti di istruzione – ricordiamoci la vicenda di Leonarda e Khatchik - e sanità. Alle donne viene concesso il permesso di soggiorno per sei mesi se vogliono smettere di esercitare il lavoro del sesso, dopo il quale torneranno ad entrare nello status di sans papiers: in sei mesi, con la crisi che dilaga in Francia e tutte le condizioni per entrare nel meccanismo del welfare lavorista, è praticamente impossibile trovarsi un'occupazione stabile che garantisca gli ammortizzatori sociali. La conclusione logica è che se si può normare e normalizzare qualcuno/a, allora è possibile concedere dei diritti per un tempo limitato; altrimenti, come nel caso dei giovani liceali, dei rom e altri sans papiers, si può procedere immediatamente all'espulsione.

E' evidente che l'elemento alla base della legge è un'altra conseguenza, sotto molti punti di vista, dell'austerity e dell'autoritarismo di Stato che la governance europea ci consegna in questa fase. Con la pretesa di espandere dei diritti e difendere dei soggetti per natura deboli, in realtà si attua una morsa restrittiva delle libertà e si vanno ad attaccare quei diritti che teoricamente dovrebbero essere universalistici per la République. Perché l'istituzione di fondi speciali e percorsi di inserimento sono tutti finalizzati ad un ordine sociale in cui i soggetti “assistiti” possano essere reinseriti in posizioni obbedienti, riconoscenti nei confronti dello Stato, senza però aver creato alcuna forma di protezione sociale che crei le condizioni di possibilità della scelta del proprio lavoro e i diritti che permettono di tutelarla. Per chi volesse continuare a esercitare il lavoro del sesso e non avesse la cittadinanza francese, la sanità sarebbe fortemente limitata senza un'assicurazione specifica, così come il sussidio per l'affitto della casa e la regolarizzazione dello stesso lavoro, che permetterebbe di avere una vita indipendente da qualsiasi schiavitù e, per esempio, la pensione, la malattia, il sussidio di disoccupazione (tenendo conto di tutte le criticità che questi dispositivi hanno). Più che un modo per estendere i diritti, sembra un altro attacco ad un ambito del lavoro indipendente, che non fa altro che approfondire la precarietà esistenziale e auto-alimentarla attraverso il welfare. La connessione necessaria del welfare francese è semplice: l'accesso al welfare è condizionato dall'essere interni a delle norme, a sottostare al comando del lavoro precario e al controllo sociale. Uno Stato sociale che in parte può essere detto efficace (nell'intervenire per garantire la sopravvivenza), ma che di fatto inserisce i precari e i soggetti più marginali in un circuito di burocrazia infinita, accettazione di qualsiasi proposta lavorativa per continuare ad avere i requisiti per i sussidi. Vediamo come la questione del lavoro del sesso, per quanto molto specifica e sicuramente non diffusa, tocchi molte delle contraddizioni francesi, come fanno le rivendicazioni dei sans papiers, degli universitari e dei precari. 

Perché, allora, non aver istituito una misura che possa combattere la precarietà generalizzata di sex workers, giovani, studenti, dando loro la possibilità di scelta garantendo una vita degna? Perché non aver eliminato le restrizioni della cittadinanza, impedendo la marginalità dei migranti e la loro ricattabilità che favorisce la tratta? Perché non aver implementato il sistema sanitario, con un accesso incondizionato dall'assicurazione e visite per controllare lo stato di salute dei lavorat*? Queste sono le domande che un presidio di 200 persone organizzato dallo STRASS, sex workers e clienti a Invalides ha posto mentre veniva votata al senato la legge sulla penalizzazione dei clienti. 

“ Io sono una lavoratrice indipendente, lavoro in casa, dichiaro il mio reddito e pago tutte le tasse” ci dice Ophèlia a margine della manifestazione, “ faccio questo lavoro da vent'anni e non ho intenzione di cambiarlo adesso, perché fa parte della mia vita. Come si può dire di voler abolire la schiavitù, se di fatto è quella che stanno incitando? Io non sono né colpevole né vittima: sono solo fiera di quello che faccio”.